A distanza di una settimana esatta dal suo arresto, il comandante della polizia municipale di Lucera, Beniamino Amorico, è stato interrogato dal gip Marialuisa Bencivenga, e al termine dell’incontro, assistito dall’avvocato Gianluca Ursitti, è tornato agli arresti domiciliari.
Il maggiore dei vigili ha risposto a tutte le domande del giudice, con l’intento di chiarire la propria posizione in merito alle variegate contestazioni della procura: peculato, falso in atto pubblico, truffa ai danni del Comune di Lucera e rivelazione di segreto d’ufficio. Il difensore non ha escluso una richiesta di attenuazione della misura cautelare, anche in relazione alla collaborazione mostrata nella ricostruzione dei fatti che gli sono stati addebitati.
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Intanto, venerdì scorso Amorico è stato formalmente sospeso dal servizio e dal pagamento dello stipendio, a seguito di decreto emesso dal dirigente del Personale (e segretario generale del Comune) Giovanna Acquaviva, sulla base di una comunicazione pervenuta dal legale del dipendente per il quale sarebbe anche partita l’istruttoria di un procedimento disciplinare a suo carico.
L’esecuzione dell’operazione “Doppio Alfa” ha fatto naturalmente parecchio scalpore in città, anche in relazione al coinvolgimento di altre cinque persone che risultano indagate per concorso in truffa all’ente, poiché beneficiari (diretti o indiretti) dell’annullamento di una multa generata dalla violazione della zona a traffico limitato.
Amorico sarebbe l’unico in possesso delle password per l’accesso al sistema informatico, e quindi in grado di intervenire sulle singole rilevazioni, e questo spiega anche l’assenza di tutti i suoi sottoposti nelle indagini condotte dalla Guardia di finanza di Lucera che stava operando da diversi mesi, anche prima di quel 23 settembre 2021 quando la questione è esplosa pubblicamente con le prime perquisizioni e acquisizioni di documenti avvenute alla sede centrale di Corso Garibaldi e nel suo ufficio in Viale Libertà dove gli sono stati sequestrati (e poi restituiti) i telefonini.
Altro fronte piuttosto delicato resta quello di una presunta violazione della privacy, dovuta alla diffusione, a persone senza titolo, dell’elenco dei positivi al Covid rilevata dalla procura dopo l’analisi dello smartphone. Su questa specifica vicenda ci potrebbero essere dei risvolti animati da chi si sarebbe sentito danneggiato da quella che il pubblico ministero ha classificato come violazione del segreto di ufficio.
L’accusa principale resta sempre quella del peculato per l’uso della Giulietta di servizio con la quale, secondi gli inquirenti, si sarebbe allontanato dal luogo di lavoro dopo aver attestato la sua presenza in servizio, per andare a svolgere commissioni private o gite fuori porta, totalizzando, nei soli mesi di indagine, assenze dall’ufficio per circa 53 ore e percorrendo circa 3000 chilometri con quella auto.
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Un altro filone riguarda la presunta redazione di altri “atti ideologicamente falsi, tesi ad ‘accomodare’, in favore di soggetti conoscenti, alcune pratiche e istruttorie amministrative del proprio comando di polizia locale”.