La storia dei Manese: dal primo mezzo a tre ruote per Pizza Taxy all’impennata di oggi con le due ruote

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Questa storia inizia nel 1982, il 7 marzo 1982. Tre amici che condividono una passione decidono di aprire un punto vendita di accessori e modifiche. Era l’epoca in cui si faceva tantissimo artigianato sulle moto e quelli che oggi sono grandi fornitori sono partiti tutti così, facendo la marmitta o il serbatoio per questa o quell’altra azienda e poi si sono messi sul mercato con questi pezzi after market e hanno iniziato così. Facevano le carene, insomma. Uno più estroso, l’altro meno, e l’altro ancora, il papà di Stefano e Alessandro Manese, votato al commercio. Parte così questa avventura, l’avventura ancora oggi targata Bike Center.

“Loro vendevano ricambi e facevano le modifiche soprattutto sulle moto Guzzi, di cui papà e Franco Grilli erano appassionati. E infatti questo marchio è stato qui fino al 2005 credo. La sede all’inizio era in centro, per un anno, il primo anno, ma i nostri ricordi sono pochi, perché eravamo piccoli”, spega Stefano.

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In suo soccorso arriva Alessandro, a completare il ricordo: “Via Celestino, 36. Aprirono lì, poi si traferirono qui, ma non in tutto lo spazio, perché erano insieme a un orafo, poi c’era un fabbro, nella zona che oggi è l’ufficio, e più indietro una fabbrica di cartoni”. E a loro sembra di sentire ancora il rumore – tutum, tatam, tutum, tatam – ecco, così, raccontano che si sentiva il suono quando assemblava i cartoni.

“Poi loro si sono trasferiti, il fabbro, l’orafo e la fabbrica di cartoni e papà, che nel frattempo era rimasto solo, senza i suoi due amici, rilevò tutto, allargandosi. Papà è stato qui da quando ha aperto a quando è morto”. “Perché morto qui davati - è il ricordo doloroso e faticoso di Stefano - a causa di un incidente stradale. Un pazzo lo ha coinvolto, lo dico senza voler fare polemiche. Papà era sulla bicicletta e questo missile lo ha investito. E’ morto lavorando. La sua era una vera devozione per il lavoro ed era un punto di riferimento e lo è tutt’ora”.

“Le persone lo ricordano, vengono perché c’era lui. Le tantissime persone che sono arrivate per il suo funerale sono la dimostrazione di quanto ha fatto e lui sarebbe stato felice di vedere - aggiunge Alessandro - come diceva sempre, le tre generazioni. I suoi coetanei, i ragazzi e i loro figli. Non c’era un posto in cui lui andava che non lo conoscevano”.

A spiegare come tutto questo sia successo ci pensa Stefano: “Lui faceva una cosa che oggi è normale. Io dico scherzando che era l’Amazon dell’epoca. Tu venivi qua e gli dicevi che il ricambio della tua moto non si trovava o non c’era. E lui lo trovava, partiva la notte, lo andava a prendere e l’indomani glielo faceva trovare in negozio per consegnarglielo. Lo ha fatto un sacco di volte. Era passione? Era pazzia. Quando è morto sono arrivati messaggi da tutto il mondo, anche dall’estero”. Rosario Sante Manese ha vissuto tempi diversi, quei tempi in cui si poteva andare incontro all’esigenza di chi voleva acquistare e non poteva pagare subito. Lui capiva la passione per la moto e si accontentava spesso di un pagherò o di una stretta di mano anticipando il costo del veicolo. Solitamente diceva a chi si lamentava di non avere tutti i soldi al momento “portatill…, non ti preoccupà, po’ mi vieni a pagà”.

Ma erano altri tempi, i tempi in cui la stretta di mano e la parola di un uomo contavano. C’erano gli assegni, le cambiali, ma molto era legato ai rapporti personali. “Fra le altre cose papà è stato ricordato anche per le moto non vendute - ricorda Alessandro - magari perché troppo potenti e non adatte a ragazzi troppo giovani o poco esperti. E quante volte ha detto di no o ha detto, anche se erano maggiorenni, “fai venire a tuo padre”. Era genitore e sapeva che cosa voleva dire svegliarsi e scoprire che un figlio aveva avuto un incidente”.

Stefano e Alessandro sono nati qui, dopo la scuola venivano a giocare. Stefano in azienda gestiva solo l’aspetto economico, i conti, ma svolgeva la sua professione di ingegnere altrove. Rosario era il commerciante vero. Tutti i contratti portano la sua firma. Alessandro, invece, si è diplomato e poi dal giorno dopo è arrivato qui, per passione, vocazione, per diritto di nascita. “Stavamo sempre qua da piccoli e poi è venuto naturale dare continuità all’attività di famiglia”, spiegano.

La passione non è genetica, ma si passa vivendola, ti contagiano i genitori, gli zii, i nonni. Sembra che più che trasmessa, venga sollecitata. “Il sogno dei ragazzini della nostra generazione era andare in giro, viaggiare, uscire e la moto ti dava la possibilità di farlo subito. Oggi purtroppo il mondo lo si scopre attraverso un telefono e l’oggetto del desiderio è diventato più un telefono che una moto”, racconta Stefano.

Zone Transition

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Oggi che lui non c’è più, loro si sono dovuti reinventare. Ora la parte commercio è la parte trainante dell’azienda. Si vendono moto e scooter in maniera equivalente, circa un 60-40 per cento a favore della moto. E moltissime sono le donne che si approcciano alle due ruote – il cento per cento in più all’anno –. Alessandro spiega che questo è avvenuto perché è cambiata la società, si sono sdoganate tante abitudini e poi perché sul mercato ci sono molti modelli con una cilindrata più bassa e più facili quindi da portare per le donne, meno pesanti. La pandemia ha stravolto le regole, raddoppiando le vendite. Una impennata di richieste che hanno duplicato i fatturati per la voglia di uscire, per la consapevolezza di realizzare anche i desideri della propria vita. Insomma, chiude Stefano, “meglio un sacrificio in più per realizzare uno sfizio, piuttosto che un eterno deserto dei tartari”.

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