Don Uva, dissequestrati e restituiti cellulari dei 30 indagati dopo quasi due anni dall’avvio delle indagini

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Sono stati riconsegnati ai legittimi proprietari dopo oltre un anno e mezzo i cellulari che erano stati sequestrati nell’ambito dell’inchiesta che ha portato, a fine gennaio 2023 agli arresti (in carcere e ai domiciliari) di 15 sanitari del Don Uva, in servizio presso l’ex istituto ortofrenico di Foggia e di misure restrittive per altrettanti dipendenti, per un totale di 30, con l’accusa, a vario titolo, di maltrattamenti, sequestro di persona e violenze sessuali a danno di 19 pazienti ricoverate in struttura. Le misure cautelari nel frattempo sono state revocate e i 30 licenziati in tronco da Universo salute. Si attende la chiusura delle indagini per fare chiarezza sull’accaduto. Ad analizzare il contenuto dei dispositivi è stato il personale del Racis – Ris dei Carabinieri di Roma. Trapela che i giudici avrebbero chiesto un approfondimento sui cellulari per accertare la presenza o meno di un video che avrebbe immortalato un atto sessuale tra due pazienti dei reparti maschile e femminile. Il dubbio dei magistrati sarebbe sorto analizzando le intercettazioni quando in una conversazione tra due operatori sanitari, uno chiedeva all’altro di informarsi tra i colleghi su questa voce che girava da un po’.

“Se i cellulari ci sono stati restituiti e se non ci sono state ulteriori conseguenze di carattere penale immaginiamo che gli investigatori non abbiano trovato nulla – il commento a l’Attacco di alcuni indagati, che si sono sempre professati innocenti rispetto alle pesanti accuse mossegli -. E del resto, ancora prima delle indagini noi non abbiamo mai sentito parlare di questo fantomatico video. Purtroppo ancora oggi a distanza di quasi due anni viviamo il dramma di essere considerati dei mostri quando invece molti di noi si sono sempre presi cura di quelle persone con sincero affetto e mai avremmo potuto far loro del male, ce ne davano merito anche alcuni parenti dei ricoverati. Tanto più che parliamo di persone fragili, a cui i giudici essendo incapaci di intendere e volere, assegnano un tutore, al quale è attribuita la cura della persona, la rappresentanza, nonché il potere di amministrarne i beni. Caso vuole che diversi pazienti hanno come tutori alcuni dipendenti del Don Uva, assistenti sociali e anche medici in servizio proprio in quei reparti. A questo punto ci chiediamo se loro si siano mai accorti di questi presunti maltrattamenti a carico delle persone a loro affidate. Ci sono state segnalazioni da parte loro, possono raccontare di comportamenti non consentiti e censurabili? Anche rispetto a quello che accade oggi, i tutori controllano ad esempio che i pazienti vivano in condizione di benessere in questi giorni di caldo?”.

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Il tema è stato sollevato anche su queste colonne nei giorni scorsi, si parlò di climatizzatori non funzionanti nell’ex ortofrenico con il rischio di caldo eccessivo per ospiti e lavoratori. Immediata la precisazione di Universo Salute, proprietaria della struttura che ha al contrario assicurato il corretto funzionamento degli impianti di raffrescamento e la presenza nei reparti di temperature nei limiti consentiti dalla legge. “A noi risulta invece che fa molto caldo in certe aree della struttura – hanno affermato gli ormai ex lavoratori – e che persistono problemi di varia natura come tapparelle e finestre rotte. Siamo venuti a sapere anche di un rapporto di fine turno da parte di alcuni dipendenti che lamentavano appunto temperature alte, soprattutto nei giorni più caldi di inizio mese. Il nostro pensiero corre a quelle povere persone con cui noi abbiamo trascorso tanti anni della nostra vita e a cui siamo affezionati sinceramente, soprattutto perché la maggior parte di loro non ha famiglia o i loro parenti sono spesso lontani e disinteressati. E quindi sono soli, senza nessuno che si preoccupi di loro. Come sempre diciamo, non vogliamo fare di tutta l’erba un fascio ed è giusto che chi ha sbagliato, se c’è qualcuno che ha sbagliato, debba pagare ma le posizioni di ciascuno di noi sono diverse”.

Le lunghe indagini stanno quindi provando a chiarire ogni aspetto della vicenda, compresi alcuni passaggi delle intercettazioni contestate in sede di interrogatorio dai diretti interessati. “Risultano agli atti frasi che non sono state mai pronunciate da noi e questo abbiamo lo abbiamo fatto presente ai giudici. Così come stiamo cercando di smontare l’accusa di sequestro di persona. Si è detto che noi chiudevamo in stanza le pazienti o in altri ambienti del reparto ma in certi casi alla porta non c’era nemmeno il nottolino della serratura. Ricordiamo inoltre che proprio la notte del blitz, i Carabinieri non hanno trovato le stesse chiuse a chiave nelle loro camere. Va inoltre ricordato che noi avevamo indicazioni, scritte, molto precise su quali spostamenti fossero consentiti ai pazienti. Dai reparti si può uscire solo se si conosce il codice delle porte chiuse con serratura digitale. E di certo questa misura non è stata disposta da noi. La maggior parte di noi lavorava al Don Uva da molti anni e ricordiamo bene che i pazienti dell’ex ortofrenico avevano massima libertà di movimento, potevano tranquillamente scendere in giardino, andare al bar, interagire con tutti ed erano felici, alcuni uscivano anche dalla struttura, c’è chi aveva persino l’abbonamento allo stadio e non si perdeva una partita dell’amato Foggia. Il fondatore, le suore dicevano sempre che quella era la casa di quelle persone e potevano fare ciò che volevano, tenendo naturalmente d’occhio coloro i quali potevano rappresentare un pericolo soprattutto per loro stessi. Oggi hanno uno spazio limitatissimo in cui muoversi, spazio in cui non succede niente di interessante o stimolante per loro e ne risente il loro umore e il loro stato d’animo. Senza contare che in quei casi in cui è consentito loro di uscire dal reparto viene richiesta la presenza di un operatore che li accompagni. E come avremmo potuto fare noi? Lasciare gli altri pazienti senza sorveglianza visto il numero limitato di personale?”.

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“Insomma, ci sono molte cose che non quadrano e che speriamo vengano chiarite al più presto. Ormai da quasi due anni non viviamo più”, concludono. 

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