Monte Sant’Angelo, i sospetti dietro il forfait del Prefetto e la contronarrazione sugli atti intimidatori

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Nella città di Monte Sant’Angelo, che è stata in Capitanata il primo Comune sciolto per infiltrazioni mafiose, ogni visita o parola del prefetto di Foggia acquista un’importanza enorme per la comunità. I cittadini sentono quello “stigma” piombato nel luglio del 2015 come un fatto ancora attuale e vedono nel comportamento del titolare dell’Ufficio territoriale del Governo la posizione dello Stato rispetto a Monte. E così non è passata per nulla inosservata l’assenza del prefetto Carmine Esposito martedì scorso alla tappa in Puglia della Giornata delle vittime di mafia, a Monte Sant’Angelo, con la presentazione del Tavolo permanente sulla legalità.

Esposito era stato annunciato tra gli ospiti di “Monte Sant’Angelo comunità organizzata”, l’evento voluto per sottolineare il percorso partito nel 2018 tra tutte le agenzie educative della città contro la criminalità organizzata.

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La manifestazione rappresentava la tappa regionale di “Terramia | Coltura - cultura”, la 27^ edizione della Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie promossa da Libera e Avviso Pubblico ogni 21 marzo. Il prefetto era atteso accanto al vicepresidente della Regione Raffaele Piemontese, alla referente di Libera Federica Bianchi, al sindaco Michele Abbaticchio (vicepresidente nazionale di Avviso Pubblico), al sindaco e coordinatore regionale di Avviso Pubblico Puglia Pierpaolo d'Arienzo, alla vicepresidente nazionale di Libera Daniela Marcone, al vescovo Franco Moscone, alle dirigenti scolastiche, alle assessore e alle associazioni aderenti al Tavolo.

Sarebbe stato il ritorno del prefetto a Monte Sant’Angelo dopo soli due mesi ma Esposito ha dato forfait. Chi ne ha fatto le veci ha motivato l’assenza con gli impegni relativi all’organizzazione della festa patronale di Foggia, ma già da giorni si sapeva che la tradizionale processione del 21 marzo non si sarebbe svolta e che il 22, giorno della solennità liturgica della Beata Vergine Maria dell’Iconavetere, ci sarebbe stata solo una celebrazione in Cattedrale.

Tra i montanari più attenti è subito circolato il sospetto che Esposito abbia deciso di non esserci per altre ragioni, quali non si sa. C’è chi si spinge a ipotizzare e mettere in circolazione l’ipotesi di un’indicazione dall’alto, dal Viminale, che avrebbe consigliato di soprassedere. Nulla di riscontrato e verificabile, sia chiaro, ma dà il segno di cosa avvenga nei pensieri della comunità di Monte Sant’Angelo. Era apparsa, infatti, come eccessiva la vicinanza mostrata dal prefetto a fine gennaio, quando Esposito presiedette nella città dei due siti Unesco – dopo la bomba alla farmacia Simone prima di Natale e l’attentato incendiario all’auto dell’assessore Generoso Rignanese, colpito per la terza volta - la riunione tecnica di coordinamento delle forze di polizia. “Non è vero che abbiamo abbandonato questo territorio. La magistratura sta facendo da anni il suo lavoro: tutti i boss del Gargano sono in galera. Certo possiamo e dobbiamo fare di più. Intanto va detto che questa di Monte Sant’Angelo è una amministrazione sana, alleata dello Stato nel contrasto alla criminalità”, sentenziò Esposito, assicurando “una maggiore presenza delle forze dell’ordine” e tutela all’assessore Rignanese. “Alla solidarietà abbiamo unito delle misure di protezione adottate subito dopo l’attentato”. Poi c’era stato il bilancio degli ultimi anni. “E non finirà qui. Non daremo tregua a nessuno. E questi ultimi episodi criminali sono il frutto della linea di forte attenzione che la Squadra Stato sta ponendo in essere”.

La presenza e le parole spese da Esposito per “l’amministrazione sana” crearono alcune polemiche dietro le quinte, perché in città non mancano quanti ritengono che dietro alcuni dei numerosissimi attentati intimidatori avvenuti tra il 2015 e oggi ci siano promesse non mantenute.

Il paradosso che a Monte Sant’Angelo parecchi non comprendono né mandano giù è dato dal fatto che gli attentati avvenuti prima del 2015 furono considerati elementi indiziari del rischio di infiltrazioni mafiose, mentre quelli registrati dopo il ritorno di Palazzo di città a gestione ordinaria sono interpretati, sic et simpliciter, come ritorsioni ad amministratori che contrastano la mafia.

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Resta da capire se agli inquirenti le vittime di tali intimidazioni abbiano indicato da chi sono venute le minacce, quali idee si siano fatti riguardo quegli atti criminali, o piuttosto si siano limitati a dire – come fatto con la stampa – di non averne la minima idea.                                                                

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