Ci fu grande stupore, a Foggia, quando a gennaio 2023 la Corte d’appello di Bari rigettò tutti ricorsi presentati – contro l’incandidabilità – dall’ex sindaco Franco Landella, dall’ex presidente del consiglio Iaccarino e da altri esponenti della maggioranza di centrodestra, tranne che per la ex assessora alle politiche sociali Erminia Roberto.
Fu lei la sola ex amministratrice comunale a vedersi cancellare la pronuncia di primo grado relativa all’incandidabilità, con conseguente condanna del Ministero al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio (2.768 euro per il primo grado e 3.473 euro per l’appello).
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Sorprese perché è legato a Roberto uno degli episodi cardine dello scioglimento del consiglio comunale, nel 2021, per infiltrazioni mafiose (“sistematica prossimità a soggetti contigui ad una delle batterie della Società Foggiana, in occasione dell’esercizio di funzioni istituzionali”).
Dopo l’appello c’è stato ricorso alla Corte di Cassazione da parte di Viminale e Prefettura di Foggia, ma anche da parte di Landella e della ex consigliera Liliana Iadarola.
Lo scorso 12 aprile la Cassazione ha rigettato il ricorso di Landella, dichiarato inammissibile quello di Iadarola ma soprattutto ha accolto il ricorso del Ministero dell’interno, cassando il decreto della Corte di appello per ciò che concerne Roberto e rinviando alla stessa Corte in diversa composizione. Ecco perché il Viminale e la Prefettura hanno citato nuovamente tutti in giudizio davanti al giudice d’appello, cui chiedono di dichiarare l'incandidabilità di Roberto e di condannare tutti in riassunzione al pagamento delle spese del giudizio di legittimità e del giudizio di rinvio.
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Nell’ordinanza della Cassazione si afferma su Roberto: “Il ricorso del Ministero è fondato. Come ripetutamente affermato da questa Corte, la dichiarazione di incandidabilità non richiede che la condotta dell'amministratore dell'ente locale integri gli estremi del reato di partecipazione ad associazione mafiosa o di concorso esterno alla stessa, essendo sufficiente che egli non sia riuscito a contrastare efficacemente ingerenze e pressioni delle organizzazioni criminali operanti nel territorio e che abbia tenuto una condotta inefficiente, disattenta ed opaca che si sia riflessa sulla cattiva gestione della cosa pubblica. Particolare rilievo assumono il comportamento tenuto da Roberto nell'erogazione dei contributi sociali, sintomatico di una gestione personalistica dell'ufficio e di una grave ingerenza nell'attività esecutiva demandata all'apparato burocratico dell'ente territoriale, nonché il rapporto di conoscenza tra l'assessore e Francavilla, esponente di un noto sodalizio criminale, testimoniato dal tono confidenziale delle conversazioni tra gli stessi intercorse e dalle pressioni e dalle minacce esercitate da tale soggetto nei confronti di Roberto. Tali elementi sono stati sbrigativamente liquidati dalla Corte territoriale come privi di valore, in quanto risultanti da esposti anonimi e non confortati da riscontri oggettivi, senza porli in relazione tra loro e senza compiere alcun confronto con le risultanze delle indagini penali, dal cui approfondimento avrebbero potuto trarsi proprio quei riscontri dei quali il decreto impugnato ha lamentato la mancanza”.