Se i sindacati della polizia penitenziaria ricordano in queste ore le innumerevoli e gravissime criticità del sistema carcerario italiano, mai risolte - a cominciare proprio dalla situazione in cui versa la casa circondariale di Foggia che è stata teatro negli anni di tanti, drammatici fatti di cronaca (dai suicidi alla maxi evasione) - ciò che sconcerta maggiormente leggendo le carte dell’inchiesta che ha portato ai domiciliari dieci agenti della polizia penitenziaria, per lo più lucerini, in servizio nel carcere daunio è l’altissimo sospetto che le violenze immortalate dalle telecamere e al centro dell’indagine odierna non siano state un episodio isolato. Gli arrestati devono rispondere, in corso e a vario titolo, di tortura, abuso d'ufficio, abuso di autorità contro arrestati o detenuti, omissione di atti d'ufficio, danneggiamento, concussione, falsità ideologica commessa da un pubblico ufficiale in atti pubblici, soppressione, distruzione e occultamento di atti veri. Il pestaggio fu compiuto l'11 agosto 2023 nei confronti di due detenuti.
Nel corso delle indagini sarebbe stata accertata la predisposizione e la sottoscrizione di atti falsi finalizzati a nascondere le violenze compiute e a impedire che venissero emesse le diagnosi delle lesioni riportate dai detenuti. Sarebbero state inoltre accertate anche minacce e promesse di ritorsioni attraverso le quali due indagati avrebbero costretto le vittime a sottoscrivere falsi verbali di dichiarazioni in cui fornivano una versione dei fatti smentita dagli esiti delle indagini. Due detenuti sarebbero stati inoltre arbitrariamente sottoposti a misure di rigore non consentite. Ai domiciliari sono finiti l’ispettore Giovanni Di Pasqua, i sovrintendenti Vincenzo Piccirillo e Vittorio Vitale, la viceispettrice Annalisa Santacroce, l’agente scelto Flenisio Casiere, gli assistenti capo coordinatore Nicola Calabrese e Massimo Folliero, l’assistente Raffaele Coccia, gli agenti Pasquale D'Errico e Giuseppe Toziano.
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Altre cinque persone sono indagate ma è stata respinta la richiesta di misura cautelare avanzata nei loro riguardi: il medico della casa circondariale Antonio Iuso, la psicologa del carcere Stefania Lavacca e l’agente Matteo De Luca.
Indagati anche i medici Romolo Cela e Francesco Balzano, per i quali non era stata richiesta alcuna misura cautelare. Ebbene, nel rispetto del principio di non colpevolezza, non si può negare che sia inquietante quanto scritto, prima ancora che dal gip del Tribunale di Foggia Carlo Protano, dal pm e dai carabinieri che hanno svolto le indagini. Il pm parla di “diffusissimo clima di omertà, quando non di fattiva collaborazione nell'ostacolare le indagini, riscontrato tra il personale in servizio presso la casa circondariale (tanto tra la polizia penitenziaria quanto tra le persone che prestano servizio in carcere con differenti funzioni) e la capacità degli indagati di ottenere la collaborazione di detenuti differenti dalle persone offese al fine di depistare le indagini e di intimidire le stesse vittime delle violenze”.
E, ancora: “Il grado di influenza di alcuni degli indagati all'interno della casa circondariale (e, potenzialmente, di altri istituti di pena. avendo le intercettazioni dimostrato come gli indagati possano godere della solidarietà e dei consigli di soggetti ben conosciuti negli ambienti della polizia penitenziaria) si è rivelato elevatissimo, come comprovato dall'audacia dimostrata nell'aggredire i detenuti dinanzi alle telecamere di sicurezza nella convinzione dell’omertà dei colleghi preposti al controllo oltre che da tutti i tentativi di inquinamento probatorio, messi in atto persino inducendo altri detenuti ad affermare mendacemente che le lesioni (visibili dalle telecamere e attestate dai medici) non fossero presenti alla data dell'aggressione”.
Né va sottovalutato “il valore altissimo dei beni coinvolti, costituiti, oltre che dalla fede pubblica, anche. dall'incolumità personale e morale di soggetti vulnerabili affidati allo Stato”. Il pm è ancora più netto: “Se non fosse stato per l'acquisizione dei filmati comprovanti le aggressioni (e di conseguenza i molteplici delitti commessi per nasconderle), il coinvolgimento di tanti soggetti con ruoli diversi all'interno della casa circondariale avrebbe finito probabilmente per impedire la ricostruzione di quanto accaduto ai due detenuti”.
Di più: “La considerazione della diffusissima solidarietà tra gli indagati induce a ritenere che le condotte di depistaggio emerse nel corso delle indagini rispondano a precise prassi operative tra coloro che operano in una realtà difficile come quella della casa circondariale. Pur senza riprendere le enfatiche espressioni usate dai carabinieri nello stilare l'informativa conclusiva, dunque, si ritiene che quanto emerso debba indurre l'autorità giudiziaria a prendere i provvedimenti necessari a impedire che i gravi eventi accertati possano ripetersi. Nonostante la presenza delle telecamere, nessuno dei partecipanti “passivi” alle aggressioni si è minimamente scomposto mentre i detenuti venivano malmenati e gli stessi autori materiali dei pestaggi si sono poi adoperati in tutti i modi possibili per ostacolare eventuali indagini.
Queste condotte inducono a ritenere che gli appartenenti alla polizia penitenziaria coinvolti abbiano adottato la prassi di esercitare e mantenere la loro autorità con la violenza, addirittura aggredendo persone inermi valendosi della forza soverchiante del loro numero e della posizione loro riconosciuta dall'ordinamento penitenziario non solo per portare a termine vere e proprie spedizioni punitive ma anche per screditare eventuali denuncianti e per creare all'interno della casa circondariale un'area di impunità da sfruttare per mantenere la con la violenza, così da semplificare lo svolgimento dei loro compiti quotidiani. Tale prassi, anche tramite la contiguità con i detenuti più inclini ad assecondare la logica della collaborazione, induce a ritenere praticamente certo che, se non adeguatamente contenuto, gli indagati torneranno a partecipare alla commissione di delitti della stessa specie di questo”. E poi c’è l’espressione balzata nelle scorse ore sulle cronache nazionali, “una vera e propria spedizione punitiva”, come pure l’evidenziazione della “coesione” degli indagati anche di fronte ad una indagine penale.
Secondo il pm i tentativi di occultamento della notizia di reato sarebbero stati molteplici, esplicitandosi in false dichiarazioni spontanee, costrizione al silenzio, falsi certificati medici, falso per distruzione, tentativo di distruzione delle videoregistrazioni e falsa relazione di servizio. Di Pasqua, molto probabilmente, il giorno stesso dell'aggressione si recò presso la 'sala regia' per visionare ed eventualmente tentare di disperdere o eliminare la prova schiacciante della proprio condotta. “E’ venuto qualche collega, l'ispettore Di Pasqua e l'assistente capo Calabrese, che mi hanno chiesto quanto tempo durano i filmati perché dopo un po' di tempo non si possono recuperare. Poi hanno chiesto quali riquadri registrassero quel giorno. Ricordo che in quell'occasione mi chiese anche dove fosse il server in cui erano contenute le registrazioni. Tuttavia, conoscendo l’ispettore Di Pasqua e non riuscendo a comprendere il motivo della richiesta, ho indicato una stanza del carcere che però non aveva nulla a che fare con il server”, ha raccontato agli inquirenti un collega degli arrestati.
Zone Transition
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Per il gip “erano consapevoli che quelle immagini non solo li avrebbero inchiodati inesorabilmente alle loro responsabilità, ma che non sarebbero state neppure coerenti con messinscena documentale mistificatoria che si stavano apprestando a redigere”. Mentre il medico Iuso (che per tale fatto ha sporto denuncia), constatato che nel registro era stata strappata la pagina inerente la visita e il referto al detenuto picchiato, datata 12 agosto, ha esclamato ai carabinieri: “Ma che cosa è successo a questo registro? Manca proprio la pagina su cui avevo trascritto la mia refertazione circa la visita, è stata strappata chi l'ha strappata? Questa storia non mi piace”. Una sottrazione che mostrava i segni evidenti di una effrazione da parte di qualcuno che aveva evidentemente interesse a far sparire quel documento firmato dal sanitario.