Ci sia consentito oggi divagare in un campo che non è di nostra competenza, esprimendo qualche considerazione - per la verità assai personale - sull’opera che in questi giorni sta facendo molto discutere i cittadini foggiani, cioè i due tralicci che tal Limosani vuole realizzare e impiantare nel bel mezzo dell’area scoperta dei Campi Diomedei in modo che essi siano avvistabili a chilometri di distanza: tralicci che, secondo lui, dovrebbero essere qualificati “artistici”. Sappiamo bene che nel definire cosa potrebbe essere percepito come “arte”, in generale, le discussioni sarebbero praticamente senza fine e comunque non vi sarebbe mai convergenza di opinioni. Pertanto, non essendo noi ferrati né in estetica né in estetistica (l’uno affidato ai filosofi e l’altro alle parrucchiere, cioè due tipologie umane dedite ad attività affini), rimaniamo terra-terra con le nostre personali convinzioni in materia di arte. Secondo noi la stella polare per considerare “artistico” un prodotto della creatività umana - nel campo musicale, della arti figurative pittoriche e plastiche, nell’architettura, e perfino nelle opere letterarie - è che esso venga percepito come un fattore capace di generare una emozione improvvisa e irrefrenabile in colui che lo percepisce, una emozione “di pancia” e non “di testa” che non abbisogna di alcuno stampellaggio esplicativo per comunicare qualcosa che vada al di là della percezione pura. In sostanza noi riteniamo che l’arte - se è tale - si giustifica e si chiarisce per se stessa e non ha bisogno di “spiegazioni” le quali, anzi, possono paradossalmente addirittura disturbare la percezione, che invece resta un fenomeno eminentemente soggettivo a dispetto di qualunque tentativo di “spiegazione” potesse essere fornito dall’ esterno per accattivarsela in senso positivo.
Perciò se un quadro strepitoso trasmette una emozione in via diretta (quale che ne sia lo stile, sia chiaro), e così un brano musicale e così via, non c’è bisogno di alcun volantino illustrativo per chiarire qual fosse l’intento dell’ artista nel realizzare quell’opera né quale dovrebbe essere il messaggio che egli avrebbe voluto trasmettere attraverso la sua opera. Ecco perché riteniamo che “La donna è mobile” verdiana (facciamo un esempio a caso) va a bersaglio sicuro e senza possibilità di smentita; mentre i mattonazzi intellettualoidi alla maniera di dei compositori di primo ‘ 900 delle scuole dodecafoniche, seriali, klangmusik (letteralmente: musica-rumore), e i tentativi ridicoli di fare intere opere in quegli stili mattoneschi come il “Mosè e Aronne” di Schoemberg sono operazioni in definitiva perdenti; nel senso che a una persona di media sensibilità, dopo essersi sorbiti cinque minuti di quel genere di porcherie cacofoniche, gli verrebbe istintivo gridare in sala di teatro “ma facciamoci una bella sniffata di una Donna è mobile o di un Nessun dorma”, giusto per risarcirsi le orecchie frastornate dal casino sonoro di quel pattume.
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Naturalmente lo stesso discorso va replicato per le opere pittoriche, per cui mentre un Van Gogh o un Raffaello ti stordiscono (e infatti c’è chi è svenuto per davvero davanti a certi quadri), le tele imbrattate da schizzi in stile test di Rorschach necessitano di tre paginette di volantino illustrativo per “spiegare” al malcapitato le farfalle mentali che aveva l’Autore nell’imbrattare le tele medesime in certi modi da asilo infantile.
Prima di venire alle torri del Limosani, ci sia consentito ricordare che Foggia è già stata terreno di sperimentazione di cose strampalate, definite a loro tempo “artistiche” per giustificarne la imposizione alla intera cittadinanza. Facciamone un elenco minimo, tanto per capirci.
Si è partiti con i “cazzoni littorii” piantati a Piazzale Italia a far da guardia alla ex caserma Miale, e giustamente in tanti si misero a ridere dello sciagurato “artista” giunto fuori tempo massimo di un settantennio nel celebrare i fasti del Regime in quel modo trombonesco, in architettura: ma intanto i fasci littorii stanno ancora lì ad ammonirci che una cagata è per sempre, quando si commette l’errore di autorizzarla in nome dell’“arte” male intesa.
Il bis - fortunatamente in scala assai più ridotta - è stata poi proposta con il “cavallo pazzo” color rosso fuoco arrampicato in verticale sul palazzo in piazza San Francesco, anche quello a suo tempo celebrato come opera “artistica”. Ora. uno passa di lì, alza lo sguardo, vede quella cosa, e pensa che chi abita in quel palazzo è necessariamente uno che ha la stessa testa di chi ha fatto quel cavallo pazzo color rosso fuoco arrampicato in verticale: insomma gente un po’ così, per semplice legge transitiva fra l’una testa un po’ così e l’altra testa ancor peggio di così perché ha pure pagato per comprare casa lì e andare a coabitare con il cavallo pazzo . In pratica, quello è un esempio di “arte maledetta” (maudit, in francese, come Modiglianì in versione abbreviata), nel senso che una cosa come quella fa ridere non solo per l’opera in se stessa ma anche sul conto di chi se l’ è comprata.
L’altro esempio è la scultura in uno slarghetto di via Arpi, che immediatamente venne definito dal popolino - vox dei... - la cassa toracica di un dinosauro fossile. Non è chiaro cosa con precisione volesse rappresentare l’Autore con quella sorta di costato dinosauresco, né perché quelle ossa fossili dovessero avere una qualche pertinenza con le panchine in via Arpi. Mah! E’ ben vero che l’arte ha i suoi misteri, ma questi tuttavia non vanno confusi con le strampalerie né con le allucinazioni (e ci sa che forse la seconda è quella giusta).
Ci siamo intrattenuti un pochetto in questo discorso generale e su questi esempi per poter tornare ai tralicci del Limosani con qualche argomento in più che riguardano sia il rapporto fra l’arte e le strampalerie, sia il rapporto fra la percezione istintiva e lo stampellaggio esplicativo.
Quanto alla prima questione, il Lettore avrà ormai capito da quale parte penda la nostra opinione, che tuttavia non esplicitiamo del tutto in modo da evitare una querela per diffamazione. Certo però nessuno ci potrà negare il diritto di esprimere quale sia la nostra percezione vedendo il bozzetto dei tralicci in questione.
Secondo noi i due tralicci formato ENEL fanno pensare a una di queste tre cose: a) torri dalle quali buttarsi giù per fare il cosiddetto jumping attaccati alle corde elastiche (sai che successone, se l’inaugurazione la facesse la sindaca buttandosi dall’una traliccio, e l’ing. Cavaliere dall’altra essendo stato egli il “facilitatore” dell’ operazione!); b) torri per arrampicarsi facendo la “prova di ardimento” per ottenere il patentino da paracadutisti (idem come sopra, se lo facesse qualche assessore in vena di arrampicatura sociale); c) torri per stendervi un cavo sospeso, per fare spettacoli di equilibrismo con l’asta bilanciere (l’onore dalla prima prova spetterebbe, in tal caso, allo stesso Autore dell’ opera).
Quanto alla seconda questione, si noterà che l’Autore in persone si è dovuto prodigare alquanto per “spiegare” il significato dei due tralicci ENEL, peraltro mettendo in campo tre-quattro concetti diversi che già di per sé indicano che le idee forse non sono neppure ben delineate unitariamente nella sua stessa testa: in ogni caso pare di capire che non si tratta né di buttarsi in giù per fare jumping, né di arrampicarsi verso l’insù per fare prova d’ardimento, né di fare l’equilibrismo a venticinque metri di altezza, ma di qualche bislaccheria che avrebbe a che vedere con quore /ammore proposti come un traliccio elettrico o una costruzione fatta con l’antico gioco del meccano. Orbene, come abbiamo detto in premessa, se una cosa deve essere “spiegata”, allora è sicuro che non si tratta di arte, e questo concetto si salda con il precedente per cui l’arte è una cosa e le strampalerie ne sono un’altra.
A questo punto sembra che della vicenda dei tralicci ENEL se debba occupare Alice nel Paese delle Meraviglie - fresca reduce dal successone del rapper Gennarone da lei ingaggiato nel noto “concerto” a base di parolacce verso la presidente del Consiglio in carica - e qualche altro esteta-estetista-estetico-estasiato prelevato da non si sa bene dove: tutta gente che dovrebbe certificare la natura “artistica” dell’opera del Limosani.
Zone Transition
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Consiglio (non richiesto), da grillo parlante, a questi futuri giudici: rivedetevi la mitica scena della corazzata Potemkin nel film-cult di Fantozzi, se vorrete trovare il coraggio di pronunciare apertamente la parola che definisce quel progetto tralicciforme, anche a costo di buscarvi una querela: Foggia non merita un’altra cosa come i “cazzoni littorii” e simili cose sperimentali, che restarebbero lì per i prossimi cent’ anni. Abbiamo già dato.
(Salvatore Russetti - ex giudice di Corte d’Appello)