Gli invisibili della pandemia. Le sartorie teatrali

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E' passato ormai un anno dalla notizia del primo caso di positività ad un virus di cui nessuno aveva mai avuto notizia. L'anno trascorso è stato senz'altro contraddistinto dall'arrivo, dalla gestione e dalle conseguenze del Covid. Ma, retorica salutista a parte, gli effetti disastrosi di una chiusura totale o parziale delle attività, sono sotto gli occhi di tutti.
E' passato ormai un anno dalla notizia del primo caso di positività ad un virus di cui nessuno aveva mai avuto notizia. L'anno trascorso è stato senz'altro contraddistinto dall'arrivo, dalla gestione e dalle conseguenze del Covid. Ma, retorica salutista a parte, gli effetti disastrosi di una chiusura totale o parziale delle attività, sono sotto gli occhi di tutti.

E' così imprese, partite iva e opifici che prima della pandemia fatturavano il giusto in una congiuntura economica non delle più felici, si sono ritrovate a dover rimodulare l'attività lavorativa calibrandola con le troppe uscite rispetto agli scarsi ricavi.E' così per le sartorie teatrali, veri e propri laboratori in cui si creano costumi di scena, sintetizzanti la forma e la sostanza, elementi necessari per la buona riuscita di un prodotto culturale e di spettacolo che per funzionare necessita di quelle luci, tecniche e tessuti che soltanto chi opera dietro le quinte del settore adopera.

Pur facendo parte del variegato comparto spettacolo e cultura, le sartorie teatrali sono state tagliate fuori dal fondo ristori del governo, come racconta su queste colonne Diego Pecorella, titolare della nota sartoria foggiana Shangrillà. L'opificio ha collaborato varie volte con l'ente comunale di Foggia, vestendo ballerini, vocalist, presentatori e attori in scena al Giordano o su altri palchi messi su dalle politiche culturali attuate da Anna Paola Giuliani.

Non solo, la sartoria di Diego Pecorella è attiva da decenni nella creazione di costumi d'epoca per cortei storici non solo pugliesi, per le maschere e gli abiti del Carnevale di Venezia, annullato anche quest'anno, e nella realizzazione di abiti di scena per produzioni televisive e di programmi tv come gli sketch tarantini di Mudù.

Da un anno a questa parte siamo fermi quasi totalmente, racconta con amarezza il sarto foggiano. Avevamo tra le altre collaborazioni attive poi annullate, anche la creazione di abiti per la docufiction di HCV prodotta con l'Apulia Film Commission, definitivamente cancellata ad ottobre. La nostra attività si basa molto sulle collaborazioni con agenti teatrali, impresari e amministrazioni comunali. Lavoriamo molto con il teatro per opere liriche e kermesse teatrali, una delle più recenti prevedeva anche un nostro contributo ed era commissionata dal Teatro Pubblico Pugliese, si trattava dello spettacolo 'Meet night barabba', la cui prima è stata proposta a Rimini, aprendo il meeting di Comunione e liberazione. Purtroppo è saltata gran parte della nostra progettazione, penso ai tanti cortei storici che dovevano essere realizzati poco dopo la ripartenza. Tranne qualche noleggio di due o tre costumi per lo staff di Mudù, non facciamo altro. Il grosso del lavoro era costituito dalle rappresentazioni pubbliche e dalla lirica. Negli anni abbiamo vestito i figuranti del corteo di San Nicola di Bari e quelli delle tante vie crucis o i partecipanti alla storica cavalcata di Bovino. La nostra sartoria lavora con enti e privati di quasi tutto il sud Italia. Ma purtroppo il nostro è uno dei settori più penalizzati, non veniamo ristorati, nonostante gran parte di noi abbia fatto presente alle istituzioni di essere parte integrante del settore cultura, ma evidentemente siamo equiparati alle sartorie tradizionali. La questione ristori è strettamente legata all'appartenenza ad una categoria piuttosto che un'altra, identificata mediante il codice Ateco, che per noi è il medesimo di quello delle sartorie tradizionali, ma, per tanti miei colleghi non è così. Ho personalmente sentito diverse sartorie teatrali italiane e non tutte possiedono lo stesso codice. E' ormai chiaro che il lavoro di tanti anni dipende dalla burocrazia italiana e dalle sorti del governo, prosegue Pecorella, raccontando di aver fatto domanda, come tante imprese del territorio, per ricevere i contributi ristoro, ma al momento da Roma ancora nulla è pervenuto.

Mi sono mosso attraverso diversi canali per avere una fonte di sostegno, facendo sia domanda al ministero, sebbene la crisi di governo andrà a penalizzare non poco le aziende, sia proponendo un'istanza a Federeventi chiedendo l'inserimento del mio codice Ateco. Per ovviare al fermo mi sono adoperato a realizzare le tanto usate mascherine, ma tale attività è durata qualche mese, un'azienda non si regge con la vendita di qualche copri bocca. Dopo 30 anni di attività mi ritrovo a dover interpretare il futuro, senza sapere cosa ne sarà di una sartoria che nonostante la crisi ha sempre lavorato. Prima del Covid la situazione non era certo rosea ma almeno gli eventi ci permettevano di essere attivi, nonostante i ritardi nei pagamenti attuati dagli enti pubblici, rispetto al contante erogato dal cliente privato. Trovo che l'aspetto peggiore di tutta questa situazione di emergenza economica sia l'essere invisibili agli occhi dello stato, conclude.

Claudia Ferrante
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