Comune di Foggia, richiesta di incandidabilità: Maffei se l'è scappottata

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Stupisce parecchio l’assenza dell’ex eletto Danilo Maffei, indagato per voto di scambio, tra i 10 decaduti amministratori del Comune di Foggia per i quali è stata avanzata la domanda di incandidabilità, proposta dal Ministero dell’Interno e dalla Prefettura di Foggia a seguito del commissariamento per infiltrazioni mafiose del consiglio comunale.

Si tratta dell'ex sindaco Franco Landella e di nove eletti della decaduta maggioranza: l'ex presidente del consiglio Leonardo Iaccarino, Antonio Capotosto, Consalvo Di Pasqua, Dario Iacovangelo, Bruno Longo, Liliana Iadarola, Pasquale Rignanese, Erminia Roberto e Lucio Ventura. La questione sarà discussa nell’udienza che si terrà il 14 dicembre presso il Tribunale di Foggia. La disposizione è volta ad evitare che i soggetti responsabili dello scioglimento possano ricoprire nuovamente i medesimi (o simili) ruoli amministrativi.

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I 10 sono anche quasi tutti indagati nell’ambito dell’inchiesta sulle presunte tangenti e accordi corruttivi a Palazzo di città, portata avanti dai pm Roberta Bray e Enrico Infante. Le sole non coinvolte da quelle indagini sono l’ex assessora Erminia Roberto e Iadarola. Dieci è un numero considerevole, significa una parte estremamente ampia della maggioranza di centrodestra che fino a maggio scorso guidava Palazzo di città.

Ma perché Maffei è stato “salvato”? Non che tutti coloro che sono stati citati dalla relazione prefettizia siano ora a rischio incandidabilità, nemmeno nei confronti dell’ex vicepresidente del consiglio Giulio Scapato (che era un eletto di minoranza, però) è stata fatta una simile richiesta. Il caso Maffei è però assai più grande viste le numerose pagine a lui dedicate dagli inquirenti. Lo stesso Landella prese di fatto le distanze dal suo consigliere, allontanandosene in maniera evidente, quando si seppe dell’indagine sul voto di scambio che lo riguardava. 

“Ci sono tante cose strane e questa è proprio stranissima”, commenta a l’Attacco uno dei dieci. “Sicuramente si è trattato di una svista. Non ho ancora ricevuto nessuna comunicazione ad ora, aspetto e poi vediamo. Ci sarà battaglia comunque”.

“E’ una cialtronata”, commenta sarcasticamente una toga del capoluogo. Un ulteriore interrogativo che si aggiunge ad altri ancora senza risposta. “Che fine hanno fatto le indagini sul voto di scambio per Maffei e sulle politiche abitative? Abbiamo scoperto che tutto è partito da quell’inchiesta e dall’ascolto dell’assessore Bove. Ma di quelle indagini si è poi persa ogni traccia”.

“La sua assenza è la cosa che più sorprende tutti adesso, francamente”, commenta un ex eletto non coinvolto in alcuno scandalo e vicenda. “Si chiede di rendere incandidabile uno come Ventura, che ha un coinvolgimento davvero marginale nell’indagine sulla presunta corruzione e solo per quello è citato nella relazione. Uno che non ha ricevuto nemmeno una misura cautelare. Sarà il giudice penale a stralciare le posizioni, ma che abbiamo escluso qualcuno dalla richiesta del Viminale vuol dire che un esame l’avranno fatto”.

E allora come si spiega? “Non c’è una logica immediata, non lo sappiamo. Di certo si tratta di tanti nomi, molti di più rispetto agli altri 4 Comuni di Capitanata commissariati per mafia”. Può essere che l’indagine sul voto di scambio sia finita in un niente di fatto? “Ma di Maffei la relazione parla anche per le frequentazioni. Che dovrebbe dire allora Erminia Roberto, che è chiamata in causa solo per quelle?”. 

Un anno fa l’Attacco svelò che le indagini della Procura di Foggia sul presunto voto di scambio, nel capoluogo daunio, in occasione delle regionali 2020 erano incentrate sul giovane consigliere comunale di maggioranza e delegato allo sport Danilo Maffei. Il 32enne, entrato a Palazzo di Città per la prima volta nel 2019 con 913 preferenze, a Foggia era stato il più votato alle regionali con 4.246 voti, sorprendendo tutti compresi gli altri candidati e gli addetti ai lavori. Arrivò terzo in Capitanata nella fittiana lista del pumo, La Puglia domani, con oltre 5.200 voti, di cui un migliaio nel resto della provincia.

L’Attacco ne ricostruì la storia: da un lato le cooperative sociali del padre Ludovico, ex dipendente ASL FG (che sono state legate al Comune da vari contratti di cui il più importante oggi è per quello che chiamano il “bidellaggio”); dall’altro il percorso professionale che l’ha visto da ultimo direttore generale della coop Astra e assistente alla direzione generale del Pugnochiuso Resort del Gruppo Marcegaglia, a Vieste; mentre i primi passi in politica furono legati a Forza Italia, al seguito di Massimino Di Donna (lo scomparso suocero del sindaco Landella) e di Consalvo Di Pasqua. La relazione prefettizia dedica ampio spazio ai Maffei, padre e figlio. Avviene sia nella parte sugli eletti che in quella sugli appalti (per la coop Astra, che gestiva il servizio di bidellaggio). La cooperativa Astra, evidenzia il prefetto, ha “acquisito vantaggi economici ingiustificati”. Le cointeressenze imprenditoriali di Ludovico Maffei “lo inquadrano in contesti relazionali che comprendono soggetti prossimi agli ambienti criminali”, sottolinea Esposito.

L'esame dei dipendenti della coop Astra ha rivelato alla commissione di indagine la presenza di alcuni soggetti legati, per frequentazioni o parentela, con elementi di spicco delle locali consorterie mafiose. “La vicenda rivela ancora una volta l'atteggiamento compiacente - oggettivatosi in ingiuste corresponsioni di denaro pubblico - riservato per vari anni dal Comune di Foggia ad un'impresa che esprime la presenza, nella struttura globale, di soggetti contigui alle batterie mafiose foggiane”, è l’analisi del prefetto.  Danilo Maffei è citato anche per le frequentazioni “con soggetti controindicati specie per un esponente dell'amministrazione comunale”.  In particolare, quand’era consigliere fu controllato in compagnia del figlio di omissis, ucciso con colpi d'arma da fuoco in un agguato mafioso, e di un altro uomo, arrestato per droga. I due sono esponenti di vertice dell'omonimo sodalizio mafioso attivo a San Severo.

Quanto all’essere indagato per voto di scambio, durante le elezioni regionali, in un seggio elettorale, “il segretario del seggio chiedeva l’intervento del personale delle forze di polizia in servizio di vigilanza presso il plesso scolastico, segnalando di aver udito, proveniente da una cabina elettorale, dove un elettore stava votando, il rumore di uno scatto fotografico. I successivi accertamenti hanno permesso di verificare al personale intervenuto che l’elettore aveva ritratto con il telefono cellulare la propria scheda, con l’espressione di voto e che la fotografia era stata inviata al proprio figlio tramite Whatsapp”, si legge nella relazione.

 “Quest’ultimo ha rilasciato spontanee dichiarazioni, facendo presente che il giorno prima egli aveva inviato tramite telefono al proprio genitore la fotografia della scheda elettorale da lui votata, chiedendogli di esprimere analogo voto e di inviargli la relativa fotografia. Ciò in quanto, essendo disoccupato ed in precarie condizioni economiche, aveva deciso di aderire alla richiesta rivoltagli da una persona incontrata casualmente e di cui non ha saputo fornire l’identità, che gli aveva chiesto di votare per il candidato e di estendere la richiesta anche ad altre persone, promettendogli un posto di lavoro se avesse fornito la prova del voto espresso. Su tale episodio è stata data comunicazione di notizia di reato alla Procura d di Foggia”.

“Mirate attività d'indagine hanno permesso di individuare altre persone che avevano ritratto con il cellulare la propria scheda elettorale votata a favore del candidato Maffei, come prova da fornire ad una persona che aveva promesso loro, in cambio, il pagamento della somma di 40 euro per ogni voto. Le indagini hanno consentito, altresì, di acclarare come un esercizio pubblico di Foggia abbia costituito, soprattutto per la tornata elettorale delle regionali del 2020 un vero centro di riferimento per la compravendita del voto elettorale, tant'è che proprio omissis spontaneamente dichiara come lui stesso e la di lui fidanzata in tale luogo concordano il mercimonio con omissis, poi definitosi positivamente con il pagamento delle previste 40 euro, percepite pro capite”.

Gli investigatori ipotizzano “un sistema illecito davvero organizzato con meticolosità che si potuto pregiare di un passaparola vincente e capillare che ha coinvolto un numero importante di personaggi, ovviamente garantito da un rilevante investimento economico da parte di qualcuno e/o di coloro che avevano interesse alla vittoria elettorale di un determinato candidato”. Il prefetto non manca di rimarcare come la stampa evidenziò l’exploit elettorale di Maffei sia alle comunali del 2019 che alle regionali.

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“La ricostruzione effettuata dalla commissione”, conclude Esposito, “evoca logiche latamente ricattatorie connesse all'esercizio del fondamentale diritto di elettorato attivo, piegato agli interessi di un pubblico amministratore che, invece, dovrebbe garantire la tutela dei diritti costituzionalmente garantiti”.

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