Capocchiano e la Seconda Repubblica vissuta da straniero. Quando la mafia entrò nelle Istituzioni mentre prima era solo questione di “sfrattati”

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Salgo una lunga scalinata, la porta è aperta, mi ritrovo in uno studio all’antica con arredamento novecentesco. Ambiente molto laborioso e professionale. Dall’altra parte di una scrivania piena zeppa di carte, libri e strumenti vari c’è lui, un’istituzione di questa città. Un uomo che ha passato più tempo nei palazzi del potere di quanti io ne abbia trascorsi su questa verde terra di Dio. Anzi questa volta Dio c’entra un po’ di meno perché non siamo nel complesso universo democristiano, ma siamo un passetto più a sinistra. Sono infatti al cospetto del geometra Raffaele Capocchiano, il totem del Socialismo Democratico di Capitanata, pronto e convinto di sostenere questa intervista senza anonimato o edulcorazioni. Fiero come il fondatore del suo storico partito, l’ex Presidente della Repubblica… Vade retro Saragat!

Con L’Attacco ho iniziato da un po’ a scavare nella storia di Foggia per cercare di ricomporre il complesso puzzle tra politica, affari e mafia, concentrandomi particolarmente sulle intricate vicende degli anni 90’: il sacco edilizio, le prime infiltrazioni mafiose, la fine della Prima Repubblica.       

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L’intervista di oggi è un passaggio d’obbligo in questa indagine; pensate che il Geom. Capocchiano è stato consigliere comunale con il Psdi sin dal 1971 e la sua ultima legislatura è finita nel 2014. Sbadabom… cos’è questo fortissimo rumore? Ah no, è il Procuratore Laronga svenuto nel leggere queste date (si è espresso in maniera molto critica verso i politici di lunghissimo corso n.d.r.). Tornando a noi, il caso è davvero interessante perché le sorti dei Socialisti Democratici, perno del pentapartito di Governo nazionale, si intrecciano proprio con Tangentopoli ed il nostro territorio. Sapevate che uno dei leader politici nazionali arrestati dal pool di “mani pulite” nel 1992 è stato proprio il Segretario del Psdi, nonché originario della nostra provincia? Sto parlando di Antonio Cariglia, cittadino di Vieste. Per la sua inclinazione pacata, fu bersaglio di uno dei corsivi di satira politica più famosi della storia dell'Italia repubblicana, scritto da Fortebraccio per l'Unità: "Si aprì la porta e non entrò nessuno: era Cariglia".     

Fu accusato di concussione, ricettazione, finanziamenti illeciti. Di lui si occuparono le procure di Foggia, Milano e Roma. Dopo dodici lunghissimi anni di processi ne uscì pienamente assolto. Nel frattempo il PSDI venne ridotto a brandelli a tal punto da non potersi presentare alle elezioni politiche del 1994. “E questa è stata Tangentopoli…” esclama il geom. Capocchiano, dimostrando di sentire ancora il peso politico di quella stagione giudiziaria e delle conseguenze nefaste dal suo punto di vista. Successivamente non aderirà al Pds, non farà il transfugo verso altri partiti. La magistratura gli ha ucciso il suo credo ed ha scelto di non piegarsi all’accozzaglia di sigle della Seconda Repubblica.

“Durante l’amministrazione dell’ex Sindaco Verile sono stato Assessore ai Contratti e Contenzioso. Cosa ricordo di quel periodo? Una grande emergenza sociale ed abitativa. Erano davvero altri tempi e non si può guardare al passato con le lenti di oggi. C’erano tanti senzatetto, tanti vivevano in baracche, grotte. C’erano gli sfratti. La magistratura emetteva gli sfratti, e sta gente dove doveva andare? Da lì nacque il piano Benevolo e prima ancora il piano Rutelli. Lo scopo era soltanto di dare case.”            

Non crede che per una città che non è cresciuta demograficamente, anzi è regredita, si sia andato troppo oltre, creando così una superficie urbana ingestibile, difficile da servire con manutenzione strade, illuminazione, raccolta rifiuti ed altri servizi pubblici, e generando solo un’enorme speculazione edilizia che ha arricchito pochi?            

“All’epoca si credeva in un incremento di Foggia da un punto di vista demografico e non solo. Sul piano urbanistico c’era addirittura un eccesso di verde pubblico, per questo si poté edificare. Vista oggi la questione sembra esagerata e si è andati troppo oltre. All’epoca però c’era questa necessità di dare case e quindi si optò per l’edilizia convenzionata ed estensiva”. La questione case popolari nonché quella della speculazione edilizia hanno segnato anche una svolta per gli affari della mafia territoriale, che dal contrabbando ha potuto tuffarsi nell’aggressione del più redditizio settore delle concessioni edilizie e delle assegnazioni delle case stesse. “E’ probabile che dietro quel grande disagio sociale si nascondessero anche interessi mafiosi, ma fino all’omicidio di Panunzio non c’era assolutamente questa coscienza del fenomeno. Panunzio tra l’altro era mio amico di infanzia, una persona perbene, la sua morte mi ha scosso parecchio. Il giorno dell’agguato era venuto in Consiglio Comunale dove si discuteva del piano regolatore, era di fianco a me. Ricordo che prima di andare via mi chiese insistentemente se quel piano sarebbe stato approvato, ed io gli dissi di sì. Il resto l’ho letto dalla cronaca. Non potevo immaginare. Anzi proprio per evitare pressioni dall’esterno, accelerammo l’approvazione del piano regolatore.”   

Tornando alla politica, come assessori avevate un bel potere all’epoca (prima della legge Bassanini). Mi è stato raccontato in un’intervista fatta ad un insider anche di un tariffario per ottenere le concessioni. “Mi macchierei l’anima se parlassi male di Bove (assessore ai lavori pubblici dell’epoca). Era una persona molto pacata e non ricordo che abbia mai fatto pressioni od interventi fuori luogo. All’epoca i partiti gestivano la politica, non le persone. Se c’è stato qualcosa era gestito dai partiti ma sempre con il fine di raggiungere la pace sociale”. Su queste dinamiche da Prima Repubblica trovo l’ennesima testimonianza, la narrazione di ogni personaggio dell’epoca è parte di un coro che sostiene la ragion di Stato, la necessità della politica di sostentarsi e l’obiettivo ultimo di mantenere un livello generale di benessere a differenza dell’arricchimento individuale ricercato oggi. Da qui non ci si smuove, anche contrapponendo al dibattito arresti e condanne del tutto individuali.

“Ero assessore anche con il Sindaco Chirolli, il Santo. Ricordo il suo essere così accorto e mite da preferire spesso il non fare provvedimenti piuttosto che rischiare ci potessero essere irregolarità. Evitava ogni rischio”. Lo abbiamo raccontato nelle precedenti puntante, erano gli anni del risparmio e della cautela dopo lo scoppio del caos di Tangentopoli. Non a caso lasciò le casse comunali con un grande avanzo.           

Nel 95’ si aggiunse a quel clima l’omicidio di Marcone. “Persona integerrima, ucciso sicuramente dalla mafia proprio per il suo non volersi piegare”. E lei questo tipo di pressioni non le avvertiva? – “No io no. Cioè anche sotto casa potevi ritrovarti qualcuno a chiedere qualcosa, però erano questione sempre legate all’emergenza abitativa. Gli sfrattati”.       

Riascoltando l’intervista noto che si passa da momenti in cui si nega l’esistenza di un pervadente grumo malavitoso e di pressione verso la politica ed altri in cui la cosa che chiamiamo mafia è già forte e perfettamente caratterizzata. Anche nel passaggio precedente si passa dal “Panunzio non ci aveva detto niente” al successivo “Abbiamo accelerato le decisioni proprio in chiave anti mafiosa”. I ricordi sono sicuramente opachi, ma il problema è più di “definizione” stessa di mafia rispetto agli episodi dell’epoca. “La mafia agiva indirettamente, usava l’emergenza sociale per fare i suoi affari e crescere”.

Capocchiano nel 95’ è stato candidato Sindaco con la coalizione “Lavoro e Solidarietà”, ma come sappiamo vinse la destra di Paolo Agostinacchio. Passaggio all’opposizione?

“Ricordo un’opposizione molto ferma e decisa da parte nostra, un’opposizione vera, ma dall’altra parte c’era la fermezza del Sindaco nelle sue scelte. Agostinacchio era intransigente.” Il secondo mandato Agostinacchio fu l’inizio dei debiti e dei problemi (una compagnia aerea municipale, rido ogni volta che ci penso), che vennero da lì in poi sempre più aggravati, anche con il ritorno dello stesso Capocchiano in Giunta, negli anni dell’amministrazione Ciliberti.

“Ero Assessore all’Annona, mi occupavo delle licenze e dei mercati, ma anche dell’ambiente e della polizia urbana. Facemmo un grande lavoro sui mercati della città, ad esempio spostando il mercato del Venerdì nella zona ipercoop ed intervenendo personalmente per far mantenere tutto più pulito e decoroso. Molti mercanti locali però non erano pronti, così come la cittadinanza, ad un maggior rigore e senso civico”. Una città come questa è più governabile con metodi autoritari che di concertazione, su questo siamo tutti d’accordo. “Però oltre all’inefficacia di modi e scelte verso determinate strati sociali è stata un’amministrazione purtroppo discontinua, in cui si sono venuti a creare dispersione e scontri interni, aggravati dall’incapacità di governarli. In questo serviva più interessamento da parte del Sindaco”.           

E sull’Amica? L’ex municipalizzata, un tempo gioiello di famiglia, arrivò a gravarsi di debiti per 60 milioni di euro, Lei con la Delega all’Ambiente non poté fare niente per evitare il disastro? “L’azienda aveva un’amministrazione a sé stante, ed al suo interno si sono infiltrati delinquenti che minacciavano per ottenere assunzioni. Famiglie di criminali. Un sistema che si è poi corrotto sempre di più”.              

Dunque famiglie criminali che con atti di violenza hanno ottenuto posti dentro un’azienda del Comune, determinandone inefficienza, debito, collasso a danno della cittadinanza e delle generazioni future. Le potremmo definire, che ne so, con l’espressione “infiltrazioni mafiose”?

Zone Transition

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Lungo silenzio…

Sta di fatto che dal 2014 Capocchiano uscì per sempre da Palazzo di Città, e si evitò il settennato landelliano nonché lo scioglimento per mafia. Lungimiranza e fiuto d’altri tempi.

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