Da mesi si levano voci fortemente critiche, nella magistratura così come nell’avvocatura, rispetto alla riforma Cartabia della giustizia, che gradualmente sta entrando in vigore nel corso di questo 2023. C’è da premettere che la riforma voluta dall’ex ministra della giustizia del governo Draghi, introdotta dalla legge n. 134/2021, è mossa dall’esigenza di smaltire gli arretrati e velocizzare i tempi dei processi nei tre gradi di giudizio entro il 2026. Si tratta di precisi e ineludibili obiettivi del Pnrr, concordati dal Governo con la Commissione Europea, condicio sine qua non per l’accesso ai fondi.
Senza dubbio, “la depenalizzazione di alcuni reati” per il previsto obbligo di querela, la facilitata possibilità di prescrizione dei reati e l’improcedibilità dell’azione penale per la decorrenza di tempi stabiliti, sono tra gli elementi della legge che stanno suscitando più polemiche e apprensione.
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Molti avvocati e diversi magistrati (in primis il Procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri) sostengono che sono stati cancellati i processi anziché assegnare risorse adeguate agli uffici giudiziari a partire dal personale e dal numero di magistrati per sveltire le procedure. Anche in Capitanata le perplessità e i dubbi sono molteplici, come confermano le opinioni raccolte da l’Attacco.
“La riforma Cartabia si pone certamente obiettivi virtuosi, lodevoli e del tutto condividibili, sebbene le carenze strutturali degli uffici giudiziari del nostro Paese e la mancata correlata implementazione di risorse umane ed economiche, per dare effettività e concretezza all’ambizioso efficientamento del processo penale, rischi di determinare un’attuazione della stessa foriera di prevalenti criticità anziché degli auspicati benefici”, commenta il penalista foggiano Mario Aiezza, presidente di AIGA (Associazione giovani avvocati) in provincia di Foggia.
“Se fossimo professori a colloquio coi genitori – ovvero il legislatore – potremmo dire che la riforma è intelligente ma non si applica. Ci sono poi questioni di merito della riforma”, continua Aiezza, “che rischiano di ledere pesantemente tanto il diritto di difesa dell’imputato, si pensi al richiesto mandato specifico per le impugnazioni, quanto i diritti delle persone offese dal reato, si pensi al mutato regime di procedibilità per taluni reati e la mancata notifica alla persona offesa che non abbia in precedenza sporto querela, con il rischio cosi di veder morire molti processi se entro tre mesi dall’entrata in vigore della norma non perviene la querela della persona offesa”.
Le novità introdotte dalla legge sono rilevanti non solo rispetto alla giustizia penale ma anche riguardo al processo civile. Dalla fine di febbraio, con almeno 120 giorni di anticipo rispetto ai tempi previsti, entrerà in vigore la riforma Cartabia sul diritto di famiglia. Separazioni, divorzi, affidi, figli contesi. L’inizio di quel cambiamento che porterà, entro il 2024, alla soppressione dei tribunali per i minori e alla nascita del Tribunale della Famiglia, superando la frammentazione attuale tra tribunale ordinario, tribunale per i minorenni e giudice tutelare che allunga, a volte sine die, le cause di separazione (giudiziali, perché le consensuali sono già oggi veloci) l’affido dei minori e il destino di questi ultimi.
Questa accelerazione dell’entrata in vigore del nuovo diritto di famiglia alla fine di febbraio, decisa dal governo in sede di legge di bilancio per rispettare le scadenze del PNRR, rischia di far fallire la novità della riforma. In Italia mancano 3mila magistrati: ce ne sono 9mila quando ne servirebbero 12mila. E sono pochissimi i giudici specializzati sui temi della famiglia, dei minori, della violenza. Il rischio è dunque, per alcuni addetti ai lavori, che questa riforma si inceppi subito, che vengano emessi provvedimenti sbagliati da personale non qualificato nella materia, per cui spesso si dovrà andare in appello. Vanificando così l’accelerazione.
“Temo che non si capirà più nulla. Una riforma che si prefigge lo scopo di velocizzare la giustizia perché serve a prendere i soldi dall'Europa senza pensare alla qualità delle procedure e delle decisioni appare già così inaccettabile”, commenta a l’Attacco il civilista manfredoniano Vanni Salcuni.
Zone Transition
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“Il processo civile è un percorso delicato che non ha bisogno di scossoni e terremoti ma di piccoli aggiustamenti frutto della pratica di ogni giorno sul campo. I tempi delle sentenze non si accorceranno mai se ci sarà sempre lo stesso numero di magistrati e non ci sarà un minimo di responsabilità per l'efficienza del loro lavoro. Molti anni fa protestai contro la chiusura del tribunale di Lucera e delle sezioni distaccate e oggi tutti vogliono tornare indietro”, prosegue Salcuni. “Credo che l'unica soluzione possibile sia restituire ai cittadini il rapporto diretto con gli uffici giudiziari pur approfittando delle comodità del processo telematico. Non mi pronuncio sulla volontà di estendere la mediazione che almeno per la mia esperienza personale non serve a nulla e rappresenta solo un ulteriore costo per il cliente”, conclude l’avvocato sipontino.