Si sono tenuti ieri mattina gli interrogatori di garanzia dei quattro indagati di Lucera raggiunti venerdì scorso da misure cautelari con accuse di tentata estorsione e lesioni ai danni di un imprenditore. Sono finiti in carcere i fratelli Mario e Vincenzo Cenicola, rispettivamente di 48 e 37 anni, entrambi dipendenti di un’azienda che gestisce la manutenzione comunale del verde pubblico, mentre per il loro cugino Antonio Cenicola, operatore del 118 di 38 anni, ed Emanuele Testa di 34, è stato disposto il divieto di dimora in città e di rimanere comunque a una distanza di almeno mille metri dalla presunta persona offesa. Il primo è assistito dall’avvocato Carlo Mari, mentre gli altri tre sono seguiti legalmente da Giacomo Grasso.
Tutti si sono professati innocenti davanti gip Antonio Sicuranza che, con insolita e veloce tempistica, ha impiegato solo cinque giorni per accogliere seppur parzialmente le richieste del pubblico ministero che in realtà aveva chiesto il carcere per tutti, proprio a maggior tutela della persona offesa. La procura seguiva da oltre un anno la complessa vicenda, legata al mondo delle slot machine in cui sono confluiti gli interessi di tutti, compresi quelli del fratello di chi ha denunciato, il quale però non risulta indagato in questo procedimento.
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In effetti quella che emerge è una brutta di dissidi a sfondo economico, anche familiari, visto che gli uomini della Tenenza della Guardia di Finanza di Viale Castello ritengono di aver ricostruito una condotta criminale in un quadro di agguerrita e asfissiante “delinquenza ambientale” attiva sul territorio lucerino da parte degli arrestati.
Il gip nella sua ordinanza ha subito inquadrato la questione in un tessuto sociale definito “difficile” e caratterizzato da un clima di “sofferente rassegnazione nelle vittime di fatti anche di allarmante gravità, per cui le condotte estorsive spesso non abbisognano di plateali gesti di intimidazione”.
Secondo gli investigatori, i quattro avrebbero fatto ricorso a violenza, minacce e l’utilizzo di armi improprie (in un pestaggio avvenuto l’8 settembre 2021 sarebbero stati usati dei caschi), provocando lesioni personali all’imprenditore, tentando di costringerlo prima ad abbandonare la propria società, che deteneva al 50%, senza avanzare alcuna pretesa economica di liquidazione. Alla fine l’uomo ha dichiarato di aver ottenuto 80 mila euro, ritenuto circa un quinto di quanto gli sarebbe effettivamente spettato, circostanza che gli indagati avrebbero considerato comunque un affronto, poiché auto dichiaratosi soci della compagine iniziale.
Nel 2019 l’imprenditore si è messo in proprio, ma successivamente ha riferito alle Fiamme gialle di aver ricevuto una richiesta di 300 euro mensili per poter continuare a detenere i propri apparecchi negli esercizi commerciali della città. “Servono per chi sta in carcere” è la motivazione che sarebbe stata avanzata nell’occasione da autori, secondo gli inquirenti, di intimidazioni ambientali derivante dal proprio calibro criminale.
La storia ha portato alla mente quanto accaduto poco meno di un anno fa, quando gli stessi finanzieri eseguirono l’operazione “Poker d’Assi” per una vicenda praticamente identica ma ai danni di persona diversa, sebbene sempre legata agli apparecchi elettronici per intrattenimento.
In quella occasione è risultato il coinvolgimento di Michele Cenicola, 54enne altro cugino dei tre omonimi e che il gip per questa inchiesta ritiene “rimanere sullo sfondo dell’attuale vicenda”, seppure non indagato. Era stato accusato di tentata estorsione ai danni di un operatore del settore al quale avrebbe chiesto una quota di “ingresso” di 10 mila euro e un’altra mensile di 500 per poter installare i propri apparecchi sulla piazza di Lucera. Secondo quanto riferito a novembre 2021, avrebbe utilizzato il suo curriculum criminale (associazione per delinquere di stampo mafioso finalizzata allo spaccio di sostanze stupefacenti, omicidio doloso, porto abusivo di armi, lesioni personali, violenza e minaccia a pubblico ufficiale e ricettazione) per fare pressione sulla presunta vittima che avrebbe completamente lasciato il territorio, ritirandosi dal mercato locale. Cenicola era già agli arresti domiciliari (con un permesso di uscita dalle 10 alle 12 di ogni giorno) perché stava scontando i residui di una condanna a 18 anni e 10 mesi inflitta per il suo coinvolgimento nell’omicidio di Nicola Tedesco avvenuto il 24 settembre 2003.
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Nel curriculum di Vincenzo Cenicola, invece, figura una condanna a otto anni e sei mesi di reclusione già finita di scontare, e relativa all’omicidio di Fabrizio Pignatelli, avvenuta la sera del 30 agosto 2011 davanti al circolo ricreativo di quest’ultimo, in via Carlo Marx. Durante il processo “Atlantic city”, mutuato dal nome del locale, l’uomo ha ammesso di aver fatto fuoco quattro volte contro l’allora coetaneo, ma affermando di non aver avuto il proposito di uccidere. In effetti, in Corte di Appello e difeso dall’avvocato Giancarlo Chiariello, dopo un pesante giudizio di primo grado nel quale gli erano stati inflitti 19 anni di carcere, gli è stata riconosciuta la natura preterintenzionale del reato. In quello stesso procedimento figurava anche accusato di estorsione e incendio ai danni di due imprenditori lucerini del settore edilizio che si era costituiti parte civile nel processo.