I tre anni di gestione di Nicola Canonico in sella al Foggia, sono stati devastanti a livello giovanile. Zero risorse a disposizione e movimento letteralmente abbandonato al suo destino. Dopo un triennio di buio pesto, ora con l’avvento di Massimo Brambilla in prima squadra (tecnico votato alla valorizzazione dei giovani) e di Andrea Carrozza come coordinatore del settore giovanile, si intravede una luce fioca in fondo al tunnel. O almeno, così si spera. Abbiamo chiesto a Pino Vaccariello, dt della scuola calcio Foggia Football Club e tecnico abilitato con la licenza Uefa A, che a cavallo degli anni ‘90 ha vissuto in prima linea il periodo aureo del calcio giovanile rossonero, di spiegare attraverso la sua personale lente di ingrandimento il lungo periodo di oscurantismo che sta attanagliando il movimento giovanile locale.
Partiamo da lontano: la scarsa attenzione ai vivai ha avuto riflessi deflagranti sulla debacle azzurra in Germania?
Io credo che questa disfatta calcistica agli Europei non può che farci bene. Noi italiani per anni abbiamo compensato la nostra mediocrità civile, politica ed economica con il calcio ad alti livelli e con vittorie straordinarie. In una Italia distrutta, il pallone è stato per decenni il nostro principale strumento di rivalsa, di affermazione e prestigio. Non a caso Churchill diceva che “l’Italia perde le guerre come fossero partite di calcio, e le partite di calcio come fossero guerre...”. Invece di portare la nostra eccellenza calcistica nella vita civile e politica, abbiamo travasato l’arte del vivere alla giornata, del rabberciare e del sopravvivere, alla mentalità calcistica, di fatto distruggendola. Il vero problema calcistico in Italia è la mancanza di veri settori giovanili, a parte qualche sana realtà come quelle di Atalanta, Roma, Sassuolo, Cesena, Empoli e Juventus, per il resto "la base" viene lasciata nelle mani di personaggi senza alcuna competenza e ancora peggio di veri e propri speculatori.
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In tutto questo baillame le scuole calcio che ruolo svolgono?
Sono diventate dei veri e propri bancomat, fabbriche di illusioni. Dal punto di vista economico e strutturale sicuramente siamo lontani anni luce da alcune nazioni come la Germania, l’Inghilterra e la Spagna. Molti club di livello mondiale, infatti, si sono dotati di strutture sportive all'avanguardia e di tecnici preparati, e i frutti si sono visti negli ultimi anni con diversi talenti che sono arrivati in prima squadra, mi riferisco ad Ajax, Benfica, Sporting Lisbona, Barcellona, Real Madrid, Boca Juniors e River Plate, e il tutto a beneficio anche dei loro bilanci. In Italia oggi non solo si è persa la cultura formativa, ma soprattutto si sono persi i criteri di riferimento. Le scuole calcio dovrebbero avere il compito di forgiare i talenti, di migliorare i ragazzi che amano questo sport facendo loro capire che il calcio è una cosa seria, come lo è anche la scuola.
Cosa vuol dire formare oggi un ragazzo?
Non solo abilitarlo dal punto di vista tecnico atletico e fisico, affinché raggiunga risultati sul campo e nella vita, ma significa soprattutto fargli vivere delle esperienze. Sviluppare in campo in maniera maggioritaria la propria fantasia, la propria creatività, senza ingabbiarlo in nessun dettame tattico e schematico è fondamentale. Il calcio negli ultimi quarant’anni è cambiato solo nel retropassaggio al portiere. Oggi i difensori non sanno più marcare, i portieri non sanno più parare “ma sanno giocare con i piedi”, gli attaccanti non tirano più in porta, e si gioca più in orizzontale che in verticale. Il lavoro da svolgere è più sulla tecnica e sui fondamentali di gioco come il dribbling, la marcatura, il tiro in porta, perché onestamente questo calcio moderno non mi piace, ricordo sempre che fare tanto possesso palla non finalizzato al tiro in porta non ha senso.
Qual è la situazione dei vivai in C e D?
Peggiora di anno in anno, i presidenti pensano solo ad investire sulla prima squadra con budget anche di 6-7 milioni all'anno, mentre i settori giovanili vengono abbandonati o peggio dati in "affitto" a soggetti che speculano sulle spalle delle famiglie che troppe volte vengono raggirate.
Nel calderone rientra anche Foggia?
Certo che sì, a parte la parentesi dal ‘91 al ‘95 del presidente Pasquale Casillo che ha prodotto 42 calciatori dal vivaio, con operatori tutti foggiani. Parliamo di talenti arrivati in A e nelle varie nazionali giovanili come Pazienza, Brienza, Colucci, Potenza, o in B come Botticella e tanti altri. Da quel momento in poi il nulla cosmico, ogni anno si cambiano i responsabili del settore giovanile e quasi sempre arrivano da fuori, per la prima squadra in 28 anni sono stati sperperati oltre 100 milioni di euro per ingaggi a calciatori, allenatori e procuratori.
Risultato: nessun investimento in strutture sportive e nessun giovane talento prodotto per la B o la A...
Solo promesse, imbrogli, sotterfugi, speculatori, giovani senza talento arrivati da tutta Italia, pagando rette stratosferiche, mentre i talenti di Capitanata come Alessandro Nunziante, portiere del ‘07 emigrato altrove in cerca di fortuna. Un vero settore giovanile a Foggia dovrebbe avere una programmazione di almeno cinque anni, e dedicarsi maggiormente alla costruzione del giovane calciatore e non alla formazione delle squadre che devono partecipare ai vari campionati giovanili.
Zone Transition
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Qual è il modello al quale aspira Vaccariello?
Un settore giovanile con una cultura di alto livello che formi anche i futuri dirigenti e allenatori nonchè i futuri tifosi, maggiore attenzione alla formazione e meno ai risultati. Un vivaio propenso alla ricerca sul proprio territorio dei tanti talenti presenti in tutta la Capitanata, e non a fare semplici provini insignificanti a fine stagione. Una città come Foggia, povera di investimenti e investitori ,dovrebbe dare priorità alla formazione del calciatore partendo da quelli di 6-7 anni per sanare bilanci e costruire strutture.