I lavoratori a contratto – cioè chi ha prestato la propria opera per un periodo di tempo determinato – che sono stati utilizzati durante le operazioni di bonifica seguite allo scoppio della colonna d’arsenico nel 1976 hanno perso 5 anni di vita rispetto ai loro colleghi ugualmente esposti. Per giunta, chi di loro era residente a Manfredonia aveva un tasso di mortalità più alto di chi, invece, lo era in un altro dei centri garganici da cui provenivano i 1.772 lavoratori considerati nell’analisi. I tassi di mortalità per neoplasie del polmone e per neoplasie degli organi respiratori e intratoracici tra i lavoratori residenti a Manfredonia, infatti, erano già stati appurati come più alti rispetto ai tassi osservati tra i residenti altrove. La differenza è che in questo ultimo studio anche i lavoratori a contratto e i lavoratori non precedentemente reclutati hanno mostrato un aumento del tasso di cancro al polmone rispetto ai lavoratori dell'area plastica.
“Nel modello, consideriamo il luogo di residenza nel settembre 1976. Pertanto, non si può escludere un’errata classificazione della residenza dovuta alla migrazione – è specificato -. Tuttavia, le persone che risiedevano a Manfredonia al momento dell’incidente hanno sperimentato le fasi più acute di esposizione nelle ore immediatamente successive alla dispersione di arsenico nell’area residenziale”. Alle ore 9,50 della mattina del 26 settembre 1976, a causa dell’esplosione di una colonna di lavaggio dell’ammoniaca nello stabilimento Anic di Manfredonia, furono rilasciate nell’atmosfera 39 tonnellate di arsenico, ben noto e ampiamente documentato come cancerogeno per l’uomo e anche la sola esposizione a basse dosi può aumentare la mutagenesi a lungo termine. Parte dell’arsenico scese in prossimità dell’impianto e parte si disperse in direzione della città di Manfredonia, contaminando soprattutto il quartiere Monticchio che era il più vicino all’impianto.
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Un disastro industriale che seguì quello verificatosi il 10 luglio dello stesso 1976 a Seveso ma, a differenza del primo balzato nelle cronache nazionali e internazionali, di quello che era successo a Manfredonia non ne parlò quasi nessuno. E quei pochi che ci provavano venivano marginalizzati e screditati, eccetto che l’ex dipendente Nicola Lo Vecchio la cui storia non deve essere mai dimenticata. Se fossero per davvero fantasmi, bisognerebbe ammettere che continuano a farsi vedere e non c’è ancora modo di liberarsene. Invece, purtroppo, sono reali i dati contenuti nell’ultimo studio sui rischi di mortalità a Manfredonia dopo lo scoppio della colonna d’arsenico del petrolchimico Anic, poi Enichem. L’unica cosa che li accomuna agli spettri è che aleggiano silenziosi, impercettibili alla vista, dimenticati da (quasi) tutti, mentre in realtà hanno mietuto e mietono vittime.
Già nel 2019 era stato mostrato che la mortalità complessiva e la mortalità per cancro ai polmoni tra i lavoratori a contratto – coloro i quali furono maggiormente esposti durante le attività di bonifica - sono più elevate rispetto a quelli meno esposti all'arsenico. Questa volta lo studio ha preso in considerazione il follow-up completo della coorte occupazionale esposta all’arsenico nell’impianto petrolchimico di Manfredonia a 45 anni dal disastro del 1976. I lavoratori residenti a Manfredonia il giorno dell’incidente hanno mostrato un tasso di mortalità per cancro ai polmoni notevolmente più alto rispetto a quelli residenti altrove. L’effetto della residenza a Manfredonia è più alto se si considerano solo i lavoratori sopravvissuti 20 anni dopo l’incidente del 1976. È la prima volta che vengono analizzati anche quei lavoratori che, pur essendo coinvolti nelle attività di decontaminazione, non erano stati enumerati nella coorte originale.
“Per questi lavoratori non sono stati segnalati infortuni o arsenico urinario al di sopra delle soglie stabilite dalle autorità nel registro tenuto dal Worker's Health and Safety Board, e questo è stato utilizzato come criterio di esclusione in studi precedenti. Tuttavia, la nostra analisi – scrivono la manfredoniana Rossana Di Staso, autrice di questo ultimo studio insieme ai colleghi professori Daniel Wollschlaeger, Maria Blettner e Emilio Gianicolo, che hanno dedicato il manoscritto alla memoria di Rosanna Giordano - ha mostrato che questa categoria di lavoratori aveva una sopravvivenza più breve rispetto alla categoria di lavoratori di riferimento”. Ne consegue che “l’innalzamento delle soglie ha dato priorità alle attività di bonifica rispetto alla salute dei lavoratori”.
Mentre nel 1970 la mortalità complessiva a Manfredonia era inferiore a quella della provincia di Foggia e della Puglia, dal 1970 i residenti hanno perso progressivamente il loro vantaggio. “Può essere potenzialmente correlato sia ai cambiamenti nella composizione demografica dovuti ai flussi migratori – spiegavano gli autori dello studio ecologico svolto nel 2019 -, sia all'effettivo peggioramento delle condizioni di salute della popolazione a seguito dell’incidente in fabbrica”. Un ulteriore punto di forza dell’ultimo studio è la solidità delle informazioni sui risultati, ottenute dagli uffici pubblici.
Zone Transition
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Ci sono “due risultati chiave” che emergono dallo studio. Innanzitutto, l’aumento dei tassi di mortalità relativa tra i lavoratori che sono stati maggiormente esposti all’arsenico durante le attività di bonifica, già riscontrato in lavori precedenti, è confermato da un fattore di accelerazione, corrispondente alla perdita di 5 anni di vita per i lavoratori a contratto rispetto ai lavoratori dell'area della plastica. In secondo luogo, il tasso di mortalità dei residenti di Manfredonia ha iniziato a divergere da quello dei residenti altrove 20 anni dopo il 1976, con conseguente tasso di mortalità per cancro ai polmoni che era tre volte più alto per i residenti rispetto agli altri lavoratori e quasi cinque volte più alto considerando una latenza superiore a 20 anni. Come dire, che più passava il tempo e più si rendevano evidenti gli effetti nefasti sulla salute della popolazione.