ASE Manfredonia, incendiata l’auto del coordinatore del personale. Un altro atto inquietante dopo i proiettili a Rossi

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Ha il sapore, inquietante e amarissimo, di un ennesimo atto intimidatorio l’incendio che domenica sera, a Manfredonia, in pieno centro, ha distrutto l’auto di Michele Binetti, dipendente

di ASE spa, la partecipata dei servizi ecologici.

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Pare sia il primo atto ai danni di Binetti, la cui auto è andata completamente in fiamme intorno alle ore 20.00 sotto l’abitazione situata in via Galilei, nel popoloso quartiere Monticchio.

Non si tratta di un dipendente qualsiasi, peraltro, ma di colui che coordina le squadre del servizio di raccolta. Insomma, Binetti è l’uomo a cui fa capo il personale, che dice a ciascuno cosa fare, che dispone le ferie, etc.
Ed è la persona che ha preso il posto, in tale ruolo, di Michele Fatone, citato nella relazione prefettizia che portò nel 2019 al commissariamento del Comune sipontino per infiltrazioni mafiose.

Mentre gli inquirenti cercano di capire cosa sia avvenuto domenica scorsa, val la pena ricordare quanto la partecipata del servizio di igiene urbana (negli scorsi anni attiva anche a Vieste e Monte Sant’Angelo) sia stata al centro delle indagini sui (rischi di) condizionamenti mafiosi negli organi di governo.

La commissione di accesso pose l’accento sui diversi pregiudicati presenti nell’organico della società in house.
“In ASE sono stati scovati una serie di soggetti gravati da numerosi precedenti penali e di polizia, ovvero appartenenti a famiglie note della criminalità organizzata di questo territorio”, scrissero nella relazione.

Vari i membri della famiglia Fatone (i cosiddetti racastill, soprannome di famiglia), tra cui il pregiudicato Michele, che fino agli scorsi anni è stato capo ufficio ispettivo settore tecnico/sindacalista aziendale e che fu coinvolto nel noto processo alla mafia garganica Iscaro-Saburo. Presenti anche il fratello Ciro e il figlio Raffaele. Allo stesso ramo familiare appartengono gli Albonino, anch’essi ben noti alle forze di polizia e coinvolti nel medesimo processo.

Tra i dipendenti di ASE figura Giovanni Albonino, fratello del noto Damiano. E, ancora, vi lavora pure Giuseppe Lombardi, detto “Peppe fiore” che - anch’egli coinvolto nel processo Iscaro-Saburo - era in quel contesto accusato di estorsione aggravata dal metodo mafioso, in concorso con Franco Li Bergolis (capo dell’omonimo sodalizio mafioso) e altri. In ASE anche Francesco Mangini, con numerosi precedenti di polizia per traffico di sostanze stupefacenti.

La relazione si soffermava su vari episodi di minacce e violenze da parte dei Fatone, come quello avvenuto a gennaio del 2019, quando un altro dipendente di ASE denunciò di esser stato picchiato da Michele e Raffaele Fatone mentre era intento nella raccolta dei rifiuti sul lungomare, nei pressi dell’esercizio commerciale Pescheria Martello. “Quella che potrebbe apparire come una ordinaria scaramuccia, nasconde – a ben vedere - più gravi fenomeni”, fu il commento della commissione di accesso nella relazione.

“Al di là del ricorso alla violenza ed alle intimidazioni, colpisce la protervia usata, ma - ed è questo il punto - la particolare attenzione dedicata dai Fatone, peraltro liberi dal servizio, ad un’attività commerciale legata al pescato”.

Negli scorsi anni il personale di ASE lamentò la presenza di un vero e proprio “ras” in azienda, il quale era solito spadroneggiare tra i colleghi.
Una situazione che è nettamente cambiata quando al vertice della società in house è arrivato l’attuale amministratore unico Raphael Rossi, il manager torinese esperto di imprese pubbliche dei rifiuti chiamato dalla commissione straordinaria.

L’atto incendiario contro l’auto di Binetti fa seguito ai protettili recapitati da ignoti ad agosto 2021 a Rossi, che ai tempi di Gianni Mongelli sindaco di Foggia fu per qualche mese anche a capo della municipalizzata del capoluogo. Tuttora non si sa chi ci sia dietro quel chiaro attentato intimidatorio.
“L’azienda sembrava legata a contratti di forniture inefficienti impastate da logiche clientelari”, raccontò mesi fa Rossi nel suo blog su Il Fatto Quotidiano.

“L’azienda chiuderà il 2021 con un notevole risparmio di costi, utili mai registrati e, allo stesso tempo, il raggiungimento del 65% di raccolta differenziata. Tutto come frutto di un lavoro accurato e puntuale impostato con i miei validi collaboratori e durato poco più di un anno in un’azienda diventata squallidamente un ammortizzatore sociale ed un “poltronificio” per una classe dirigente più interessata a cristallizzare lo status quo che a percorrere la strada del necessario cambiamento. Dal 2015 una politica scellerata ha cambiato sette amministratori unici della società nel segno della discontinuità ingessante dell’azione amministrativa. Nessun concorso era stato mai fatto per assumere personale e la scelta che ho fatto di bandirne uno quest’anno per qualcuno è suonata come “campana a morto” per il sottoscritto in qualità di amministratore pubblico. In ASE su 100 dipendenti complessivi non c’è una sola donna! In ASE, è stato accertato, un dipendente collegato ai clan ha picchiato per strada due netturbini perché tutti vedessero che la criminalità gestisce l’azienda con rigore”, rimarcava il manager piemontese.

Zone Transition

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“Non ci sono elementi che facciano pensare ad un'ipotesi piuttosto che a un'altra”, spiegò Rossi a l’Attacco meno di un mese fa rispetto all’intimidazione compiuta nei suoi riguardi. “Di certo c'è un contesto di relazioni che sono state tese con fornitori e dipendenti. Aver cambiato le cose in azienda non è piaciuto a tutti. Oggi tutti i fornitori sanno che possono lavorare con me. L’episodio del dipendente picchiatore era riportato nella relazione della commissione di accesso, un fatto che parla del modus e del linguaggio della violenza. Molti in azienda sono venuti a parlarmi di come quell’uomo in passato li avesse tiranneggiati. Oggi quella persona è stata messa in condizione di non avere più rapporti con i suoi colleghi, è stato tolto dalla funzione gerarchica che aveva in precedenza”.

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