La piscina? Poco più profonda di una vasca da bagno. La palestra? Un solo attrezzo e un tapis roulant, sotto il sole. Risultato: ferie rovinate e richiesta di rimborso. Accolta, dal giudice di pace. Doveva essere una vacanza all’insegna del wellness quella di F.G.L.M, 44 enne milanese che, nel giugno del 2018, decide per dieci giorni di relax in Puglia.
Dopo una rapida (troppo?) ricerca su Booking.com il nostro turista pensa di avere trovato ciò che fa al caso suo: un albergo a Vieste, nel Foggiano, provvisto di spa, palestra e piscina. Sulla prima, niente da obiettare: sono le ultime due a fare storcere il naso, dal momento che non corrispondono affatto alle immagini pubblicate sul sito.
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Giorno uno: il vacanziere milanese, che aveva sborsato in anticipo 2.250 euro, annuncia al titolare la sua intenzione di sloggiare. Gli rispondono picche: può cambiare aria, ma perderebbe i suoi soldi. Il rimborso sarebbe infatti arrivato solo in caso di nuova prenotazione della sua camera, nel frattempo reimmessa su Booking.
Giorno tre: il turista, esasperato, fa armi e bagagli e se ne va. Rispedisce al mittente la salomonica offerta di Booking — che mette sul piatto 1000 euro per liquidare la controversia — e si appella alla magistratura per riavere indietro il suo denaro.
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Ora, dopo un contenzioso di tre anni, il giudice di pace di Milano Alexia Dulcetta ha accolto il suo ricorso e ordinato alla struttura di rimborsare i sette giorni già pagati e non goduti, oltre alle spese processuali.
(Corriere della Sera - Milano)