A dominare le tavole dei foggiani a Pasqua ci sarà lo spezzatino, piatto tipico della tradizione, il cui ingrediente principe è l’agnello, cucinato insieme a cardi selvatici e uova. Sarà sempre l’agnello il protagonista delle grigliate di pasquetta, tanto attese dopo due anni di pandemia durante i quali il virus ha tenuto tutti segregati in casa.
Ed infatti, non meno di quattro pugliesi su 10 (39%) consumeranno nei prossimi giorni almeno una pietanza a base di agnello.
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In occasione di queste festività si acquista infatti gran parte di circa 1,5 chili di carne di agnello consumata a testa dai pugliesi durante tutto l’anno. La carne di agnello è una presenza antica della tradizione gastronomica pugliese, come dimostrano i piatti della transumanza tramandati da secoli.
Tra coloro che non rinunciano all’agnello, il 24% acquisterà quello made in Italy e un altro 9% lo andrà addirittura a comperare direttamente dal produttore per avere la garanzia dell’origine, mentre solo un 7% non si curerà della provenienza di quel che metterà nel piatto, secondo un indagine promossa da Coldiretti/Ixe’. Per evitare rischi e portare in tavola qualità al giusto prezzo, l’appello della Coldiretti è quello di preferire carne di agnello a denominazione di origine, garantita da marchi di provenienza territoriale come l’Igp, o di rivolgersi direttamente ai pastori, quando è possibile. In una situazione in cui oltre un agnello su due (55%) presente nei banchi frigo per Pasqua è di origine straniera il pericolo è, infatti, di mettere nel piatto carne spacciata per italiana che non rispetta gli stessi standard qualitativi di quella nazionale.
“Sostenere con i propri acquisti la produzione made in Italy significa – afferma Coldiretti Puglia– aiutare il proprio territorio e contrastare anche l’abbandono delle aree più difficili dove i pastori svolgono un ruolo insostituibile di presidio. La pastorizia è un mestiere ricco di tradizione molto duro che garantisce la salvaguardia in Puglia di ben 4 mila allevamenti e 202 mila pecore a vantaggio della biodiversità. Senza un deciso impegno dell’intera filiera agroalimentare la pastorizia rischia di scomparire con l’abbandono di migliaia di famiglie che hanno fatto dell’allevamento il centro della loro vita”, conclude Coldiretti.
“Animali garganici pagati troppo poco e i consumatori sono attratti dai super ribassi, non c’è cultura della qualità”
Tra le aree della Capitanata maggiormente vocate alla pastorizia c’è sicuramente il Gargano, con i suoi numerosi allevamenti di ovini, che affiancano quelli della celebre vacca podolica. Ma il comparto è da anni in sofferenza, il mercato non paga a sufficienza le carni, il latte e perfino la lana. Così i piccoli imprenditori decidono di chiudere bottega: negli ultimi 12 mesi, secondo stime degli addetti ai lavori, hanno cessato l’attività circa il 10/15% delle aziende. Quelle rimaste aperte hanno dovuto ridurre il numero dei capi allevati, anche a causa dell’impennata dei prezzi dei mangimi, del trasporto e di tutte le altre materie necessarie alla cura del bestiame. Meno animali significa anche meno manodopera e, di conseguenza, più disoccupazione, in un territorio già molto fragile e particolarmente soggetto allo spopolamento.
“Pensavamo di poter prendere una boccata di ossigeno con le vendite di Pasqua ma così non è stato”, il commento a l’Attacco di Saverio Siorini, presidente del comitato Terra Nostra che raccoglie alcune decine di allevatori garganici.
“L’aspettativa era buona, visti anche prezzi che gli allevatori sono riusciti a spuntare a Natale, quando si riusciva a vendere a circa 6 euro al chilo, più Iva; ora invece il prezzo è crollato a 4,5/4,7 euro al chilo – ha aggiunto Siorini -, un vero disastro considerato il rincaro del 60% delle materie prime che sta impoverendo ulteriormente il settore. Purtroppo a rompere il mercato sono le importazioni dall’estero, gli agnelli arrivano dalla Romania, Bulgaria e qualcosa dalla Polonia e dalla Francia. Il problema è che il consumatore finale non ha la più pallida idea di cosa acquisti dal proprio macellaio e spesso carni straniere vengono spacciate per nostrane. Ma un allevatore garganico non può vendere il proprio animale al di sotto di un certo prezzo, altrimenti ci rimetterebbe; al bancone l’agnello locale dovrebbe costare non meno di 18, 19 euro al chilo ma il consumatore è attratto dalle super offerte speciali che propongono anche carne a 9 euro al chilo”.
Eppure gli ovini garganici sono molto apprezzati, anche al di fuori dei confini regionali. “Basti pensare che vengono a comprare gli agnelli qui anche dall’Abruzzo e dall’Umbria, solo che li prendono vivi e li macellano dalle loro parti e l’animale a peso vivo costa molto di meno della carne a peso morto – ha ricordato il presidente di Terra Nostra -. Da qui parte anche la riflessione relativa alla carenza di macelli, per così dire, a km zero, sul territorio che garantirebbero un abbattimento dei costi. E a proposito di costi, non va dimenticata la piaga dei cinghiali che devastano i campi seminati a pascolo per le greggi, sono danni che non vengono risarciti e comunque non abbastanza. Il comparto andrebbe tutelato di più, sostenuto e supportato con interventi economici più incisivi, se non vogliamo che scompaia”.
La differenza tra la carne estera e nostrana non sta solo nel prezzo, la qualità e il gusto sono molto diversi. “Forse non tutti sanno che l’allevamento sul Gargano prevede un disciplinare molto rigido di produzione e l’iscrizione degli animali nei libri genealogici, si può dire la stessa cosa della carne che arriva da altre nazioni, non penso?”, incalza Matteo Totaro, di Manfredonia, storico presidente degli allevatori e operatore a sua volta.
“La qualità è molto diversa eppure i commercianti prendono il 70% di animali dall’estero e il 30% in Italia. Molto spesso poi nei negozi arriva carne già macellata all'estero e quindi non sappiamo moltissimo delle origini e del modo in cui vengono allevati gli animali, la nostra invece viene macellata soprattutto nello stabilimento di Carpino, l'unico del Gargano purtroppo – ha aggiunto Totaro -. La ‘tradizione’ di acquistare dall'estero è ormai consolidata da tempo, i nostri animali vengono acquistati solo in minima parte perché costano di più, ecco perché il comparto non è messo per niente bene. Purtroppo la massaia preferisce acquistare un prodotto a un prezzo più basso, non guarda ai dettagli. L'importante è risparmiare, senza badare alla qualità, basti guardare al successo che quei camioncini ambulanti che vendono alimenti riscuotono e che non hanno nessuna autorizzazione. Eppure proponendo i loro prodotti sotto costo riescono a venderli. Non c'è la cultura di acquistare la qualità ad un prezzo più alto. Se poi a questo si aggiunge il fatto che non ci sono abbastanza controlli nei negozi, si comprende perché l’allevamento sia in crisi”.
Zone Transition
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Una crisi che si ripercuote sulle decine di famiglie che ancora oggi trovano sostentamento da questa attività millenaria. Nonostante tutte le difficolta, c’è chi con tenacia continua a mandare avanti la propria attività. “Mondo era e mondo è: gli allevatori continueranno a fare gli allevatori, per noi è un lavoro ma anche una passione che si tramanda di generazione in generazione”, ha concluso Totaro.