“Aiuuuuutateeeeeeeeemi a tornare a casa”. “Che devo fare, dimmi?” “Liberarmi e portarmi a casa. Voglio andare a casa mia”. Inizia così uno straziante file audio di tre minuti. Tre toccanti minuti in cui la signora Marina Fattibene, vedova Correra, implora con un filo di voce e tutta la forza che riesce a tirare fuori, il figlio Maurizio, di farla tornare a casa. A impedirlo, un amministratore di sostegno che, nominato dal giudice, come da prassi, gestisce il patrimonio personale del suo cliente e quindi tutta la sua vita.
“Tu stavi meglio a casa?”, le chiede il figlio, Maurizio Correra, che da quando sua madre è morta sta portando avanti la sua battaglia. Una battaglia in difesa non solo del patrimonio personale dell’assistito in amministrazione di sostegno, ma anche e soprattutto, e prima di ogni cosa, delle sue volontà.
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Sentire la voce di Marina, una madre quasi prigioniera in una struttura ritenuta dall’amministratore adatta e necessaria, che sostiene lucidamente la sua volontà di ritornare a casa sua, apre obbligatoriamente delle domande. Lei nell’audio con cui parla a suo figlio, infatti dice: “Può essere anche un favelas ma la casa propria è un’altra cosa, e perché non mi aiuti?”. E ancora “Ma perché non mi aiuti, Maurizio?”. Lui non ha strumenti. Perché un giudice ha ritenuto che sua Madre Marina con il suo patrimonio personale, debba pagare un amministratore di sostegno che la tiene dentro una clinica e deve pagare anche quella, contro il suo desiderio di tornare nella sua casa di proprietà, e pagare magari una persona per l’assistenza domiciliare, potendoselo permettere. “Ma io ti vorrei aiutare mamma”, risponde il filo, dall’altro capo del telefono.
E possiamo solo immaginare con quale dolore in animo, in tempi di pandemia. Immaginando sua madre sola. E disperata.
La telefonata continua così: “Abbi pietà. Alla mia età, vivere un’esperienza simile, è anche pericoloso. Io non sono mica giovincella… Eh. E allora, ogni piccolo episodio va dritto al cuore. Alla mia età, subire quello che sto subendo non è facile. Però ricordatevi, io non posso fare niente, sono una donna anziana. Ma chi sta là prima o poi si vendica. Dammi una mano, aiutami, me l’hai promesso. Tieni presente che far questo è grave e guarda che io non posso fare niente ma quello che sta là ci deve pensare, il padre eterno, prima o poi arriva la punizione e la legge stabilisce la sua punizione. La punizione ci sta sempre, prima o poi, che non si può sopravvivere così… Maurizio aiutami… E perché sono finita così? Tu te lo chiedi? Mi devi portare via”. “Ti devo portare via. Lo so, mamma, te lo prometto. Io me lo chiedo tutti i giorni, perché sei finita così”.
Questo è il doloroso ricordo della voce di Marina, che supplica il figlio di mantenere la sua promessa. Maurizio non ci è riuscito. Perché sua madre è morta lì dentro. “Sono stato informato del decesso di mia madre da un parente medico in ospedale. Né l’amministratore di sostegno me lo ha riferito, né il giudice lo sapeva. Mi chiedo come sia possibile che chi dovrebbe tutelare e avere attenzione verso la persona e il suo benessere psico fisico non sia a conoscenza che il suo assistito sia deceduto. Non informi la famiglia. E non abbia avuto cura di gestire la sua sepoltura”.
Così aveva detto a l’Attacco Maurizio Correra, ma nonostante la sua lotta affinché il desiderio di sua madre Marina di tornare a vivere nella sua casa, se pur assistita, non è riuscito a mantenere quella promessa.
Ora Marina non è più in vita.
Ora Maurizio, dove aver gridato tutto il suo amore in manifesti enormi rosa affissi per la città, ha deciso di fare qualcosa di più. Aprire il tema dei limiti di questa amministrazione di sostegno. Il tema delle esigenze della famiglia di essere ascoltata e presa in considerazione. Il tema dell’empatia che dovrebbe guidare le scelte volte a tutelare non solo l’interesse patrimoniale, ma anche le volontà dell’assistito.
Zone Transition
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La sua richiesta di istituire una borsa di studio di un valore economico non solo simbolico, per chi vorrà studiare e tutelare l’interesse della beneficiata nell’amministrazione di sostegno per la Facoltà di Giurisprudenza ha trovato accoglienza positiva dall’Università di Foggia. Il Rettore Pierpaolo Limone ha aperto la strada a questa sensibilizzazione. A un tema che sembra lontano, o non appartenerci, ma solo fino a quando a implorarci non è nostra madre o nostro padre.