Street Cafè for sale. No, non è uno scherzo ma una drastica decisione giunta dopo tanta meditazione e dolorosi sacrifici. I celebri locali della movida serale foggiana finiscono sulle agenzie immobiliari e i motivi li ha spiegati lo stesso titolare, Ivan Serano, che a l’Attacco ha detto: “A Foggia come in Italia non è più possibile fare l’imprenditore, non ce lo permettono. E le spiegazioni sono davvero tante”.
Si comincia dal personale. “Dai 50 dipendenti iniziali che avevamo, siamo oggi ridotti a 30. Molti hanno deciso di mollare tutto e andar via facendo affidamento sul reddito di cittadinanza o addirittura sui risparmi. Nonostante i ripetuti colloqui nessuno ha più voglia di lavorare – rincara – nemmeno a 50 euro al giorno. Anche chi non percepisce reddito si è ormai adattato ad una logica di risparmio surreale: preferiscono tirare a campare con dieci euro in tasca piuttosto che lavorare. E finiamola con questa trita e ritrita cantilena sul fatto che noi imprenditori sfruttiamo e non paghiamo, non è vero. Le paghe sono più che dignitose ma si preferisce stare a casa, o andare al mare. O addirittura venire come clienti”.
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Sul banco degli imputati per Ivan Serano Governo e amministrazione locale. “Dal Comune non organizzano un evento, non ci tagliano nemmeno l’erba davanti ai locali. Foggia è piena di buche: mi direte cosa c’entra? C’entra eccome, se alle spese dei miei locali devo poi aggiungere quelle di una ruota rotta se ci finisco dentro. Per non parlare dei ripetuti furti che subisco da tossici dipendenti nei locali sull’isola pedonale. Non siamo salvaguardarti da nessuno e le forze dell’ordine in carenza di personale, non possono sopperire alle tantissime emergenze che questa città vive quotidianamente”.
Alla base del dramma anche un cambio delle abitudini della gente. “Durante il weekend Foggia sembra essere un paesello di 1500 abitanti - commenta l’imprenditore – alle ore 22 di sabato e domenica non cammina nessuno. In un oceano di bonus tutti possono permettersi un fine settimana fuori porta, risparmiando negli altri giorni. Sono davvero cambiate le abitudini e, per carità, ciascuno può fare quello che vuole con i propri soldi. C’è però un paradosso: noi che ci alziamo alle 5 del mattino e lavoriamo tutto il giorno rischiamo di fallire, senza dipendenti, venendo peraltro massacrati da tasse e contributi. Chi non fa nulla, viene invece mantenuto e percepisce bonus su gas ed altro. Viene tutelato completamente dallo Stato”. E non finisce qui.
“Non si spende più un euro, d’altronde gli stipendi delle famiglie sono rimasti invariati ma devono adesso fronteggiare aumenti pazzeschi su ogni cosa. Tra enel, gas e materie prime non si guadagna più niente. Mi sto trascinando avanti per inerzia, proprio per non chiudere. I prezzi non possono essere ancora ritoccati: i clienti evitano di consumare l’aperitivo perché aumentato di un euro. Siamo davvero al capolinea”.
Conti alla mano le materie prime sono schizzate alle stelle. “Il burro che pagavamo 6,85 euro è arrivato a toccare 13,50 euro. Una confezione di bicchieri di plastica che pagavamo 0,65 cent arriva a costare 1,10 euro. Per non parlare dell’Enel che distribuita sui tre locali mi costa oggi circa 15 mila euro rispetto alle 9 mila di appena 4 mesi fa. Il mio guadagno va a loro. Se a livello legiferativo le cose non cambiano, non mi conviene più avere tre punti vendita in città”.
Nel giro di sei mesi tutto è cambiato per i piccoli imprenditori.
Zone Transition
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“Forse nemmeno in pandemia stavamo così male – aggiunge Serano – con i locali chiusi pagavamo solo il fitto. Adesso la città è vuota, le abitudini sono cambiate e le tasse sono improponibili. Uno stress enorme che mi ha portato a mettere in vendita le mie attività oggi visionabili su Rete Immobiliare. Tutto quello che ho creato, grazie alle tante persone che mi sono state affianco, si sta demolendo. Non conviene davvero più fare l’imprenditore in Italia, soprattutto al Mezzogiorno dove nulla è ripartito tanto a livello gestionale quanto a livello lavorativo. Tutti sanno come tirare avanti non lavorando. E noi che fine faremo?