“Quelli sono malati. Quelli sono pazzi. Quei due sono malati”, dicevano due oss estranei alle accuse nel corso di una intercettazione ambientale. Si riferivano a Mariano Paganini e Antonio Vero, raccontando delle violenze che avrebbero consumato a danno di alcuni anziani ospiti della RSSA Stella Maris, a Siponto.
Esiste una “evidente complicità” tra Vero e Paganini, sostiene l’accusa, uniti anche da una sorta di parentela acquisita visto che la compagna del primo è la mamma del secondo. Sono loro ad essere indicati come i “più violenti”.
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Le accuse sono comunque mosse verso 4 operatori socio sanitari che operavano nella struttura per anziani. Anzi, cinque. Ma per quest’ultimo non c’è stata nessuna misura cautelare perché gli indizi a suo carico non sono stati ritenuti sufficientemente gravi.
Come si ricorderà, il lavoro degli inquirenti era partito dopo che avevano ricevuto una lettera anonima in cui erano descritti gli episodi di violenza che si sarebbero consumati alla Stella Maris, con annessa chiavetta usb contenente un video dal quale si ascoltavano le urla di una donna anziana. Nemmeno un mese prima, si era rivolto a loro un oss che prestava servizio in quella struttura e aveva esposto gli stessi fatti senza però sporgere alcuna denuncia. Perciò, fu convocato dalle forze dell’ordine e ammise che era stato lui stesso a mandare quei documenti e aveva fatto così per timore di ritorsioni. Le sue affermazioni furono successivamente avvalorate da quelle analoghe rese da un suo collega, ascoltato sui fatti contestati.
Nonostante le dichiarazioni circa il fatto che il ‘quinto oss’ “picchia i pazienti, li maltratta, li umilia”, rese agli inquirenti da questi due oss considerati attendibili, queste non sono state riscontrate dall’attività di monitoraggio ambientale “a causa di problemi tecnici”. La connessione necessaria non era risultata stabile per supportare il segnale, a differenza di quella al secondo piano dove, solitamente, erano alloggiati i degenti con maggiori difficoltà deambulatorie.
Tra l’altro, il ‘quinto oss’ è uno dei due operatori che sono stati captati nel corso di un dialogo in cui si evince che era trapelata qualcosa sulle indagini in corso. Gli ultimi supporti tecnologici erano stati installati circa una settimana prima e un suo collega estraneo ai fatti contestati gli disse: “Ha segnalato… hanno segnalato”.
E gli altri due accusati? Di Domenico Nuzziello abbiamo detto su queste colonne sabato scorso, dal momento che la sua posizione sarebbe ridimensionata rispetto alle accuse che gli erano state mosse. Riprova avuta in sede di Riesame, dopo che la Procura non ha opposto ricorso avverso gli arresti domiciliari ai quali è costretto.
La sua legale con il collega Francesco Le Noci, l’avvocata Carmela Caputo, ci tiene però ad intervenire ancora su alcuni testuali a lei riferiti e specificare che “nella precedente occasione, non ho inteso affermare che i video dell’inchiesta sono ‘da lager’. Piuttosto, ho voluto solo precisare la posizione cautelare del mio assistito. Null’altro mi è ascrivibile, meno che mai dichiarazioni che avrei reso sugli altri indagati”.
Preso atto del chiarimento e tornando ali oss sotto accusa, c’è ancora uno: Michele Salcuni. Anche nel suo caso, come per Paganini e Vero - che sono difesi rispettivamente da Raul Pellegrini e Aurelio Portincasa, e da Pietro Schiavone e Laura Raffaeli -, il Tribunale del Riesame ha disposto la misura cautelare del carcere. Come per i suoi ex colleghi, i suoi avvocati difensori Matteo Ciociola e Michele Ferosi presenteranno ricorso.
Se non ci fossero di mezzo una serie di maltrattamenti e violenze documentati dalle telecamere installate alla Stella Maris in due momenti, sul finire del giugno scorso, si dovrebbe comunque riconoscere a Salcuni di essersi reso autore di un probabile primato. Triste, biasimevole, deplorevole, umiliante per la persona che lo subì. L’oss Michele Salcuni ha inflitto 21 schiaffi consecutivi sui glutei di una degente con gravi infermità. Sì, 21. Uno dopo l’altro, durante quelle che dovevano essere le operazioni di igiene al mattino.
La donna urlava e si lamentava, scrivono gli inquirenti, ma Salcuni non se ne prese cura. Piuttosto, dopo averle lanciato in faccia l’asciugamano con cui l’aveva asciugata, le rifilò un altro schiaffo sul gluteo. Pochi istanti e seguirono altri 11 schiaffi “in rapida successione sui glutei della degente, la quale piangeva e proferiva parole incomprensibili”. E altri 2 di commiato.
Tra tutte le immagini raccolte dalle telecamere, queste sarebbero le ultime – in ordine cronologico – che riguardano direttamente Salcuni. Prima, ci sarebbero almeno altri 8-9 episodi che supporterebbero le accuse nei suoi confronti. Stando alle trascrizioni dei dialoghi, infatti, in più occasioni si rivolgeva con pesanti offese ad una degente, apostrofata come “zoccola” e “puttana”. Non le furono risparmiati i ceffoni, come successo anche per un altro paio di pazienti di sesso maschile.
In un caso, si sarebbe reso addirittura protagonista di atti di violenza per interposta persona. Nel senso che avrebbe guidato i movimenti della mano di un paziente per colpirne un altro, che era ricoverato in quella stessa stanza.
A differenza degli altri accusati, Salcuni venne a sapere qualcosa sulle indagini a metà luglio scorso. Fu il ‘quinto oss’ a intrattenere conversazione con lui nelle vicinanze del locale docce al primo piano e, stando a quello che scrive la gip Roberta Di Maria, “parlavano in maniera generica delle violenze sui pazienti, ipotizzando chi avesse potuto fare la segnalazione”. L’oss che lo informò avrebbe affermato: “Michele, qua l’unico problema (incomprensibile) è Mariano”.
Quelle notizie rappresentavano un ipotetico vantaggio sugli inquirenti che, però, Salcuni non avrebbe tratto, dal momento che a quelle congetture seguirono comunque ulteriori 3 azioni, riprese dalle telecamere, da lui commesse a danno dei degenti.
Modalità comportamentali “indicative di una cieca e incontrollata brutalità - dice la giudice per le indagini preliminari - pronta ad esplodere in qualsiasi occasione”.
Zone Transition
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Un quadro complessivo che mostra una sorta di senso di impunità comune agli accusati che resta inspiegabile, per quanto dai racconti dei testimoni si intuisca la sudditanza psicologica che tanti oss, forse un po' tutti, subivano nei confronti dell’affiatato gruppetto sotto accusa.