Non era diffamazione quel post. “Chi ha un ruolo istituzionale è soggetto all’altrui valutazione”

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Chi riveste un determinato incarico che comporta esposizione istituzionale, è naturalmente soggetto all'altrui valutazione”, questa una delle motivazioni che ha portato il Gip del Tribunale di Foggia all’archiviazione del procedimento penale a carico di un medico di famiglia (L. I.) accusato di diffamazione per un post su Facebook: “27 anni di medicina di famiglia a Foggia, in questi anni ho visto cose che occhi di umani non hanno mai visto, burocrati laureati in medicina che non hanno mai visto un paziente, atteggiarsi a divinità, laureati in psicologia assurgere al ruolo di arroganti direttori generali! Laureati in legge divenire direttori di distretto.

Tutta gente con alte competenze specifiche dissertare su come il medico di famiglia debba operare!”. Questo il post del dottore indagato per diffamazione querelato da Vito Piazzolla, ex direttore generale della Asl Foggia e Lorenzo Troiano, direttore del distretto di Foggia. Il Pm aveva chiesto l'archiviazione, cui si sono opposti i querelanti. “Dopo trenta anni di onorata professione, si era lasciato andare a uno sfogo (in piena pandemia) – ha spiegato il legale del medico, Michele Vaira -. Ordinanze come queste tracciano un distinguo tra la diffamazione e la lesa maestà. Nel provvedimento il Gip ha correttamente dato risalto a un aspetto più volte evidenziato dalla difesa”.

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Il caso (in particolare il suo esito) ripropone il tema più volte affrontato su queste colonne della gestione dell’ex dg, non nuovo invero a critiche provenienti da addetti ai lavori, cittadini e loro rappresentanti, politici e civili, tutte relative al suo ruolo di manager della sanità pubblica. Persone a lui vicine hanno spesso fatto notare che Piazzolla è sempre stato insofferente alle contestazioni, dentro e fuori la sua Azienda. Voci fuori dal coro sarebbero state mal sopportate a tal punto che spesso le segnalazioni giunte a questa testata sono rimaste anonime per “paura di ritorsioni” da parte degli autori.

Il timore che maggiormente si manifestava tra chi sentiva l’esigenza di raccontare episodi, per lo più spiacevoli, legati alla Asl Foggia, nella speranza di determinare un cambiamento in positivo, era, per gli esterni, la querela, per gli interni il consiglio di disciplina. Questo è un organo previsto dalla legge, nominato dal dg, che ha il compito di valutare il comportamento dei dipendenti e, ove ravviste responsabilità, ha il potere di comminare sanzioni che possono arrivare anche al licenziamento, nei casi più gravi. Comprensibile quindi la paura.

Più di un dipendente ha raccontato su queste colonne di aver subito trattamenti poco edificanti, parlando di un ambiente di lavoro ostile determinato anche dal fatto che alcuni dirigenti usino come freno alle “intemperanze” lo spauracchio del procedimento disciplinare. Al netto delle voci, non è mai stato un mistero che Piazzolla usasse il pugno di ferro per gestire la sua Asl, nella quale non si sarebbe potuta muovere foglia che Vito non avesse voluto. E lo faceva anche grazie al supporto di pochi fidati collaboratori, barlettani come lui. Una era Mina De Gennaro, infermiera, oggi dirigente molto temuta, che era componente del consiglio di disciplina fino a qualche tempo fa. Forse non a caso più di un dipendente, amministrativi e medici, ha esultato alla notizia dell’addio di Piazzolla.

Oggi le cose sembrano andare meglio, lo riferiscono i lavoratori e lo confermerebbe il modus operandi del commissario straordinario Antonio Nigri, che pur non avendo (salvo conferma con la nomina di direttore generale) un incarico di lunga durata sta imprimendo una traccia che forse ha più a che fare con un’indole personale che con una vera e propria policy. “Abbiamo rinnovato i componenti della commissione e presto dovrebbero entrare in servizio – ha detto in premessa il manager a l’Attacco -, abbiamo scelto tutte donne, in una sorta di rivoluzione gentile, certi che la sensibilità femminile riesca a vedere oltre i meri accadimenti che possono portare ad un procedimento disciplinare. Detto questo però va ricordato che ci sono dei casi di violazione da parte del dipendente che vanno naturalmente attenzionati ed eventualmente sanzionati, se ad esempio non si adempie ai propri compiti”.

Quanto alla pronuncia sul caso del medico, l’orientamento di Nigri è chiaro: “In Italia tutti sono tutto, dal ct della nazionale al presidente della Repubblica e ciascuno si è sempre sentito e sempre si sentirà in diritto di esprimere la propria opinione, anche critica. Questa è la democrazia del resto. Il nostro approccio deve essere di rispetto e di impegno affinché il contesto in cui si opera possa percepire la tensione al miglioramento”. Miglioramento che può essere perseguito anche grazie all’attività degli organismi di controllo interno.

“E’ giusto quindi che determinati comportamenti vadano censurati nella speranza che la responsabilizzazione, l'esempio, la traccia degli atti che si pongono in essere ispirino comportamenti virtuosi sapendo che l'ufficio per i provvedimenti disciplinari c'è. Detto questo però occorre che ciascuno di noi tenga presente che l'immagine dell’Azienda è un valore che non si può scalfire”.

Quanto all’abuso che si può fare di un potere gerarchico, di superiori che minacciano la denuncia alla commissione per tenere a bada un dipendente non gradito, Nigri commenta: “Parlando per astratto, quando un dirigente diventa direttore di struttura complessa o di Azienda è facile che immagini di essere il capo, in realtà il mio sforzo è quello di spiegare a tutti i direttori che loro non sono capi ma coordinatori di una struttura pubblica, che non gli appartiene. Così come è vero che il dipendente viene pagato per assicurare la prestazione d'opera in quella struttura. Ognuno ha un riconoscimento economico pubblico per un determinato compito.

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A maggior ragione il livello direzionale diventa una responsabilità di gestione delle risorse umane, oggi, per via della carenza di personale. I professionisti possono tranquillamente decidere di andare altrove se non li si sa gestire, motivare, fare innamorare della causa, a danno della qualità del servizio. Si comprende quindi come oggi il ruolo del direttore non può essere certo impostato sul fatto che ‘io sono il capo e tu fai quello che dico io’. Purtroppo, è vero, esiste ancora questo approccio, è una scorciatoia che molte volte si imbocca per stanchezza, per nervosismo perché non c’è propensione all’ascolto e alla mediazione. E’ una tentazione che dà il piacere di comandare. Ecco perché a tutti i livelli manageriali sottolineiamo che oggi più che mai la direzione deve essere coordinamento, valorizzazione, inclusione, ascolto, briefing di gruppo, condivisione, partecipazione: le parole chiave sono queste”.

 

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