Don Uva, dopo lo sgomento si cercano le responsabilità

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Continuano a tenersi gli interrogatori di garanzia per gli arrestati in carcere nell’inchiesta della Procura di Foggia denominata New Life, che ha riguardato il reparto femminile dell’ex istituto ortofrenico Opera Don Uva di Foggia. Dietro le sbarre sono finiti sette sanitari, altri otto ai domiciliari e per altri 15 è scattato il divieto di dimora in struttura e di avvicinamento alle vittime. Le accuse sono agghiaccianti, per tutti (esclusi due che sono accusati solo di favoreggiamento) si parla a vario titolo di maltrattamenti, sequestro di persona, abusi sessuali.

“Hanno consapevolmente contribuito, con le specifiche condotte maltrattanti da loro poste in essere ai danni di singoli degenti, all'instaurazione di un clima di intimidazione tale da fare vivere tutti i degenti del reparto in una condizione di perenne assoggettamento e paura”, è così che si esprimono gli inquirenti dell’ordinanza che ha dato esecuzione alle misure cautelari. Gli investigatori ritengono che gli indagati (per lo più dipendenti storici della struttura in servizio da decenni) abbiano concorso a imporre alle vittime una condizione di costante intimidazione “costringendole a subire direttamente le condotte aggressive e ad assistere impotenti alle ingiurie, alle minacce e alle percosse inflitte alle altre degenti o, comunque, a sentirne le urla o il bussare disperato alle porte delle stanze ove le stesse venivano rinchiuse”.

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Su queste colonne si è dato conto in maniera approfondita delle condotte e degli episodi di brutale violenza e disumanità captati dai Carabinieri che hanno eseguito le indagini avvalendosi di videocamere e cimici nascoste in reparto, peraltro sabotate dagli stessi indagati timorosi di essere monitorati, dopo i fatti della Stella Maris di Manfredonia. Lo sgomento e il disgusto ora però lasciano lo spazio alle riflessioni, alla ricerca delle cause che possano aver portato ad un tale orrore.

E’ stato lo stesso Procuratore capo Ludovico Vaccaro in conferenza stampa ad affermare che sono in corso accertamenti per individuare eventuali responsabilità di carattere amministrativo e gestionale rispetto a quanto accaduto. Ma anche nell’opinione pubblica monta l’interrogativo: chi gestisce la struttura avrebbe potuto scongiurare l’orrore?

“Non vorrei essere nei panni dei genitori e dei parenti delle vittime, non posso nemmeno immaginare il dolore che hanno avuto apprendendo questa notizia”, è stato il commento di Dino Marino, politico di San Severo, oggi in Azione/Italia Viva, già presidente della commissione sanità in consiglio regionale, ai tempi di Nichi Vendola governatore. “Immagino, pure, il dolore di quei 25 pazienti che sono stati umiliati, vessati, picchiati, che hanno subito violenze al Don Uva, a Foggia – ha aggiunto -. La magistratura ha fatto benissimo ad intervenire, ne arresta 15 e ne indaga altrettanti. Dopo questa vergognosa situazione, il presidente Michele Emiliano e l’Intera giunta regionale dovrebbero intervenire e sospendere le convenzioni con il Don Uva, assicurando ai malati altre strutture di cura e di sostegno. La Regione deve aprire una verifica amministrativa in questa struttura e in tutte quelle convenzionate a vario titolo. Le convenzioni vanno verificate costantemente e non sono concesse una volta per sempre. Andrebbe verificato mensilmente il possesso dei requisiti. Emiliano e i suoi adepti sono i responsabili morali di questa situazione. I pugliesi non possono concorrere a pagare una struttura sanitaria che diventa un drammatico lager”. Marino chiama in causa la Regione in quanto, come è noto, è stata protagonista attiva del salvataggio del Don Uva, in profonda crisi finanziaria durante la gestione della Congregazione delle ancelle della Divina Provvidenza, passato poi nella proprietà della società tutta foggiana, Universo Salute, nella cui compagine ci sono gli imprenditori Paolo Telesforo e Michele D’Alba.

Respingono tutte le accuse dalla proprietà, rivendicando innanzitutto la massima collaborazione con le autorità, essenziale nello sgominare il sistema degli orrori.

In effetti, moti addetti ai lavori credono che i vertici dell’azienda non fossero al corrente degli abusi perpetrati in quel reparto, una tesi teoricamente corroborata anche dall’organizzazione aziendale disposta dalla legge per una struttura di tali dimensioni, che fissa una serie di responsabilità gerarchiche ben precise. “Se lo avessero saputo Telesforo e i suoi, li avrebbero cacciati fuori a calci”, il commento di alcuni beninformati. “Basti vedere cosa succede nella Rsa, se un familiare di un ospite ha qualcosa da ridire su qualche dipendente, scattano come minimo le sanzioni disciplinari. E in diversi casi sono passati direttamente al licenziamento senza perdere troppo tempo. Altri sono stati spediti a Potenza o viceversa”.

Proprio per timore di ripercussioni gli indagati si sarebbero tanto ingegnati a trovare sistemi per percuotere le pazienti senza lasciare segni o lesioni sul corpo. “Sapevano benissimo che li avremmo licenziati e denunciati. E conoscevano perfettamente la linea e l'impegno dell’azienda per umanizzare le cure”, il commento dell’amministratore delegato di Universo Salute Luca Vigilante a l’Attacco.

In una conversazione captata dai Carabinieri, tra l’infermiera Amodio (in carcere) e un suo collega, la donna accenna alle problematiche che derivano dalla gestione del reparto, addebitando il tutto alla struttura per l'incongruità del rapporto operatori/pazienti: "Cioè, tu pretendi un servizio di 4 persone, da 2 persone? Oh, ma che sei impazzito?''. Quindi parla della necessità di ricorrere alla "chiusura" delle porte per evitare che le pazienti potessero circolare liberamente nel plesso.

Anche su questo Vigilante chiarisce: “In quel reparto ed in quella struttura ancora oggi il personale è al di sopra degli standard regionali. E non lo diciamo noi, lo disse già il commissario straordinario ministeriale il quale accertava un esubero del 30% in più di tutto il personale rispetto agli standard normativi. Inoltre è risaputo che le assenze o le ferie vengono immediatamente sopperite dall'agenzia di somministrazione autorizzata incaricata. Abbiamo consegnato all'autorità giudiziaria i turni e la presenza certificata dei lavoratori a dimostrazione di ciò che sto dichiarando”.

Sempre sul personale c’è chi fa notare come si tratti di un lavoro particolarmente duro, senza voler per questo giustificare le barbarie, ci si chiede cosa sia stato fatto per ridurre il rischio di forti stress e burnout. “I dipendenti avevano disposizione uno psicologo tutti i giorni per poter scaricare l'eventuale stress lavorativo – ha precisato l’ad di Universo Salute -. Facciamo in modo che non lavorino più di 4 o 5 giorni a settimana, raramente arrivano a 5. Erano sempre chiamati e coinvolti in piani formativi di sensibilizzazione delle buone pratiche operative. Avevano a disposizione sempre medici specialisti per qualsiasi evenienza”, ma a quanto pare la deriva era ormai irreversibile.

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Il destino degli indagati pare ormai segnato: dopo la sospensione, scatterà il licenziamento che dovrebbe essere formalizzato dalla società già in queste ore.

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