Vendola assolve Decaro e butta a mare Emiliano che “ha teorizzato civismo fatto da ras di clientele e preferenze”

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“La spedizione al Viminale della pattuglia dei parlamentari della destra ha colpito al cuore il sentimento di orgoglio di una città che nell’ultimo ventennio è rinata, mutando radicalmente fisionomia e immagine, guadagnando libertà dall`oppressione mafiosa”. Nichi Vendola da ex governatore lo spiega a chiare lettere su Il Riformista, intervenendo sul caso scoppiato a Bari che ha travolto il sindaco Antonio Decaro. Ma allo stesso tempo Vendola non evita di puntare il dito contro la parte politica opposta:  “La destra che non si è mai accorta di cos`era Bari quando scorreva il sangue per le strade e i boss erano i padroni di interi quartieri”, continua, “ora cerca la mafia nell`amministrazione Decaro: è davvero una deriva grottesca per chi non è capace di mettere in campo una sola idea di futuro per Bari né di presentare una credibile squadra di governo alternativa al centrosinistra”. Vendola non risparmia nessuno, tantomeno il suo successore Michele Emiliano al quale l’ex governatore attribuisce precise responsabilità politiche: “L’aneddoto raccontato da Emiliano credo che sia una assoluta panzana, frutto dello stile iperbolico e sopra le righe del governatore il quale non gode della stessa stima popolare del sindaco, lo dico con dolore, e per una ragione precisa: è lui che ha teorizzato un civismo sotto le cui insegne spesso si sono camuffati i ras delle reti clientelari, i Mister e le Miss preferenze”. 

Il ragionamento di Vendola si sposta su un tema  che in questi giorni è molto dibattuto e sul quale la sinistra ha sempre mostrato un totale disinteresse. Si tratta dell’articolo 143 del TUEL, la cui applicazione ha determinato lo scioglimento (in molti casi discutibile) di diversi consigli comunali. La discrezionalità sulle decisioni delle commissioni di accesso e dei prefetti finisce con l’infondere incertezza sulla validità di strumenti legislativi nati su presupposti diversi, soggetti a strumentalizzazioni di parte.

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“La normativa che disciplina lo scioglimento dei consigli comunali”, spiega Vendola, “ha in sé un tale grado di aleatorietà che si presta al rischio della strumentalizzazione politica. Possiamo fare un bilancio almeno di questo. Perché avere sindaci che sono diretta espressione di un clan mafioso è un conto, altro conto è avere un quadro indiziario molto generico. Su questo penso, a prescindere dal colore delle amministrazioni comunali, che bisogna stare attenti”. 

Stando ai concetti espressi dall’ex governatore ci sarebbero da riformare anche l’antimafia e il ruolo dei commissariamenti che finiscono per comprimere e compromettere fortemente l’esercizio della democrazia: “Ricordo il caso di un’amministrazione e l’appalto per la raccolta della nettezza urbana a un’impresa. Arrivato il commissario prefettizio, ha confermato l’appalto per la stessa impresa. E conosco molti casi di questo genere: c’è l’alea della mafiosità che rimane una suggestione più che un fatto provato. Dico a tutte le parti in causa: questo tema va approfondito con la cautela necessaria, trattandosi di un Paese come l’Italia. Ma un’antimafia leggera e di facili costumi non ci serve. Non ci serve più. Dobbiamo rifondare l’antimafia, nel suo significato sociale e culturale e nella sua forza di strumentazione normativa”. 

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Ma anche il sistema giudiziario non è esente da alcune considerazioni da parte di Vendola: “Non conosco la storia giudiziaria di tutto il Mezzogiorno ma la storia opaca di alcune procure. Conosco, parlo di 20-30 anni fa, quel cortocircuito dei magistrati messinesi indagati a Reggio o a Catania, catanesi e reggini indagati a Messina… Penso a quello che è stato la Calabria. A quello che hanno rappresentato alcune vicende giudiziarie. Certo c’è stata malagiustizia, c’è poi stata una sovraesposizione della magistratura narrata e percepita come “giustiziera” più che come strumento di giustizia. Una certa mafiologia enfatica ci porta in un vicolo cieco, perché se tutto è mafia, niente è mafia. Dobbiamo rimettere la mafia nel suo contesto, leggerla come elemento distorsivo dello sviluppo, cercare di interrogarne oggi la enorme capacità di accumulazione e di reinvestimento di ricchezza illecita”.

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