Un video porno fatto circolare su WhatsApp facendo credere in città che la protagonista fosse una donna che in realtà non c’entrava nulla. Una squallida e criminale trovata, che ha goduto dell’aiuto di tanti concittadini – uomini e donne - che hanno inoltrato, fomentato pettegolezzi, avallato la menzogna, senza alcun rispetto per la persona lesa da questa storiaccia. E’ quello che è avvenuto a Manfredonia alla professoressa Brunella Magno, quarantenne nota sia perché insegna da 20 anni sia per il proprio attivismo culturale, sociale e politico. Magno è docente di religione cattolica presso l'Istituto Tecnico Commerciale Toniolo, è impegnata con l'associazione per la legalità Ultimi ed ha svolto vari progetti sulla legalità a scuola. E’ madre di due ragazzi ed è conosciuta anche come figlia del professor Italo Magno, ex candidato Sindaco e consigliere comunale, più volte destinatario di intimidazioni quali danneggiamenti, proiettili e atti persecutori. Ma non è dato sapere se esista qualche forma di correlazione con quello che è capitato lo scorso anno alla figlia Brunella e che tuttora continua a danneggiarla.
Ad un anno esatto dall’inizio dell’incubo Brunella Magno ha deciso di raccontare per la prima volta, a l’Attacco, quello che ha subìto.
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“La prima segnalazione arrivò a settembre 2021, mentre stavo dando una mano in campagna elettorale alla candidata sindaca Giulia Fresca (oggi consigliera di opposizione ed espressione di Manfredonia Nuova, ndr), mia amica”, spiega.
“Via sms una collega mi avvertì: “Sei sulla bocca di tutti, sta circolando un video su WhatsApp in cui sei in atteggiamenti intimi. Ne stanno parlando molti alunni e genitori”. Io pensai subito a un filmato girato in classe da qualche ragazzo col cellulare per scherzo. Poi, quando capii che si trattava di un video hard, mi rivolsi ad un amico che lavora nelle forze di polizia per chiedere come mi dovessi comportare e costui mi disse che dovevo possedere il video per sporgere denuncia. Finalmente, il 6 ottobre una mia amica di Foggia me lo mandò. Disse che probabilmente veniva fatto circolare per colpire mio padre”. Era un filmato della durata di 30 secondi circa, in cui una donna era intenta a praticare sesso orale e veniva ripresa da distanza ravvicinatissima.
“Insieme al video veniva diffuso, tramite il servizio di messaggistica istantanea, un secondo messaggio contenente lo screenshot della mia foto profilo su Facebook”, continua Magno.
“Era visibile solo ai miei contatti Fb e mi ritraeva ad un evento pubblico. L’avevo pubblicata come foto profilo tra il 9 e 10 settembre 2021”.
Un’associazione forzata, che chiunque conoscesse Brunella Magno avrebbe dovuto respingere immediatamente e senza il minimo dubbi visto che il video immortalava una donna palesemente diversa.
“Mi ha ferito profondamente la facilità con cui sono stata messa alla gogna a Manfredonia con questo breve filmato. Per quanto si trattasse di un fake e fosse evidente a chiunque mi conoscesse che le fattezze della donna del video erano diverse dalla mia, tanti ci hanno creduto. Letteralmente di bocca in bocca si diffuse il pettegolezzo che il video ritrasse me, persino tra quanti nemmeno lo avevano mai visto. Una volta venuta in possesso del filmato finalmente potei recarmi, il giorno dopo, alla Polizia postale di Foggia per la denuncia. Mi fu detto dalla Polizia postale che, non essendo io la protagonista del video, non poteva scattare il codice rosso perché non era revenge porn e che la denuncia potevo farla solo per diffamazione aggravata. Il paradosso era che la gente credeva che io fossi la donna ripresa nel filmato, di fatto io venivo danneggiata dalla sua circolazione. La presi malissimo perché capivo bene che era un reato di poco conto a fronte di un danno devastante e di una reiterazione del reato che non potevo bloccare”, continua la docente sipontina.
“Nel mio lavoro sono importanti anche l’onorabilità, la stima delle famiglie, l’immagine. Tutto è stato leso, sono stata pesantemente danneggiata a livello professionale. Quel giorno tornai distrutta a casa. Volevo parlarne pubblicamente ma, a parte i miei genitori, tutti mi dissero che era preferibile restare in silenzio e non raccontare pubblicamente la mia storia per far restare la cosa circoscritta a un numero limitato di persone. Ma non era vero, perché il video continuava intanto a circolare anche tra i ragazzi a scuola oltre che tra gli adulti. La situazione peggiorò, peraltro, perché dopo aver sporto denuncia mi dovetti assentare da scuola per malattia a causa della lesione di un tendine. A quel punto si diffuse la voce che fossi stata sospesa, altri interpretarono la mia assenza al lavoro come la conferma che ero indubbiamente io quella del video porno. Per tutte queste ragioni mi sono pentita di aver ascoltato il consiglio di chi mi diceva di non parlare con la stampa e di non far arrivare all'opinione pubblica la mia voce”.
Magno parlò col dirigente scolastico, il quale si recò nelle varie classi spiegando che il video era finto e che andava cancellato.
“Io insegno in 18 classi, ho circa 360 alunni. Se contiamo le relative famiglie si arriva ad un altissimo numero di persone. Dovetti anche andare dal vescovo perché uno dei requisiti per svolgere il mio lavoro il docente di religione cattolica è la moralità. Lo feci subito dopo la denuncia accompagnata da mio padre, camminavo con una stampella. Padre Franco Moscone mi mostrò piena solidarietà e vicinanza, era molto dispiaciuto e protettivo. Parlai con le mie amiche scoprendo che tante persone sapevano da settimane di quel video e non mi avevano detto nulla. Mi sentii tradita, avrei potuto intervenire prima per fermare quello che stava avvenendo. Perché avevano taciuto? Qualcuno mi rispose di non avermelo detto subito perché pensava solo a un pettegolezzo, altre persone replicarono “non ho trovato il modo di dirtelo” oppure mi spiegarono di non aver voluto mettere in mezzo i propri figli che avevano ricevuto o condiviso il video. Tutte decisioni assunte a discapito mio. La cosa peggiore è che quando chiedevo alle persone “da chi lo hai avuto?” nessuno mi rispondeva oppure voleva testimoniare. Solo una collega docente, di altra scuola, si è resa disponibile a intervenire nel processo, se mai ci sarà. Alcuni hanno risposto di non ricordare da chi avessero ricevuto il video. E’ questa la cosa che più mi ha disgustato. Non mi fido più di nessuno, ho una rabbia dentro di me che non mi fa vivere bene. Non sono più spensierata come ero prima”, confessa Magno.
“In alcune persone c'è stato sicuramente un atteggiamento doloso perché mi conoscevano nelle mie fattezze, eppure hanno fatto circolare quel video pienamente consapevoli del fatto di danneggiarmi e senza avvisarmi. Avevo pensato inizialmente all'opera di ragazzi ma poi ho riflettuto sul fatto che l'anno scolastico doveva ancora iniziare e i ragazzi erano ancora in vacanza. Ma soprattutto è molto difficile che un adolescente faccia vedere un video hard a un adulto così velocemente. In realtà, secondo me è venuto il contrario. So per certo che tra i primi a diffondere quel video ci sono stati adulti e persino donne, è una cosa orribile. Mi sono rivolta a un avvocato che si è sforzato, insieme a me, di far comprendere alla Procura che il mio caso meritava un codice rosso, perché di fatto stavo subendo una violenza alla stregua di un revenge porn. So che l'indagine è finalmente partita e che la Procura ha trovato qualcosa”.
Ma non è tutto, purtroppo.
“Dopo il video ci sono stati episodi collaterali di diffamazione aggravata perché sono stati messi in giro ulteriori pettegolezzi su una mia sospensione e sul fatto che avessi storie con un collega docente o addirittura con uno studente minorenne. Tutte falsità”.
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Come si esce da un simile incubo?
“Sto provando a uscirne stando vicino alle pochissime amiche rimaste care, le più mi hanno delusa molto. Io non ho visto in loro neanche senso civico. Ne sto venendo fuori pian piano, provando a immaginare cosa posso fare da docente e cittadina per evitare che le donne possano essere lese anche in questo modo. Mi era stato consigliato di tacere, invece è proprio urlando la verità che posso stare meglio con me stessa e credo che ci riuscirò. Gli alunni, più degli adulti, mi hanno compresa e abbracciata, ho visto in loro pudore e vergogna. Con gli adulti, invece, non mi sento più al sicuro, nessuno ha fatto nulla. Mi sono rivolta al CAV, il Centro antiviolenza, e lì mi stanno supportando. Ai miei figli”, conclude Magno, “ho raccontato immediatamente tutto e per fortuna non hanno subito danni, anzi si sono stretti intorno a me e ci siamo vicendevolmente protetti”.