Antonetti 1901-2023: Dammi un pezzo d’oro

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Tre milioni di debiti, una moglie che lo ha seguito e incoraggiato nella scelta di passare dalla libera professione, quella di avvocato, all’apertura di un negozio a modo suo, secondo quell’insegnamento che già don Michele, suo padre, gli aveva mostrato. Fallo fare, largo ai giovani, diceva ai rappresentanti che si meravigliavano a fare acquisti con un ragazzino tanto giovane. Tanto giovane che a dodici anni aveva già le chiavi del negozio. Paolo Antonetti oggi aspetta che siano i suoi figli, Michele e Alessandra a determinare il futuro dell’attività. E se Michele la porterà avanti, quel 1901 che segna la nata di nascita del fondatore, sarà ancora lì, sull’insegna, dove si sono viste recentemente scene incredibili, con file e file di clienti e security a tenere l’ordine, per l’acquisto di Pandora, che ha cambiato le regole del commercio di settore. Antonetti oggi vanta questo marchio e uno degli spazi più grandi e importanti di Mont Blanc. E tanto altro, fra pezzi di storia e creazioni nuove. Con un’idea regina: il bicchiere va visto sempre mezzo pieno. Come quando, dopo un terribile furto, proprio alla vigilia di San Valentino, appuntamento importante per la gioielleria, quando tutto sembrava perduto e difficile da rimettere in piedi, ha vinto la consapevolezza che si deve andare avanti e che invece di piangere e disperarsi si deve mettere a posto per riaprire l’indomani. Mettere a posto ha significato ritrovare un orologio Chopard, fra i più importanti, sfuggito ai ladri, aver aperto e averlo venduto, trovando risorse ed entusiasmo per ripartire.

Antonetti 1901-2023: quanto è cambiato il mondo della gioielleria in questo arco lungo di tempo?

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Antonetti 1901 sta a ricordare il fondatore dell’azienda, che è nato nel 1901, ecco il perché di questa data. L’attività inizia qualche decennio dopo, con mio padre Michele Antonetti, che aprì un laboratorio orafo. Realizzava in base alle richieste del cliente il disegno e poi il gioiello. Totalmente a mano, perché in quell’epoca non c’erano grandi aziende, non c’erano rappresentanti, mezzi di distribuzione come oggi. Negli anni ’30-’40 trasferisce l’attività, che diventa da laboratorio, un negozio, in Corso Cairoli.

E così entra nel mondo del commercio vero e proprio.

Sì, perché si poteva avere il prodotto già pronto e si poteva vendere direttamente.

Gioiellerie e orologeria. Che marchi c’erano in quegli anni?

Non c’erano ancora brand. C’erano aziende di produttori che distribuivano grazie al viaggio e al giro di quei rappresentanti che si riempivano le valige di merce, partivano da Valenza per quanto riguarda la gioielleria, da Arezzo o da Napoli per l’oreficeria. Collane, catenine, medaglie di tutti i Santi, bracciali e fedi. Pochi modelli. I primi accenni alla modernità, a quello che poi sarà lo sviluppo futuro del settore, arrivano con quello che fa Unoarre, grande azienda di oreficeria nel mondo, che per prima realizzò la medaglia dell’amore e la lanciò proprio a San Valentino.

Cos’era?

E’ stata la prima occasione di vedere un packaging, una pubblicità. Era una medaglia rotonda con il segno più e il segno meno e una frase incisa dietro. Nelle versioni più preziose, aveva rubini o diamanti. Quella è stata la prima volta in cui il cliente entrava e chiedeva un articolo specifico. Diversamente, si veniva a comprare un pezzo d’oro. Così dicevano, quando venivano a scegliere un regalo per una nascita, una cresima o un evento. Non chiedevano un gioiello, ma per loro l’idea era quella di acquistare un pezzo d’oro. Perché a prescindere dal gusto, lo scopo era che chi riceveva quel gioiello, avrebbe avuto un valore da conservare nel tempo. E oggi, devo dire che quel pezzo d’oro messo da parte, ha salvato molte famiglie, perché ha mantenuto inalterato il suo valore.

Come continua la vostra storia?

Il palazzo dove eravamo fu buttato giù e nel ’62 ci trasferimmo più avanti, sotto i portici.

Lei era già entrato nell’attività?

Io pur avendo mezzo secolo di differenza d’età con mio padre, da bambino, stavo sempre in negozio. Mamma ci andava il pomeriggio, perché la vita del negozio era diversa da oggi. Si chiudeva la sera, anzi, non si chiudeva nemmeno, perché c’era molta più tranquillità, e si stava lì davanti con una birra e dei taralli, a chiacchierare, a giocare a carte. Io andavo alla ghiacciaia a prendere le birre e si passava così la serata. Da quando avevo cinque, facevo finta di riparare orologi, martellavo, sistemavo pezzi. Poi dai dieci ai dodici sono diventato più grande e responsabile e con orgoglio dico che a dodici anni avevo già le chiavi del negozio. Papà aveva già una sessantina d’anni, ma non erano i sessant’anni di oggi, e mi ha subito dato spazio.

Quindi è stata passione, non una continuità dettata dalla necessità, da quel passaggio generazionale quasi obbligato che vediamo nelle famiglie?

E’ stato naturale all’inizio, perché sono nato nel negozio. I miei fratelli hanno preso altre strade, mentre io ho sempre respirato l’aria del negozio, e poi mi sono appassionato. E infatti quando abbiamo realizzato il negozio nuovo, papà già mi aveva lasciato dire la mia, su arredamento, scelta dei pezzi del negozio, delle vetrine. Ricordo lo sguardo dei rappresentanti quando mio padre gli diceva che dovevano parlare con me.  Ma possibile? E lui spiegava che il futuro sarebbe stato nelle mie mani e che quindi era giusto che fossi io da subito a occuparmi degli acquisti. Largo ai giovani, gli diceva. Fallo fare… E questo per me è stato un grande insegnamento.

Quale è stato il suo apporto all’attività?

Siamo negli anni ’70. Comincia allora la mia trasformazione , portando aziende diverse. Intanto, a metà degli ’80 ho ripreso gli studi e mi sono laureato, ho praticato la libera professione. Poi la svolta. Dissi a mia moglie che solo insieme, se lo voleva anche lei, avrei lasciato l’avvocatura per dedicarmi alla gioielleria. E così è stato, con una ripartenza fatta di debiti e tante speranze.

Speranze che non sono state disattese.

Mai. Ho imparato a vedere sempre il bicchiere mezzo pieno, anche nei momenti peggiori, come quello di un colossale furto. Tutto sembrava perduto, ma non ci siamo persi d’animo, né pianti addosso e la sorte ci è venuta incontro, con il ritrovamento e la vendita di un orologio di Chopard sfuggito ai ladri.

Zone Transition

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Come continuerà la storia di Antonetti?

I nostri figli sono già nell’azienda, pur svolgendo altre professioni. Michele è commercialista e cura la parte amministrativa anche del negozio, mentre Alessandra è una talentuosa designer, un architetto. Non so che cosa sceglieranno di fare, ma sono pronto e aperto alla loro scelta, anche se dovesse essere quella di non continuare. Il segreto secondo me, nella vita, è quello di non dare mai nulla per scontato e di mettere passione e cuore in quello che si sta facendo.

(pubblicato il 17 febbraio 2023)

 

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