I Neet (Not in Education, Employment or Training) sono i giovani tra i 15 e 29 anni che non studiano, non frequentano corsi di formazione e non lavorano. Da una recente rilevazione di Confartigianato, l’Italia si colloca al primo posto in Europa per la maggiore percentuale di Neet pari al 23,1% dei giovani, mentre la media europea è di 13,1%. La Puglia si colloca col 30,6% al quarto posto fra le regioni con il più altro tasso di Neet, dopo Sicilia, Campania e Calabria. Ma il dato più preoccupante è che dal 2010 a oggi le cose sono peggiorate.
In quegli anni la Puglia aveva un tasso del 22,1%, con un giovane su 4 che non lavorava e non studiava, oggi invece siamo a 1 su 3. In particolare le donne Neet in Puglia sono il +1,9% rispetto agli uomini, differenza più bassa rispetto al resto del Mezzogiorno. Un report di Open Polis – Con i bambini ha messo, inoltre, in luce che la percentuale di laureati entro i 29 anni e che vivono in aree periferiche è pari in Puglia al 37% in provincia di Lecce, al 28% a Bari, al 24% a Foggia, al 21% a Taranto e al 20% a Brindisi.
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E’ questa la situazione cui cerca di porre rimedio il progetto “I Neet you”, di cui è responsabile scientifico il professor Alberto Fornasari, docente del dipartimento For.Psi.Com. e direttore del Centro Interuniversitario di Ricerca “Popolazione, Ambiente, Salute” (Cirpas).
Si tratta del progetto vincitore della call “University4EU. Il tuo futuro, la nostra Europa”, promosso e finanziato dalla Conferenza dei Rettori delle Università italiane e di cui si è discusso nei giorni scorsi a Bari nella tavola rotonda sul ruolo dell'Università nel contrasto al fenomeno dei Neet, cui ha preso parte anche l’assessore regionale Sebastiano Leo. Il dato di partenza, sconfortante, è quello dei 250mila Neet tra i 15 e i 34 anni presenti in Puglia.
“Il problema dei Neet è davvero rilevante nella nostra regione”, sottolinea a l’Attacco il professor Alberto Fornasari.
“Il progetto con cui abbiamo vinto la call della CRUI è nato dalla consapevolezza che il ragionamento sui Neet va necessariamente portato in una dimensione universitaria, finora è stato analizzato rispetto alle scuole. Sono tanti gli studenti che abbandonano dopo il primo anno o che si trasferiscono ad altra sede universitaria. Bisogna capire quali azioni porre in essere per monitorare, identificare, prevenire e riorientare gli studenti che possano trovarsi in situazioni di difficoltà e arrivare all’abbandono. In Uniba una buona pratica è quella del Career Management Service. E’ stato molto interessante l’intervento del rettore di Unifg Limone, che come delegato all’orientamento della CRUI ha una visione complessiva e che ha sottolineato come dopo le lauree triennali in Puglia tanti studenti vadano altrove a concludere i propri percorsi di studi. Ci ha colpito molto anche quanto affermato dal professor Maurizio Gabbrielli, direttore del dipartimento di informatica, scienza e ingegneria dell’Università di Bologna. Gabbrielli ha introdotto il tema dell'intelligenza artificiale nel settore educativo individuando modelli predittivi utili a monitorare per tempo le possibili cause di insuccesso nel percorso universitario. E’ da valutare attentamente, potremmo avere un’altra arma nell’azione di contrasto al fenomeno dei Neet”.
Ma come si diventa Neet? “Al di là dei percorsi individuali, ci sono dei fattori socioeconomici che possono favorire l’ingresso e la permanenza nella condizione di Neet”, spiega il professor Fornasari.
Zone Transition
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“La letteratura scientifica sul tema ci dice che ad aumentare le chance di ricadere nella categoria Neet sono diversi fattori, tra cui: l’origine straniera, presentare disabilità, avere abbandonato gli studi, ridotta autostima e aspirazioni, gravidanze precoci e/o solitarie; coinvolgimento in attività criminali; vivere in zone periferiche; appartenere a famiglie con basso reddito, avere genitori divorziati, che sono stati disoccupati e/o con un basso livello di istruzione. Contribuisce ad aumentare il tasso dei giovani Neet chiaramente anche lo stato attuale dell'economia, una mancanza di conoscenze su come o dove cercare lavoro, incapacità di trovare un impiego in linea con il proprio livello di istruzione e l’impossibilità di andarsene quando non ci sono posizioni aperte nel proprio territorio. L’influente rapporto dedicato ai Neet da Eurofound, un’agenzia di ricerca dell’Unione Europea, individua alcuni sottogruppi all’interno della categoria NEET. I primi sono i rientranti, ovvero i giovani in attesa di avviare a breve un lavoro già trovato o un percorso di istruzione/formazione. Poi ci sono i disoccupati di breve termine, i ragazzi disoccupati da meno di un anno ma che cercano lavoro e sono disponibili per iniziare a lavorare subito nelle due settimane successive. Un terzo sottogruppo è costituito dai disoccupati a lungo termine, vale a dire giovani disoccupati da più di un anno ma che cercano lavoro e sono disponibili per iniziare a lavorare subito nelle due settimane successive. E, ancora, ci sono i non-disponibili per malattia o disabilità, cioè i ragazzi che non cercano un’occupazione e non sono disponibili entro le due settimane successive ad iniziarne uno perché malati o affetti da disabilità. Un ulteriore sottogruppo è quello dei non-disponibili per responsabilità familiari: sono giovani che non cercano un’occupazione e non sono disponibili entro le due settimane successive ad iniziarne uno perché si occupano di figli o familiari non autosufficienti. Gli scoraggiati sono i ragazzi che non cercano lavoro perché credono che non ci sia spazio nel mondo del lavoro per loro. Infine abbiamo il sottogruppo degli altri, giovani inseriti nella categoria Neet ma che non appartengono a nessuna delle sei dimensioni precedenti”.