“Villani come Buscetta, rivelazioni uniche per comprendere la Società foggiana”

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Un racconto che può essere “vangelo che squaderna il libro mastro della Quarta mafia”. Per Piernicola Silvis - ex questore del capoluogo daunio, in servizio a Foggia per diversi anni a partire dal 2014, e dunque capo della Questura anche nel 2016, quando venne consumato l’omicidio di Roberto Tizzano del clan Moretti-Pellegrino-Lanza per mano del killer della batteria opposta, Patrizio Villani - le dichiarazioni di quest’ultimo, rilasciate nel ruolo di nuovo collaboratore di giustizia durante l’interrogatorio condotto dalla Dda di Bari il 10 maggio scorso, rappresentano un racconto unico, mai fornito da nessun altro, prima di adesso, in ordine alla possibilità di comprendere ed analizzare in maniera approfondita la Società foggiana, la sua storia, le sue articolazioni, i suoi intrecci, il suo modo di pensare e di agire.

l’Attacco ha contattato Silvis per un commento sulle 129 pagine di fatti mafiosi da poco narrati da Villani ai pm Carmela Bruna Manganelli e Federico Perrone Capano. E che ora, oltre che nel procedimento per “Decima Bis”, entrano anche nel processo d’appello scaturito dall’operazione DecimaAzione.

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“Premettendo che tutto ciò che un collaboratore di giustizia rivela agli inquirenti deve sempre essere ricostruito, verificato e incrociato, il più possibile, con le verità fattuali - esordisce Silvis -, devo essere sincero: da quello che ho letto sui media, se tutto ciò che Villani dice risponde a realtà, mi sembra una testimonianza molto interessante, direi fondamentale. Fa luce su dinamiche della Società foggiana prima ignote, o che erano al più intuite dagli organi inquirenti ma non concretamente conosciute. A mio avviso – continua l’ex questore di Foggia, ora scrittore di romanzi noir - si tratta di dichiarazioni che si possono comparare, ovviamente contestualizzandole al territorio e all’organizzazione criminale di riferimento, a quelle che il pentito Buscetta rilasciò nell’84 a Giovanni Falcone. Hanno lo stesso tipo di valenza. Buscetta spiegò a Falcone che la mafia siciliana si chiamava Cosa Nostra ed era un’organizzazione con una geografia criminale articolata, con organismi, gerarchie e gradi, con una composizione ampia, con luoghi e sedi di incontro di adesione e pianificazione. Villani ha fatto lo stesso, svelando i dettagli più reconditi della Società foggiana”.

Ci sono dettagli nell’interrogatorio del pentito di spicco del clan Sinesi-Francavilla che Silvis ammette di non aver mai conosciuto prima di adesso.

Come la responsabilità materiale dell’omicidio Panunzio, attribuita da Villani - secondo la vulgata di sempre, sostiene il killer, negli ambienti della criminalità organizzata locale – alla mano del boss Federico Trisciuoglio e non a quella di Donato Delli Carri, che invece ha scontato ben oltre 20 anni di carcere per quel delitto ma che avrebbe avuto soltanto un ruolo marginale secondo la ricostruzione del pentito.

Così come il racconto verbalizzato sui riti di affiliazione scuote ampiamente le convizioni di Silvis e di molti suoi colleghi.

“Nell’ambiente di polizia – spiega Silvis - siamo sempre stati convinti che la Società foggiana non praticasse, per scelta ben precisa e strategica, i rituali di affiliazione: cioè in ragione del fatto che una tale dinamica avrebbe prestato il fianco alla possibilità concreta di indiziare di reati di associazione mafiosa, con prove concrete, gli appartenenti ai clan. E invece – commenta - pare che il rituale ci sia e mi sembra molto vicino, nella sua fenomenologia, a quello della ‘Ndrangheta. ‘Mutatis mutandis’, gli somiglia molto. Certo appare meno liturgico, perché, a quanto ho appreso, gli esponenti delle batterie foggiane lo consumerebbero in carcere, quindi molto più velocemente rispetto al protocollo ‘ndranghetista, che invece viene svolto in maniera più complessa e organizzata. Ma la formula di affiliazione con i passaggi che ho avuto modo di leggere, in cui si menzionano, per esempio, gli “infami” o la “formata società” è certamente presa dalla ‘Ndrangheta. I legami della Società foggiana con la ‘Ndrangheta – continua Silvis - erano noti anche alla polizia giudiziaria, ma mai in maniera così dettagliata. Il che conferma che la ‘Ndrangheta è stata madrina non solo della Sacra Corona Unita e di altre organizzazioni criminali, ma anche, appunto, della Società foggiana. Con questo interrogatorio, però, per la prima volta si squarcia il velo sulla criminalità organizzata locale e sui suoi rapporti diretti con altre mafie”.

“Buongiorno saggio compare, giunto appunto a voi questa mattina, con una mano faccio luce e con l’altra accendo luce. Conforme e conformista siete voi, con parole di omertà è formata la società”. “Con chi ho l’onore di parlare?”. “Avete l’onore di parlare con una persona fatta con patti, forme e conforme, attivo qui, fuori da qui e in qualsiasi località”. “Ma allora siete conformi?” “Quanti...quanti bottoni ha la vostra maglia?”. “Sette, perché sette sono le cariche”. “Quanti bottoni avete abbottonato?” “Quattro bottoni”. “E quali sono i tuoi pregi?”. “Ho una fronte stellata per illuminarti il cammino, i miei occhi sono due perle per accecare gli infami e gli indegni, la mia bocca è fatata per addolcire le questioni, la mia lingua è una spada per tagliare e rintagliare le vostre favelle, il mio petto è freddo e duro come un marmo, le mie spalle sono lo specchio che riflettono la vostra immagine, le mie gambe sono due molle per rimbalzare di duello in battaglia”. “Chi è vostro padre?” .“Mio padre è il sole, mia madre la luna e i miei fratelli sono le stelle. Mio nonno è un vecchio carrettiere che abita sul Monte Bianco e scende tre volte l’anno, Natale, Pasqua e Ferragosto, e scende per portare le salme degli infami e gli indegni. E lava l’anima nelle acque del fiume Giordano”.

E’ questa la ‘Favella’ del rito di affiliazione che Villani avrebbe sostenuto. Un Villani che ha raccontato anche dei diversi gradi degli uomini dei clan, compreso quello del boss Roberto Sinesi, che porterebbe il medaglione di Santa Elisabetta a testimonianza della più alta carica da egli rivestita, la settima.

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Invece, sulle dichiarazioni del pentito rispetto al fenomeno estorsivo in città, secondo il quale “chi nasce a Foggia e vuole aprire un’attività sa già che dovrà pagare il pizzo”, Silvis non è affatto sorpreso: “Che i commercianti sappiano di dover sottostare al racket, sorta di dogma nell’immaginario collettivo locale, ho avuto modo di riscontrarlo. Quando ero questore a Foggia, i dati a disposizione indicavano che l’80% delle attività paga il pizzo. E’ una città schiacciata, ma questa non è una novità. Lo sappiamo da anni”.

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