'Votiamo Landella’; ‘se noi siamo mafiosi, senza offesa, la mafia è politica, poi veniamo noi’”.
Questa frase va impressa nella memoria collettiva della città. Questa frase, detta da Leonardo Francavilla (esponente della batteria mafiosa Sinesi-Francavilla) pone di fatto la pietra tombale sul mandato da Sindaco di Landella e sulla controversa tornata elettorale del 2019. A fotografare questa verità giuridica è la sentenza di 74 pagine del Tribunale di Foggia, Prima sezione civile, che ha decretato l’incandidabilità, in primo grado dei consiglieri di maggioranza colpevoli dello scioglimento per infiltrazioni mafiose del Comune ad agosto 2021. I giudici Buccaro, Carbonelli e Stanziola a mio parere si sono spinti addirittura oltre quello che si legge nella famosa relazione di scioglimento, aggiungendo dettagli, ricostruzioni ed interpretazioni inedite dal peso specifico a volte rilevante, altre volte meno. “Una cattiva governance, che interessava il Comune di Foggia, improntata al perseguimento di interessi privati a danno del primario interesse pubblico alla legalità” - “Collegamento diretto o indiretto con la criminalità organizzata di tipo mafioso o similare”. Sono tante le affermazioni di questo tipo che sembrano non lasciare spazio a dubbi o a possibili ricorsi, ma andiamo nel dettaglio di ciò che mi ha colpito maggiormente di questa sentenza. In primis gli ex Consiglieri coinvolti hanno presentato vari ricorsi di varia natura, tutti respinti ma interessanti da analizzare. Il primo è un ricorso di nullità della notifica in quanto ci si chiede come mai l’incandidabilità debba riguardare solo loro dieci (Franco Landella, Leonardo Iaccarino, Liliana Iadarola, Antonio Capotosto, Bruno Longo, Erminia Roberto, Dario Iacovangelo e Consalvo Di Pasqua e i due salvati Pasquale Rignanese e Lucio Ventura) e non gli altri ex consiglieri che emergono a vario titolo nella relazione di scioglimento (dovrebbero essere tredici).
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Gli stessi hanno inoltre posto istanza di sospensione in attesa che il TAR si esprima sull’intera vicenda. Entrambe rigettate perché il Tribunale competente procede in maniera autonoma e non riporta automaticamente i nomi presenti nella relazione di scioglimento ma fa un accurato accertamento per rilevare le varie responsabilità per le condotte di cattiva gestione e sottoposizione alle pressioni mafiose. E’ stata sollevata anche un’istanza sulla legittimità costituzionale da parte di alcuni dei soggetti coinvolti in quanto un tipo di giudizio del genere violerebbe il principio di giusto processo e diritto di difesa (ribaltando l’onere della prova). In questo caso emerge la straordinarietà dell’istituto in quanto si afferma che l’incandidabilità si fonda sul diritto di prevenzione (e non ha valore sanzionatorio o penale) e può essere adottata sulla base di un quadro meramente indiziario riferito all’intero organo collegiale, senza che venga in rilievo la responsabilità personale del singolo amministratore. Si legge che il procedimento di dichiarazione di incadidabilità ex art 143 comma 11 TUEL è autonomo rispetto a quello penale e non è necessario che si commetta un reato ma che ci sia colpa nella cattiva gestione della cosa pubblica con apertura alle ingerenze delle associazioni criminali. E’ un rimedio di extrema ratio, è scritto nero su bianco, è un qualcosa di eccezionale che serve ad impedire il riconfigurarsi di certe dinamiche inquinate nel momento in cui “è venuto meno il principio di onorabilità degli amministratori”. Quindi le possibili incongruenze che un giurista garantista può rilevare troverebbero giustificazione nell’intento di ristabilire il rapporto di fiducia tra i cittadini e le istituzioni. Quindi mi chiedo: ci si rivolge all’organo elettivo nel suo complesso come si esplicita a pagina 12 o viene valutato il singolo caso e la singola responsabilità come si afferma a pagina 14? Non lo so.
Non è che perché faccio l’opinionista posso sapere tutto ed avere un’opinione su tutto. Trovo il procedimento nel complesso un po’ forzato secondo l’assunto che “il fine giustifica i mezzi”, così come erroneamente attribuito a Niccolò Machiavelli. L’alternativa è il rischio di fare la fine di San Gennaro Vesuviano che attualmente ha di nuovo lo stesso Sindaco sciolto in precedenza per mafia. Molto strana è anche la parte in cui si afferma la natura speciale del procedimento, addirittura “in deroga alle regole comuni”, ma che non impedisce all’interessato di esplicare le proprie prerogative difensive. Ad un certo punto sta scritto in giuridichese che le disparità di trattamento o la mancanza di alcuni altri responsabili non è un motivo per non condannare questi. Volevi anche Maffei e Scapato? Stacce, come si dice a Roma.
Nel merito del giudizio i toni utilizzati sono molto duri, come anticipavo in precedenza, anche più duri della relazione di scioglimento. Su Landella non ci si sofferma sull’arresto per corruzione e la questione delle tangenti date ai consiglieri per la votazione del Programma Tonti, ma si arriva a parlare anche della figura del suocero, Di Donna Massimino, imputato (prima che morisse) per una serie di illeciti e corruzione sistemica. Insomma un riferimento di tipo patriarcale ad una famiglia da tempo con troppe mani in pasta. La corruzione sistemica a questi livelli è direttamente proporzionale al condizionamento mafioso secondo la ricostruzione sociologica che ne ha dato il Ministero. Perché si dice questo? Perché se cercate una frase di Landella stesso che lo metta spalle al muro sulla sua vicinanza alla mafia resterete delusi, non la troverete, ecco perché a questo punto della sentenza si pone l’accento su due episodi che hanno riguardato l’ex consigliera Iadarola e l’ex assessora Roberto. Sono episodi che conosciamo.
Nel primo caso il pluripregiudicato e condannato per mafia Fabio Delli Carri fa pressioni alla sua compagna Iadarola per far si che Landella adempia agli impegni assunti con “loro” (che per i giudici sono i mafiosi) in campagna elettorale. “Noi rimaniamo sempre con te fedeli, però, insomma, non è che lo dobbiamo prendere sempre a quel posto noi, anche perché qua, fino a prova contraria, persone che non valgono niente, che tengono due o trecento voti, che hanno sistemati i figli, lo vanno decantando”; ed ancora: “ce lo dici proprio, gli dici a noi niente? E non te lo stiamo chiedendo per non metterti in difficoltà, però (riferendosi a Landella) se tu ci dici dammi un nome e poi così, poi me lo devi mettere, perché figure di m… noi non siamo abituati a farle, capito glielo dici così (…) noi neanche te lo veniamo a chiedere il lavoro, quello e quell’altro, non ti veniamo neanche a mettere in difficoltà, però se tu ci dici una cosa e ce la dai per certa, quella cosa poi ce la devi dare”. Landella in cambio di voti avrebbe dovuto “sistemare” qualcuno. A testimoniare questa familiarità ci sarebbe anche una foto in cui sono raffigurati Delli Carri, Landella, Di Pasqua, Di Mauro. Insomma occhio con chi vi fate le foto che uno scatto può diventare un potente boomerang. Così come la richiesta di non implementare il sistema di videosorveglianza fatta da parte dello stesso Delli Carri, per quanto poi non abbia trovato concretizzazione rivela per i giudici comunque una vicinanza inquieta. A mio parare si è agito all’insegna del “tutto fa brodo” proprio perché Landella da “uomo della Prima Repubblica” come si autodefiniva e “fa le cose come la ciammaruca” (è discreto, è furtivo ed in costante paranoia sulla possibilità di essere intercettato). Ricordate Azzariti? L’imprenditore che avrebbe subito la concussione da Landella sulla pubblica illuminazione. Lui raccontava che l’ex Sindaco gli metteva le mani addosso per toglierli il telefono e possibili registratori prima di poter parlare. E comunque le cose più gravi le diceva a gesti, non a parole. Un ninja della corruzione, parrebbe. Dico parrebbe perché penso che sia capace di farsi assolvere da tutto e poi denunciare uno ad uno tutti quelli che ritiene lo abbiano diffamato, quindi parrebbe.
Zone Transition
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La parte più grave e pesante rimane quella scritta in apertura. Francavilla si qualifica come un mafioso ed ha minacciato platealmente di rivelare l’attività svolta per procacciare voti a favore di Landella e della Roberto se non avesse ottenuto i benefici economici richiesti nonché la sistemazione della consorte in un supermercato. Per me le elezioni del 2019 sono state estremamente inquinate dalla malavita. Scambi di soldi e voti mi sono stati raccontati da una quantità enorme di persone che ritengo affidabili. La Roberto, si scrive, consegnava pro minibus somme di denaro e materiale elettorale. Circostanze non contestate dalle controparti. Fa effetto leggere che un paio di giorni fa il boss Antonello Francavilla (parente di Leonardo) sia stato vittima a Roma di un agguato (riconducibile ad una faida tra clan). Una vendetta per la collaborazione con la giustizia di una parente si scrive sulla stampa nazionale. La questione è grave, tale da rendere più digeribili le parti estremamente deboli della sentenza. Ripeto, sembra un brodo. Un’insalata mista. Ad un certo punto si contesta a Landella l’aver detto a mezzo stampa che “le norme non vietano alle famiglie di pregiudicati di partecipare alle procedure di assegnazione delle case popolari”. Frase che io ricordo ma non era volta a giustificare l’assegnazione ai mafiosi bensì ad incolpare la Regione ed il Parlamento di non aver fatto abbastanza, invitandoli ad assumersi le proprie responsabilità. Piuttosto gli si poteva contestare l’aver sotterrato di fatto la graduatoria ordinaria e procedere per assegnazioni straordinarie. Così come trovo paradossale che gli si contesti di aver fatto apprezzamenti su un quotidiano nell’agosto 2017 nei confronti di Adriatica Servizi, società di riscossione tributi colpita da interdittiva antimafia. Ma scusate, l’interdittiva non solo è del Settembre 2019 ma ha poi prodotto lo scioglimento del contratto da parte della stessa Amministrazione. Ci voleva Nostradamus come Sindaco. Aggiungo che il Tribunale di Bari nel 2020 ha poi sospeso l’interdittiva e con riserve ha riammesso la società nella “White list” della Prefettura. Il calderone è immenso.
Continua…