Primi pronunciamenti giudiziari a proposito dei dieci arresti operati dai carabinieri del Nucleo Investigativo di Foggia nei confronti di altrettanti appartenenti alla polizia penitenziaria, finiti tutti ai domiciliari con le accuse, a vario titolo e in concorso, di tortura, abuso d’ufficio, abuso di autorità contro detenuti, omissione d’atti d’ufficio, danneggiamento, concussione, falsità ideologica commessa da un pubblico ufficiale in atti pubblici, soppressione, distruzione e occultamento di atti pubblici. I difensori di otto indagati (ne sono 15 in tutto) si sono rivolti al tribunale di Riesame e per sei di questi è stata disposta la rimessione in libertà, sulla base di motivazioni che però devono essere ancora depositate dal collegio. Niente più restrizioni per il sovrintendente Vincenzo Piccirillo, 53 anni, l’agente scelto Flenisio Casiere di 38 anni, l’assistente capo coordinatore Massimo Folliero di 52, l’assistente Raffaele Coccia di 38, gli agenti Pasquale D'Errico di 28 e Giuseppe Toziano di 26, mentre restano detenuti la vice ispettrice Annalisa Santacroce, 47 anni, e il sovrintendente Vittorio Vitale di 54, i cui avvocati stanno attendendo proprio le argomentazioni del provvedimento per adire eventuale la Corte di Cassazione, ritenendo che sia stata applicata una disparità di trattamento, specie nei confronti della dirigente sindacale del Corpo per la quale è stata esclusa anche l’ipotesi di falso, secondo quanto riferito dal suo avvocato Antonio Santacroce.
Da quello che si deduce in questo momento, per tutti sarebbe caduto soprattutto il reato di tortura, uno dei pilastri dell’ordinanza del gip Carlo Protano che aveva accolto buona parte delle richieste della procura di Foggia. Nessuna iniziativa finalizzata ad attenuare la misura è stata presa, al momento, dai rappresentati legali dell’ispettore Giovanni Di Pasqua, 56 anni, e l’assistente capo coordinatore Nicola Calabrese di 50, i quali rispondono anche di concussione.
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Tutti comunque si professano innocenti, e davanti al gip nel primo interrogatorio si sono avvalsi della facoltà di non rispondere, tranne Piccirillo, assistito dagli avvocati Michele Di Gaetano e Matteo Perchinunno, il quale ha respinto le accuse, dichiarandosi innocente in relazione al suo capo di imputazione, ritenendo di essere estraneo ai fatti contestati anche ai colleghi.
Le indagini avrebbero fatto emergere gravi indizi di colpevolezza nei confronti degli indagati, indiziati di aver partecipato con ruoli diversi a un pestaggio compiuto l’11 agosto 2023 nei confronti di due detenuti, di cui uno in condizione di fragilità. Contestualmente all’aggressione, altri due sarebbero stati inoltre arbitrariamente sottoposti a misure di rigore non consentite. Nel corso delle investigazioni sarebbe stata documentata la predisposizione e la sottoscrizione di atti falsi finalizzati a nascondere successivamente le violenze perpetrate e a impedire che venissero emesse a carico delle persone offese le diagnosi delle lesioni riportate. Sarebbero state, inoltre, accertate minacce e promesse di ritorsioni attraverso le quali due indagati avrebbero costretto le vittime a sottoscrivere falsi verbali di dichiarazioni, in cui era riportata una versione dai fatti smentita dagli esiti delle indagini.
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La procura stava indagando da almeno sei mesi su questa vicenda, partita da una lettera ricevuta pochi giorni dopo l’accaduto, uscita direttamente da Via delle Casermette, scritta dalla presunta persona offesa ma in una busta strategicamente riportante il nome di un altro detenuto che avrebbe assistito almeno in parte alla scena di quella mattina, così da non destare sospetti nella verifica della corrispondenza. In effetti, nella sua richiesta il pubblico ministero ha parlato di “diffusissimo clima di omertà, quando non di fattiva collaborazione nell'ostacolare le indagini, riscontrato tra il personale in servizio presso la casa circondariale (tanto tra la polizia penitenziaria quanto tra le persone che prestano servizio in carcere con differenti funzioni) e la capacità degli indagati di ottenere la collaborazione di detenuti differenti dalle persone offese al fine di depistare le indagini e di intimidire le stesse vittime delle violenze”.