Rinvio a giudizio per sette medici del Policlinico Riuniti. Omicidio colposo tra i capi d’imputazione

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Viene contestato il reato di omicidio colposo nel decreto che dispone il giudizio pronunciato dal GUP di Foggia nei confronti di sette medici degli Ospedali Riuniti di Foggia, che li vede imputati in cooperazione colposa fra loro per la morte di Adriana Paciello, verificatasi il 3 marzo del 2018.

Di tale addebito dovranno, infatti, rispondere Francesco Paolo Cantatore, Direttore della Clinica di Reumatologia Universitaria e il medico in servizio nello stesso reparto, Antonello Trotta, Francesco Sollitto, Direttore della Struttura complessa di Chirurgia Toracica Universitaria, il medico dell’Unità Operativa di Anatomia Patologica Universitaria Francesco De Santis, Teresa Antonia Santantonio, Direttore dell’Unità Malattie Infettive Universitaria come pure Marianna Ciarallo e Anna Carretta che prestano servizio nel medesimo reparto.

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A denunciare alla Procura della Repubblica le circostanze della triste vicenda di malasanità che ha visto protagonista la paziente di 79 anni, deceduta dopo un ricovero di 2 mesi nel nosocomio foggiano, sono stati i figli Luca e Antonello Olivieri che hanno seguito da vicino tutte le fasi della degenza, con i trasferimenti da un reparto all’altro, assistendo al peggioramento continuo delle condizioni della madre, sino all’esito fatale. I due fratelli sono assistiti dai legali Vincenzo Paglia del Foro di Foggia e Pierfrancesco Bruno di Roma.

Come ipotizzato nel capo d’imputazione, il decesso della paziente sarebbe stato causato da una errata diagnosi di sospetta tubercolosi in presenza di un quadro clinico incompatibile e che portava, invece, ad una diagnosi di granulomatosi di Wegener. Come è riportato nel decreto che dispone il giudizio, la terapia somministrata a base di antibiotici e chemioterapici antitubercolari sarebbe stata inappropriata e avrebbe dovuto essere sostituita da cure con farmaci corticosteroidi ed immunosoppressori; i medici che ebbero in cura la paziente, nonostante fosse allettata dall’11 febbraio del 2018, avrebbero, inoltre, omesso di impostare un corretto regime di profilassi con farmaci anti trombotici, favorendo in tal modo la comparsa di una tromboembolia polmonare diagnosticata il 20 febbraio.

Spiega Luca Olivieri: “Mia madre è stata ricoverata il 2 gennaio 2018 nel Reparto di Reumatologia dal dottor Cantatore che l’aveva già dimessa senza formulare alcuna diagnosi il 13 ottobre dell’anno precedente, dopo un altro breve ricovero all’esito del quale i sanitari non sono stati in condizione di indicarci di cosa soffrisse ricordando come fino al 3 marzo - giorno della sua morte - mia madre non sia più uscita dall’ospedale”. Dalle consulenze tecniche versate in atti risulta che, dopo una serie di analisi tra cui Tac, agoaspirato e continue radiografie, il 26 gennaio i medici Cantatore e Trotta, ancora in assenza di diagnosi, decisero di trasferire Adriana nel Reparto di Chirurgia Toracica dove l’8 febbraio venne sottoposta ad un prelievo di campione di parenchima polmonare per l’esame istologico, che la debilitava ulteriormente.

“Il dottor De Santis formulò, così, l’erronea diagnosi di tubercolosi, come dicono le carte processuali, senza neanche attendere l’esito finale delle colorazioni del campione e sulla base di tale refertazione il dott. Sollitto decise di trasferire mia madre nel Reparto di Malattie Infettive” racconta ancora Luca che, vedendo la donna in continuo peggioramento e dietro consiglio dei medici romani Pagani e Galluccio, decise, insieme al fratello, di far rivalutare il campione istologico a San Giovanni Rotondo: qui il dottor Paolo Graziano, patologo noto in Italia con solida esperienza clinica maturata in America, rilevò che la malattia di cui soffriva Adriana era la granulomatosi di Wegener, comunicando immediatamente egli stesso il responso ai colleghi di Foggia, chiarendo, così, che non si trattava di tubercolosi. “Il dott. Cantatore non solo non ha aderito alla richiesta da noi formulata di trasferire mia madre di nuovo in Reumatologia, ma ha postulato la necessità di una terza diagnosi a sollecitare la quale, a suo dire, avremmo dovuto provvedere privatamente io e mio fratello. Ci rivolgemmo, allora, al dottor Nardi di Roma che confermò la diagnosi di granulomatosi di Wegener, ma i risultati giunsero il 7 di marzo, quando mia madre già non c’era più”.

Nel frattempo, non è stata interrotta la somministrazione di antibiotici, si è formato un embolo e, il 20 febbraio, Adriana viene trasferita in terapia intensiva UTIC, dove rimane fino al 26 febbraio, quando si aprono le porte del reparto di Medicina Interna Universitaria. “Non ci hanno neanche avvisato” fa notare il figlio mentre le condizioni della paziente sono in rapido evidente peggioramento: “Il 1 marzo il primario, il dott. Vendemmiale ci convoca e ci informa che finalmente si parte con la somministrazione dei farmaci adeguati alla malattia di mia madre, e cioè cortisone e immunosoppressori, ma lo stesso giorno, ormai ridotta ai minimi termini, viene trasferita in rianimazione, dove morirà due giorni dopo”.

Un ultimo, sconcertante passaggio riguarda il referto delle analisi del sangue eseguite nientemeno che il 18 gennaio, che già allora evidenziava la presenza, in concentrazione altissima, di anticorpi citoplasmici antineutrofili (cosiddetti ANCA) tipici della granulomatosi di Wegener. “Avevamo chiesto noi di fare questo esame, sempre su consiglio di un altro professionista di Roma, il dottor Carlo Pagani; a Foggia i medici ci dissero che era stato effettuato e che era risultato tutto negativo, salvo poi spuntare un referto che dice tutt’altro, in data 1 marzo. Ci auguriamo che il processo ci aiuti a fare chiarezza anche sul perché non si sia tenuto conto di questo esame, che magari avrebbe potuto salvare la vita di nostra madre”.

Il pool del collegio dei consulenti nominato dalla Procura aveva escluso una chiara responsabilità dei medici oggi rinviati a giudizio, sostenendo che il ritardo nella diagnosi non fu tale da cagionare il decesso della donna.

Una verità troppo frettolosa che non è bastata a placare la sete di verità di Luca e Antonello i quali, dopo essersi opposti alla richiesta di archiviazione, sperano oggi che il dibattimento riveli cosa abbia cagionato il decesso e chi ne fu effettivamente responsabile.

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Sin qui la ricostruzione di una vicenda dolorosa che appare come una concatenazione di errori, imperizie ed omissioni che vede coinvolti i sette professionisti del Policlinico foggiano nell’udienza fissata per il prossimo 18 novembre, con disposizione del GUP Michela Valente. 

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