“Ha molti segni blu sui fianchi, vicino ai reni e al petto, ha il volto gonfio e rosso, la bocca nera, piena di sangue”. Sono le dichiarazioni alla stampa del padre di Osama Paolo Harfachi a cui ieri, insieme ai suoi familiari, è stato concesso di vedere la salma del figlio.
Sono 13 le persone indagate (tra cui 7 agenti della Polfer e 5 sanitari del penitenziario) per la morte del 30enne di origini marocchine, residente a San Paolo Civitate, trovato senza vita il 18 ottobre scorso nel letto della sua cella nella casa circondariale di Foggia, dove si trovava a seguito dell’arresto, occorso il 13 ottobre, per una rapina.
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Le 13 persone sono indagate a vario titolo per omicidio preterintenzionale e omicidio colposo nell'esercizio della professione sanitaria. Tra gli indagati c'è anche un detenuto sospettato di aver ceduto della droga alla vittima. Secondo un primo esame cadaverico il 30enne sarebbe morto per "arresto cardiocircolatorio" ma i parenti di Harfachi non credono al decesso per cause naturali e per questo hanno presentato una denuncia tramite il loro legale.
Un ex detenuto, scarcerato il giorno dopo l’arresto di Harfachi nonché amico della vittima, avrebbe inviato, all’uscita dal penitenziario, un messaggio a Zakaria Harfachi, fratello di Osama Paolo, scrivendo di aver visto quest’ultimo “tutto spezzato” in carcere, cioè particolarmente sofferente, alludendo in qualche modo a delle percosse subite.
L'iscrizione nel registro degli indagati è un atto dovuto poiché ieri è stato conferito l'incarico ai consulenti medico-legali di eseguire sia l'autopsia sia l'esame tossicologico sul cadavere del 30enne. In questo modo gli indagati e le persone offese potranno nominare propri consulenti tecnici di parte.
Esame autoptico che, dunque, si è tenuto proprio nella giornata di ieri (si attendono le risultanze) e che ha rappresentato anche il momento in cui i genitori (Arika Mouhib e Iakbir Harfachi) e il fratello del 30enne hanno potuto finalmente vedere il corpo senza vita del congiunto, ad 8 giorni esatti dal decesso.
Ha brancolato infatti nel buio per oltre una settimana la famiglia (compresa la compagna e madre della figlia) di Osama Paolo Harfachi. Non erano stati avvisati neppure del suo arresto e, quando il ragazzo è morto in carcere, erano accorsi sgomenti in obitorio per vedere la salma che, a disposizione dell’autorità giudiziaria, era stata però negata alla visita dei parenti.
Il caso, due giorni fa, è finito anche in Parlamento con l’interrogazione al ministro della Giustizia e dell’Interno, Nordio e Piantedosi, da parte della senatrice Ilaria Cucchi, sorella di Stefano (noto alle cronache per essere morto in carcere dopo aver subito percosse da uomini in divisa). Tra i passaggi dell’interrogazione parlamentare effettuata dall’esponente di Verdi- Sinistra italiana, in premessa, c’è quanto segue: “[…] da fonti giornalistiche (fonte La Repubblica 20 ottobre 2022), assumo l’informazione circa la testimonianza di un altro detenuto che avrebbe sentito dire dal signor Harfachi le parole ‘mi hanno picchiato’; la famiglia di Harfachi ha sporto denuncia presso la Procura della Repubblica affinché venga fatta chiarezza circa le circostanze che hanno portato alla morte; considerato altresì che la famiglia dichiara che la condizioni di salute di Osama Paolo Harfaki fossero ottimali; che i familiari non sono informati di nessuna autopsia e che alla stessa famiglia è stato e viene tuttora negata (non si sa fino a quando) la possibilità di vedere la salma del proprio caro anche ai soli fini del riconoscimento, nonostante siano passati ben sei giorni dal rinvenimento del corpo nella cella del carcere”.
Ilaria Cucchi ha chiesto dunque di sapere “se il Ministro della Giustizia intenda con urgenza disporre accertamenti ispettivi sul caso sopra esposto, chiarendo anche le ragioni per le quali ancora oggi venga impedito ai familiari di vedere il corpo del proprio caro Osama Paolo Harfachi; se il Ministro dell’Interno non intenda fare chiarezza, per quanto di sua competenza, sulle cause che hanno portato alla morte del signor Osama Paolo Harfachi”.
Sulla vicenda, contattato da l’Attacco, è intervenuto anche Umberto Baccolo (dell’associazione nazionale Nessuno Tocchi Caino, che si occupa della difesa di diritti dei detenuti) il quale ricorda che: “Ad agosto c’è stata un altrodecesso misterioso nel carcere di Foggia: un uomo di 55 anni inizialmente dato morto per arresto cardiaco. Poi però erano emerse versioni discordanti circa il decesso. Il pm, allora – continua Baccolo -, ci ha voluto vedere chiaro e per l’autopsia ha interpellato lo stesso medico perito che si è occupato del caso Cucchi. Ebbene è saltato fuori che il 55enne risultava avere fratture interne che possono occorrere solo a seguito di percosse. Su questo c’è un’indagine in corso. In quel caso, quando morì, la famiglia volle ovviamente vedere il corpo. Ai parenti dell’uomo fu concesso di vedere soltanto il volto del cadavere, mentre non fu permesso di scostare il lenzuolo bianco dal resto del corpo, che dunque rimase coperto, perché se lo avessero visto si sarebbero notati segni di violenza. La famiglia, però, si accorse che il naso del defunto presentava tracce di sangue incrostato e un piccolo livido in faccia”.
Nelle scorse ore, infine, è arrivata la nota stampa del Sap (Sindacato autonomo di polizia) a difesa dei colleghi della Polfer: “Non può essere che ogni volta che un poliziotto interviene per una misura di polizia rischia per ‘atto dovuto’ di essere indagato – dichiara il segretario generale Stefano Paoloni -. Non può e non deve essere un fatto conseguente alla nostra attività di servizio. Non è accettabile che in seguito ad ogni intervento di polizia, si rischia di doversi trovare sotto processo”.
Zone Transition
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Mentre Zakaria Harfachi ha già più volte dichiarato pubblicamente che non si fermerà nella ricerca della verità fino a quando non sarà fatta piena luce sulla morte del fratello.