Amore per ciò che si è deciso di fare nella vita; tempo da dedicarvi e Umanesimo: questi i concetti chiave che contraddistinguono la vita professionale (e non) di Potito Salatto, medico e imprenditore della sanità privata, fondatore dell’omonimo Gruppo. Tramite una lunga chiacchierata con l’Attacco, Salatto ha consegnato una personale lettura dello stato dell’arte (“senza la pretesa di dare giudizi”, tiene a precisare) del suo contesto lavorativo e, in qualche modo, della società della Capitanata che affronta un momento non proprio felice della sua storia.
Dottore, non si può che partire dalla sanità.
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Il tema è certamente la sanità, soprattutto perché la guerra ha un po’ messo in sordina il problema. Eppure, fino a dicembre dell'anno scorso almeno per noi che viviamo nei reparti ospedalieri è stato molto sentito; a dire la verità, ancora oggi abbiamo dipendenti che si ammalano, anche in forme gravi, di Covid.
La pandemia non ha fatto altro che mettere in risalto vecchie criticità.
Purtroppo, con molta chiarezza, devo dire che questo problema è stato sentito come al solito maggiormente dai cittadini, in particolare dai più indigenti, inascoltati a cui nessuno risponde appunto. La politica invece si è chiusa nelle sue stanze mentre mi sarei aspettato una maggiore responsabilità dal punto di vista etico, dei controlli e dell'aiuto. Devo riscontrare che a partire dal livello nazionale non ci siano stati leader vicini alla gente: lo dico come cittadino Tito Salatto e come componente dell'Aiop. La Regione Puglia si è trincerata dietro un formalismo reale, questa è la legge e non si può fare altro, ci è stato detto. Ma sul piano concreto i nostri fatturati sono stati ovviamente inferiori a quelli degli anni passati, ci è stato liquidato un acconto che però si è rivelato a debito, visto che l'avremmo dovuto restituire, la giustificazione è stata: la Puglia è una regione in piano di rientro. Voglio ricordare però che è saltato il patto di stabilità europeo, molti miliardi a fondo perduto sono stati elargiti dallo Stato e per la ospedalità privata c'è stata difficoltà a perfino a rimborsare un 2% per l'aumento degli stipendi dei nostri dipendenti, statuito nel 2019 e che abbiamo dovuto mettere in pratica, da imprenditori corretti, tra il 2021 e il 2022. A parte qualche scivolamento di tetto e di fatturato c'è stato anche qualche imprenditore che non è riuscito farlo per la effettiva difficoltà riscontrata negli anni del Covid. In tutto ciò, ci è stato chiesto di sospendere i ricoveri ordinari, di evitare i ricoveri urgenti, di sospendere l'assistenza domiciliare e di accettare i pazienti urgenti del Pronto Soccorso che venivano dimessi perché non potevano stare in ospedale.
Un terremoto di proporzioni bibliche per il settore privato.
Eppure dopo tutto ciò, è ancora difficile per l'Associazione italiana ospedali privati parlare con l'assessore o col presidente, non veniamo ascoltati, sembriamo i pirati della sanità. Anche i grandi big della sanità non stanno facendo fatturato mentre per contro non ci stanno rimborsando i ricoveri Covid se non in rari casi. Tutto questo mentre si apre il dibattito politico, a mio avviso stupido, a livello nazionale e ci si chiede perché il cittadino non vada più a votare: ma perché dovrebbe se neanche nella pandemia le istituzioni sono state vicine?
Quali sono le conseguenze a livello pratico di questo scollamento?
Una su tutte, a titolo d’esempio: le liste d'attesa sulle quali in realtà c'è una legge che dovrebbe essere applicata. Ne stiamo parlando da gennaio e qui entra in gioco il famoso ruolo di programmazione. non riusciamo più ad avere un tavolo di riferimento per sapere chi avrà i soldi, a quale specialità verrà data priorità, in quali territori. Capisco che sia saltata la programmazione nel 2021 ma che ne sarà di tutte le prestazioni di prevenzione delle patologie, di cura e riabilitazione? Anche quel cittadino che non aveva ascolto nella provincia di Foggia o in Regione Puglia e che poteva andare a Milano, non si è potuto più muovere e quindi curare. Non voglio ergermi a giudice, la mia è un'anima critica e ritengo che servissero disposizioni di emergenza per un'emergenza. A l'Attacco e ai suoi lettori vorrei far notare: quale regione è mai uscita dai piani di rientro? Non si può uscire dalla crisi esportando 200 milioni di migrazione passiva, bloccando quella attiva, il risultato è che non c’è salute. Ci sarebbe quasi da vedere a quello che fa il governatore della Campania Vincenzo De Luca che non partecipa più agli incontri Stato Regione e fa come gli pare. La Puglia ha già fatto altre battaglie politiche, ad esempio per il gasdotto, il presidente Michele Emiliano prese posizione a difesa della sua terra e mi piacque molto. Ora è il momento di fare una battaglia per la sanità.
Che cosa andrebbe chiesto?
Va detto che al tavolo nel quale si decide, a maggioranza c'è il Nord e quale regione rinuncerebbe a tre o quattro miliardi che dal Sud vanno in Emilia Romagna, Veneto e Lombardia? Bisognerebbe ripianare ad esempio i debiti in Calabria, dilazionando i tempi e consentire ai cittadini di quella regione di avere gli stessi servizi che hanno i lombardi. In questa fase della mia vita sto vivendo con disagio il fatto che non si curino le persone e che non si dia attenzione ai deboli in un momento di malattia. È giusto che si dia attenzione anche agli altri settori dell’imprenditoria e dell’economia ma se una persona sta male e paga tutti quei soldi in contributi e tasse potrà avere la possibilità di essere curato in quattro o cinque mesi invece che in un anno? A questo proposito mi piacerebbe che ci fosse una maggiore trasparenza (più che giuridica, etica: non penso che ci sia un qualche mal tolto) che ci consenta di sapere che si soffre per un motivo: cambierebbe me, gli imprenditori privati, i medici, la gente che muore, gli infermieri che si infettano.
Che ruolo ha dal suo punto di vista la sanità privata in una regione come la nostra?
Avevo 32 anni quando arrivai al Policlinico di Bari, vinsi un concorso e non c'era nessun pugliese in cardiochirurgia universitaria. C'era però la fuga di tutti i pazienti dialitici verso il Nord perché non c'era la dialisi. Ad un certo punto alcuni imprenditori di fuori, con il supporto di altri pugliesi, si inventano delle cliniche in cui ci sono dialisi e cardiochirurgia. Da quel momento sono spariti i viaggi della speranza per insufficienze renali e si è dimezzata la migrazione cardiochirurgica; ecco perché non possiamo accettare quei discorsi in cui si dice che quando il pubblico va male il privato si arricchisce, è esattamente il contrario. Il sistema sanitario delle regioni più efficienti come Emilia Romagna, Lombardia e Veneto funziona proprio perché va bene anche il pubblico, vale a dire che se negli ospedali del sistema sanitario nazionale ci sono i professionisti di punta ne possono beneficiare anche le strutture private di quello stesso territorio, ecco perché i due settori devono andare di pari passo per poter essere entrambi efficienti, non prevale uno a discapito dell'altro e viceversa. Il nome del chirurgo ad esempio è importantissimo, il malato ha bisogno di un sacerdote che attiri i cuori, che dia fiducia, cerca una persona che dica: ‘in questo credo’ per mettere la propria vita nelle sue mani, è importante. Nel mio contesto ad esempio sono sempre stato molto vicino ai pazienti ed è stato molto apprezzato. Questo modello si è un po’ perso e allora compensiamo con strumenti all'avanguardia ma sono delle isole non collegate tra loro.
Che ne pensa della provincia di Foggia? Qui ci sentiamo in una sorta di apartheid e per questo, peraltro, ci sgridano da Bari.
Ho lavorato al Policlinico del capoluogo regionale per quasi 10 anni e in passato e non c'era molta differenza tra Bari e Foggia, può darsi che noi foggiani ci siamo meritati in questi anni un deterioramento ma allora mi chiedo: a che servono una Regione e uno Stato se non a riequilibrare queste differenze? Se ci siamo meritati o no questo decadimento non lo so ma oggi cerco di capire quali sono le armi che Stato e Regione vogliono mettere in campo per riequilibrare le sorti di questo territorio. Intanto da qui si va via, chi ha la possibilità cerca di costruirsi un futuro altrove mentre chi resta fa fatica anche per avere dei servizi. Anche il mondo della comunicazione, dell'informazione e del giornalismo, a parte qualche eccezione, ha il suo centro a Bari. Forse questo dipende dal fatto che in passato anche a livello elettorale di Foggia si doveva tenere più conto per via della configurazione dei collegi, oggi contiamo ben poco. Faccio queste riflessioni perché come cittadino mi sento triste, non perché voglia esprimere giudizi.
Oltre al contesto della sanità, ci sono altre criticità che coinvolgono la Capitanata e spesso questo dipende dal fatto che si faccia fatica ad accettare regole, anche di educazione civica e di convivenza, da cosa dipende dal suo punto di vista?
Dipende da un pietismo diffuso e ipocrita; ma se si ha pietà della gente bisogna aiutarla, non perdonarla e chiudere un occhio sulle irregolarità anche quotidiane, come le multe. Io credo molto nella giustizia e nel senso civico ma la legalità ha a che fare anche con un istinto, deve essere una sorta di Dna che si tramanda. Lo si sente quando si sbaglia, anche se non si conosce la legge che si sta violando. Penso che ci sia molta illegalità colposa che però si aggiunge a quella dolosa.
Lei è alla guida di un'impresa che è di fatto un micro mondo in cui, come un cubo di Rubik, ogni elemento va perfettamente incastrato all'altro, quali sono le tre cose da fare, per fare bene?
Sono sempre stato un medico chirurgo poi approdato all’imprenditoria, e una delle prime cose da fare è amare quello che si è deciso di fare e non metterlo strumento; occorre poi dedicarvi tempo e quindi sacrificarsi. Sa cos’altro serve? L'Umanesimo: avere una cultura umanistica. Questa dovrebbe essere la caratteristica di ogni azienda, l'esempio è Del Vecchio, da poco mancato. Lui ha trascinato con sé le persone, era un leader. Tra leadership e umanità poi si intersecano le competenze e la curiosità, senza la quale non si va molto lontano.
Se dovesse dare un consiglio ai foggiani, quale sarebbe?
Zone Transition
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Viaggiate, risparmiate per viaggiare, io stesso, viaggiando mi sono trasformato in un uomo capace di guardare al mondo. Viaggiare aiuta a fare i paragoni, non possiamo essere insoddisfatti di qualcosa senza capire perché, senza sapere cos’altro c’è altrove. Solo così l'insoddisfazione può essere un'emozione che muove qualcosa di positivo e non solo un sentimento negativo.