Giardinaggio, yoga, ginnastica riabilitativa, corsi di danza, laboratori d’arte e pittura, o di cucina, cineforum, visite guidate in Foresta Umbra e al Giro d’Italia, lettura di gruppo mattutina dei quotidiani, giochi di carte o di dama, sessioni di karaoke, esercizi per la memoria, un bar e una biblioteca a disposizione. Sono le attività che gli anziani del Centro comunale Palmisano, chiuso da quasi un anno, svolgevano. Riempiendo di significato la loro quotidianità. Ora, invece, molti di essi, senza quella famiglia acquisita, conosciuta nella sede di via Pestalozzi, patiscono la monotonia della solitudine a casa, quando non riscaldano le panchine pubbliche o vagano, raminghi, senza meta, per le vie di Foggia.
Se le cronache locali degli ultimi mesi, allora, sono state affollate da vertenze di cittadini che hanno protestato a gran voce contro la chiusura di asili nido e scuole municipali all’infanzia, non altrettanto è stato detto per le sorti patite dai soggetti appartenenti ad una delle categorie più fragili e sole di tutta la comunità: gli anziani, appunto
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Quegli anziani che l’autunno scorso manifestarono con un sit-in e uno striscione davanti alle cancellate del centro Palmisano per la riapertura di ciò che consideravano una “seconda casa”, chiusa a settembre del 2021, a scadenza dell’affidamento al Consorzio Opus, e mai più rinnovata nella gestione.
Un Palmisano che, insieme ad altri servizi comunali, è stato anch’esso vittima sacrificale delle politiche di “austerity” praticate negli ultimi due anni dai Servizi sociali di via Fuiani.
Qualche mese fa, all’interno del circuito istituzionale, era corsa voce che un nuovo bando per il riavvio del centro anziani sarebbe stato emesso. Al momento, però, sull’albo pretorio comunale non si ravvisa alcun atto che possa confermare una tale ipotesi.
Non erano neppure pochi i pensionati che frequentavano (alcuni dei quali da molti anni) il Palmisano. La pandemia, certo, ha mortificato non poco adesioni e affluenza durante i picchi più acuti del virus e i conseguenti lockdown: ma già l’estate scorsa, in coincidenza dell’allentamento delle restrizioni, e fino a settembre, i numeri erano risaliti vertiginosamente, fino a sfiorare i 40 iscritti, a testimonianza della voglia degli anziani di ritornare alla socialità.
Una socialità, quella del Palmisano, non comune, che a molti riempiva la vita, donando loro gioia e benessere.
“Sono continuate ad arrivare richieste d’iscrizione fino all’ultimo giorno. Ricordo bene che, persino alla data in cui stavamo chiudendo i battenti, giunsero altre due istanze”, rivela a l’Attacco Alessia Viola, tra le operatrici che ha lavorato al centro anziani fino alla “soppressione” del servizio.
“Ci hanno messo in mezzo ad una strada e, da quasi un anno, non sappiamo più cosa fare, dove andare”, esordisce Antonio Placentino, vitale 83enne che ora vive a casa della figlia, ma che rappresenta uno dei veterani del centro Palmisano, avendolo frequentato quotidianamente per oltre 10 anni.
Il Palmisano era una struttura aperta mattina e pomeriggio, dal lunedì al sabato. Gli anziani pagavano una modica retta di iscrizione annuale calcolata in base all’Isee, secondo il regolamento comunale. E potevano scegliere se frequentare le attività in programma 3 volte a settimana o tutti i giorni.
“La mattina – continua Placentino - frequentavo yoga e balli di gruppo, il pomeriggio si giocava a carte, oppure trascorrevamo un po’ di tempo al bar del centro. Ci andavo tutti i giorni. C’era anche la biblioteca. Pagavo poco, 50 euro all’anno, ma saremmo stati disposti a pagare anche il doppio pur di tenerlo aperto. Magari riaprisse. E’ un peccato che sia chiuso: una struttura nuova che ora giace abbandonata. E poi c’erano gli alberi da frutto, gli albicocchi. Li curavamo noi. Stavamo sempre lì. Ora, invece, trascorro il tempo a casa. Oppure sulle panchine di piazza Aldo Moro”.
Ancor più toccante è il racconto della nuova quotidianità di Salvatore Parisi, ultranovantenne che vive solo e che ha frequentato il centro anziani per 12 anni.
“Attualmente – dice - per passare il tempo scendo in strada e mi siedo alle panchine antistanti l’istituto Maria Grazia Barone. Oppure faccio un giro per corso Giannone. Nulla di più. Giro per le vie come uno sbandato senza famiglia. Invece prima la mattina mi svegliavo contento, sapendo di potermi recare al Palmisano. In quel centro e nell’equipe del Consorzio Opus ho trovato una seconda famiglia. Mi piaceva parlare con le operatrici, si prendevano cura di noi, erano come figlie per me. Ricordo con molto piacere anche la lettura mattutina dei giornali: ce li leggeva la signora Carmela. Per me rappresentava un servizio utilissimo, perché sono ipovedente. Mi piaceva ascoltare le notizie e commentarle in gruppo”.
Zone Transition
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Del Palmisano c’è anche chi ricorda i progetti collaterali di sostegno ai malati di Alzeheimer, a cura, diversi anni fa, del dottor Cipriani e del dottor Panunzio. Un centro, si evidenzia, che prima vinceva premi in giro per l’Italia per l’innovazione e l’utilità dei progetti sociali proposti alla collettività. Ora quel punto di riferimento cittadino è chiuso e chissà se mai riaprirà. Le cronache amministrative raccontano anche di ritardi nei pagamenti da parte del Comune alla cooperativa che lo gestiva, tanto da essersi reso necessario un decreto ingiuntivo che ha costretto Palazzo di Città a saldare in un’unica soluzione il debito dell’ultimo anno di gestione, ammontante di 110mila euro. I 10 mila euro di interessi e spese legali sostenute da Opus per questa azione non sono stati ancora riconosciuti. Ma, anche per questo, è stato emesso un nuovo decreto ingiuntivo. E la segnalazione alla Corte dei Conti è dietro l’angolo.