Pochi istanti fa è stata resa nota la sentenza con cui Francesco D’Angelo, reo confesso, è stato condannato a 23 anni e 8 mesi di reclusione. La vittima, Roberta Perillo, era stata uccisa a San Severo nel luglio del 2019. Non vi è stato mai alcun dubbio che l’assassinio fosse D'Angelo, quindi la partita si è giocata sulla capacità o no di intendere o volere dell’omicida.
Ed è stata così riconosciuta la seminfermità mentale, che ha dato luogo alla sentenza: condanna a 23 anni e 8 mesi di reclusione. Oltre al carcere, D'Angelo ha ricevuto la pena detentiva di tre anni da scontare in una struttura carceraria psichiatrica (Rems) per “la pericolosità sociale”. Questi tre anni sono anche prorogabili in caso in cui il soggetto non dovesse avere i presupposti per essere reintegrato nella società.
Carousel Banner 1
Carousel Banner 1
Carousel Banner 2
Carousel Banner 2
Inoltre, la Corte d'Assise ha comminato una pena provvisionale di 100mila per ogni parte civile, quindi 300mila in totale, alla famiglia di Roberta Perillo (difesa dal collegio composto dagli avvocati Guido De Rossi, Roberto De Rossi e Consiglia Sponsano): il padre Giuseppe, la madre Valeria Frau e il fratello Vincenzo, oltre al risarcimento danni da liquidarsi e quantificarsi in sede civile.
Durante il processo, erano state redatte tre diverse perizie. Il pubblico ministero (pm) Rosa Pensa aveva formulato la richiesta di 21 anni di carcere.
Zone Transition
Zone Transition
Il dibattito durante le udienze, dunque, si è incentrato sulla stima della capacità o no di intendere e volere dell’uomo. Sul punto si sono espressi diversi periti, giungendo a conclusioni differenti: il prof. Alessandro Meluzzi, noto psicologo e criminologo, nominato dai legali di parte civile, aveva concluso per la piena capacità di intendere e di volere del D’Angelo; il dott. Angelo Righetti, consulente della difesa, aveva ritenuto l’imputato affetto da vizio totale di mente; mentre il prof. Roberto Catanesi, consulente del pm, aveva concluso per un vizio parziale di mente.