A distanza di oltre un mese dal suo arresto, è ancora detenuto ai domiciliari Beniamino Amorico, il comandante della polizia municipale di Lucera al quale la procura contesta i reati di peculato, falso in atto pubblico, truffa ai danni del Comune e rivelazione di segreto di ufficio.
In queste oltre cinque settimane trascorse dal 10 maggio, quando gli uomini della Guardia di finanza gli hanno notificato l’ordinanza di custodia cautelare proprio mentre si stava recando al lavoro in Viale Libertà, sono accadute diverse cose e altre si intravedono in prospettiva, a partire dalla sua richiesta, inoltrata all’ente tramite il suo avvocato Gianluca Ursitti, di voler essere spostato ad altra mansione nell’ambito della struttura tecnica di Palazzo Mozzagrugno.
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In altre parole, Amorico ha di fatto rinunciato definitivamente a dirigere il Corpo che avrebbe ricevuto un danno di immagine a seguito delle sue condotte, decisione adottata anche prima di qualsiasi pronunciamento di carattere giudiziario (di competenza del tribunale) e disciplinare (di competenza del Comune presso cui è dipendente).
Perché i fronti aperti a suo carico sono in effetti due. Per quello di natura penale, la strategia difensiva si è concretizzata nella richiesta di un patteggiamento a un anno e dieci mesi, già sottoposta al pubblico ministero Marco Gambardella ma che ha ovviamente ha bisogno dell’approvazione tecnica e formale da parte del giudice dell’udienza preliminare che non è stata ancora fissata. Con questo scenario, che prevede anche la diminuzione di un terzo della pena eventualmente prevista, si metterebbe subito fine al processo, senza dibattimento e senza altre acquisizioni di prove, suggellando la vicenda solo sulla base degli atti finora prodotti da accusa e difesa.
Tuttavia la partita forse più delicata per Amorico è quella da giocare con il Comune. Dopo essere stato già sospeso dal servizio, la commissione disciplinare ora sta acquisendo tutta la documentazione relativa alla sua posizione di dipendente accusato di reati contro la pubblica amministrazione.
Il procedimento si annuncia complesso e non certamente veloce, perché prevede quattro fasi (pre istruttoria, contestatoria, difensiva e decisoria) e con un ventaglio di ipotesi che può andare dal nulla di fatto fino al licenziamento, passando però da sanzioni intermedie che possono essere di natura ulteriormente sospensiva o pecuniaria, più o meno pensante.
A Lucera la commissione è presieduta dal dirigente del settore finanziario Raffaele Cardillo, e ne fanno parte anche i funzionari Serafina Croce e Francesco Grasso. In pratica saranno questi tre a decidere le sorti lavorative di Amorico che, dal canto suo, ha già “risarcito” economicamente l’ente per il periodo di servizio per il quale si sarebbe assentato senza giustificazioni e quantificato in nove giorni lavorativi.
Tra le cause previste dai codici disciplinari che prevedono la conseguenza più grave del licenziamento c’è proprio la falsa attestazione della presenza in servizio e/o l’assenza ingiustificata per un periodo superiore a tre giorni o la condanna penale definitiva per reati per i quali è prevista l’interdizione dai pubblici uffici.
L’esecuzione dell’operazione “Doppio Alfa” è stata condotta della Fiamme gialle che si erano “rivelate” il 23 settembre dell’anno scorso con il sequestro dei due telefonini di Amorico (poi restituiti), una prima perquisizione negli uffici della polizia municipale, l’acquisizione di documenti alla sede centrale di Corso Garibaldi e l’ascolto di alcuni amministratori come persone informate sui fatti, come il Sindaco Giuseppe Pitta e l’assessore al Personale Alfonso Trivisonne. Nell’inchiesta sono coinvolte altre cinque persone che risultano indagate per concorso in truffa al Comune, poiché beneficiari (diretti o indiretti) dell’annullamento di una multa generata dalla violazione della zona a traffico limitato. Amorico sarebbe l’unico in possesso delle password per l’accesso al sistema informatico. Oltre alla truffa, le accuse più pesanti restano sempre quelle del peculato e del falso ideologico, sia per l’uso della vettura di servizio fuori dal contesto lavorativo che per dichiarazioni volte a favorire amici e conoscenti.
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Altro fronte piuttosto delicato resta quello di una presunta violazione della privacy, dovuta alla diffusione, a persone senza titolo, dell’elenco dei positivi al Covid rilevata dalla procura dopo l’analisi dello smartphone. Su questa specifica vicenda ci potrebbe essere dei risvolti animati da chi si sarebbe sentito danneggiato da quella che il pubblico ministero ha classificato come violazione del segreto di ufficio.