“Mi vengono i brividi nel vedere questo Parco archeologico, ma soprattutto nell’immaginare quello che potrebbe essere: uno dei più importanti in Italia e, forse, in Europa. L’area è vastissima (circa 20 ettari quasi totalmente di proprietà pubblica, grazie alla lungimiranza della compianta professoressa Marina Mazzei che pose i dovuti vincoli archeologici, ndr) e qui c’è bisogno dell’aiuto di tutti per far venire fuori la meraviglia di Siponto medievale e romana. Ho visto cose straordinarie che, se portate alla luce, faranno di Manfredonia una delle città più importanti della Roma antica”. Questo non è il giudizio di qualcuno che può essere tacciato di partigianeria, bensì del professore Paolo Ponzio, delegato del rettore dell’Università di Bari Stefano Bronzini, intervenuto sabato scorso all’Open day che si è svolto a Siponto.
Un’iniziativa che ha raggiunto il suo scopo, facendo breccia e sensibilizzando fortemente la comunità sipontina e dell’intero territorio della Capitanata. Sono stati tantissimi, anche oltre le aspettative e gli auspici, coloro che non hanno perso l’occasione per visitare gli scavi che gli atenei di Foggia e Bari, accompagnati dai colleghi canadesi della McGill University di Montreal stanno svolgendo per il secondo anno consecutivo.
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Nella prima campagna di scavi, avevano iniziato ad affiorare dal sottosuolo testimonianze rilevanti della gloria passata dell’antica Sipontum.
In questa seconda, invece, si è andati ancora più a fondo e alle due aree oggetto di scavo nel settembre 2021, cioè quella del centro abitato e dell’anfiteatro, si è aggiunta anche una terza: la zona portuale.
Il gruppo di lavoro composto dagli studenti universitari e diretto dai professori Giuliano Volpe, Roberto Goffredo e Maria Turchiano è alimentato dall’ammirevole passione (oltre che dalla professionalità) che continua a caratterizzare il loro impagabile impegno per riportare alla luce e restituire alla pubblica fruizione una parte pari al 5% circa delle vestigia di quella che fu una delle più attive e importanti colonie romane.
“Abbiamo proseguito la nostra strategia di scavare in tre parti diverse della città, dal momento che farlo in una sola area avrebbe potuto comportare il rischio di avere un’idea deformata della città di Siponto”, commenta Volpe a l’Attacco.
“Gli scavi avviati nella zona dell’anfiteatro ci hanno consentito di indagare una porzione dell’abitato medievale, che si è sovrapposto. Abbiamo ottenuto un risultato importante perché, diversamente da quello che temevamo – spiega il docente dell’Università di Bari ed ex rettore di quella foggiana -, il monumento romano risulta meglio conservato di quanto ci aspettassimo. Un saggio di limitate dimensioni, per ora, ci ha mostrato la conservazione di un muro perimetrale dell’anfiteatro fino a circa 3 metri di profondità. Questo ci fa ritenere che l’intera struttura, quindi anche la zona della cavea e dell’area, possa essere abbastanza ben conservata”.
È un’eredità ingombrante quella che la Siponto antica lasciò alla successiva città medievale, prima del suo abbandono tra il XIII e l’inizio del XIV secolo.
“Le strutture dell’anfiteatro romano – annota il professore Goffredo, dell’Università di Foggia - rimasero per lungo tempo a vista, a tal punto da essere riutilizzate intensivamente”. Una parte dell’abitato medievale si riorganizzò proprio addossandosi alle sue mura e “alcune sue parti lapidee furono reimpiegate nelle strutture più tarde”.
Un processo che da un lato mostra “la continuità di utilizzo e di persistenza nel lungo periodo”, mentre dall’altro risulta “come una vera e propria cannibalizzazione attraverso tutto quello che poteva essere necessario per le nuove esigenze della comunità”.
Nel solco del riutilizzo si inserisce perfettamente la destinazione d’uso che se ne fece, nel momento in cui un ampio spazio fu utilizzato per le sepolture.
“All’interno del muro perimetrale dell’anfiteatro, tra l’XI e il XII secolo, fu allestito uno spazio cimiteriale. Al momento, abbiamo individuato 4-5 sepolture – aggiunge Goffredo – con più individui all’interno: uomini, donne e bambini”.
Un nuovo elemento “bello ed intrigante nello scoprire le connessioni tra le società e le comunità ma, al tempo stesso, difficile perché è piuttosto problematico, dal punto di vista logistico, condurre uno scavo in presenza di profondità che raggiungono anche 2 metri”.
L’anfiteatro è quello consono per una città di medie dimensioni quale era Sipontum e si estende su un’area di 90 metri per 40, nella parte periferica, per far sì che chi abitava nelle campagne circostanti potesse raggiungerlo con maggiore facilità.
A detta del professore Volpe, poteva ospitare un pubblico di circa 8.000 persone. Provando a rapportarlo ad anfiteatri che sono stati riportati alla luce, è “come quello di Rudiae, nel Salento, perciò più piccolo di quello che si trova a Lucera”.
La sua datazione è inquadrabile nell’età augustea, epoca di grande sviluppo per le città pugliesi, quindi tra il 44 a.C. e il 14 d.C.
I saggi di scavo nella zona centrale, invece, dove gli archeologi hanno operato nella precedente campagna, hanno permesso di “allargare ulteriormente la conoscenza di una delle porzioni dell’abitato medievale, anche questo sovrapposto a quello romano. In particolare abbiamo potuto conoscere meglio una casatorre medievale (costruzione fortificata, che poteva essere usata sia con funzioni militari e sia abitative, ndr) che, per motivi non facilmente ricostruibili, è stata abbattuta per costruirci una grande casa aristocratica. Di fronte a questa, i colleghi canadesi hanno trovato una serie di ambienti e una grande ricchezza di materiali: vetri di grande qualità, anche con decorazioni arabe, oltre che ceramiche di pregio e una serie di altri reperti”.
Infine, c’è la zona portuale che si trova oltre gli attuali binari della ferrovia.
“La zona più difficile da scavare – ammette Giuliano Volpe -, dal momento che gli interri sono davvero potenti. Questo significa che bisognerà prevedere strategie, negli anni prossimi, che prevedano risorse e mezzi maggiori”.
Dalle introspezioni geofisiche che erano state effettuate, si intravedeva qualcosa che sembrava essere un ambiente absidale. È certo che, oltre la basilica paleocristiana, ci fosse almeno un altro edificio di culto religioso in prossimità del mare, perciò gli archeologi hanno scelto di iniziare i saggi della terza zona di scavo proprio in quell’area.
Non è stato così, ma comunque la scelta fatta è stata premiata dal ritrovamento di “una serie di ambienti che abbiamo interpretato come abitazioni, luoghi di lavorazione e magazzini portuali”.
Inoltre, c’è “un grande edificio che, con la sua muratura, fa pensare che fosse pubblico. Probabilmente un grande deposito di derrate, in prossimità della zona portuale dell’imbarco”.
Sipontum era il punto d’imbarco principale per tutto il grano che veniva prodotto nel Tavoliere, ecco perché vi aveva sede la corporazione dei ‘mercatores frumentarii’ (commercianti di grano) almeno fino al VI secolo d.C..
Le mura dell’edificio lo fanno immaginare come simile alle domus di Federico II, vedi quella che si trova a Salapia, nonostante non esistano testimonianze storiche che possano aggiungerlo nel novero delle 82 strutture elencate nello ‘Statutum de reparatione’. Sipontum fu comunque importante anche nella fase pre-federiciana, quindi con i longobardi, i bizantini, i normanni e poi gli svevi.
Zone Transition
Zone Transition
Al di sotto dell’imponente edificio, compare un muro romano in opera reticolata che fa presumere che gli edifici romani siano ben conservati. In sole quattro settimane di scavi in quest’area, si è aperta una nuova finestra sul passato relativamente recente, cioè di quasi un millennio fa, e in potenza di quello ancora più antico perché a ridosso della nascita di Cristo. “Ci potrebbe essere da scavare ancora per i prossimi 10, 20, forse anche 100 anni”, conclude Volpe.