Il Mondiale del Qatar ha chiuso i battenti e l’ultima tappa del nostro viaggio nelle storie della rassegna iridata è dedicata al ricordo dell’unico giocatore nato in Capitanata ad aver giocato i Mondiali, all’epoca meglio nota come Coppa Rimet. Si tratta di Riccardo Carapellese, attaccante nato a Cerignola l’1 luglio 1922.
Ala sinistra dai movimenti guizzanti e dal dribbling imprevedibile, è cresciuto nelle giovanili del Torino e, dopo un lungo girovagare fra Spezia, Casale, Vigevano, Como e Novara, nell’immediato dopoguerra ha vestito maglie di club prestigiosi come il Milan dove in tre stagioni totalizzò 106 presenze e 52 reti ma si costruì anche una robusta fama di latin lover, tanto da essere anche sospeso per punizione dal club rossonero a causa delle sue frequentazioni nei night club del capoluogo lombardo, poi il ritorno al Torino per raccogliere l’eredità del grande Valentino Mazzola e una stagione alla Juventus; divenne in seguito una bandiera del Genoa per concludere la carriera da calciatore al Catania.
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Di lui il Dizionario del Calcio edito dalla Rizzoli dice: “Palla incollata al piede, serpentine e finte da annichilire l’avversario, buon difensore della palla, stoccatore da breve distanza in quanto non dotato di lunga gittata. La sua presenza in campo, oltre che utilissima per i compagni, valeva per lo spettatore una serie di divertenti spettacoli che egli sciorinava da par suo, esaltandosi lui stesso”.
Con un simile pedigree era inevitabile il suo approdo in Nazionale, che arrivò puntuale a 25 anni il 9 novembre 1947 al Prater di Vienna per un’amichevole con l’Austria: a convocarlo in Azzurro fu il grande Vittorio Pozzo, vincitore di due titoli mondiali nel 1934 e nel 1938 e di un oro olimpico nel 1936. A dire la verità non fu proprio una gara memorabile per gli Azzurri, che furono travolti per 5-1, ma Carapellese (soprannominato il Carappa) bagnò l’esordio con il suo primo centro in Nazionale firmando il gol della bandiera proprio allo scadere al termine di una splendida azione personale.
Le sue doti gli valsero le attenzioni dei dirigenti del Grande Torino, che premevano per un suo ritorno alla casa madre: il presidente del Milan Umberto Trabattoni riuscì a resistere alle avances del club granata e in questo modo gli salvò la vita. In un giorno di primavera del 1949 i giocatori di Torino e Milan si incontrarono casualmente all’aeroporto di Barcellona: i rossoneri dovevano giocare in amichevole col Real Madrid, il Grande Torino rientrava da Lisbona dove aveva affrontato il Benfica per l’addio al calcio del capitano Francisco Ferreira, grande amico di Valentino Mazzola. Che, incrociando Carapellese, gli diede una pacca sulla spalla dicendogli “Dai che l’anno prossimo sei con noi”. Fu l’ultima volta che si videro: poco dopo le 17 di quello stesso giorno – il 4 maggio – l’aereo che riportava a casa gli Invincibili si schiantò contro la collina di Superga. Non sopravvisse nessuno.
Il presidente granata Ferruccio Novo, costretto dal terribile evento a rifondare la squadra, decise di puntare proprio su Carapellese per la faticosa ricostruzione. La tragedia di Superga condizionò pesantemente anche l’organizzazione della trasferta per la Coppa Rimet disputata l’anno seguente in Brasile, che l’Italia affrontò da detentrice del trofeo.
Sulla panchina azzurra non c’era più Vittorio Pozzo, giubilato senza troppi complimenti dopo la sfortunata spedizione alle Olimpiadi di Londra del 1948: al suo posto si era insediata una commissione formata dal consigliere federale Aldo Bardelli, dal dirigente del Torino Roberto Copernico, dal preparatore atletico Mario Sperone e capeggiata proprio da Ferruccio Novo, vicepresidente della Figc, che ovviamente inserì Carapellese – nel frattempo divenuto capitano della Nazionale – fra i convocati.
Fu un’avventura tutta sbagliata: ancora sotto choc per la tragedia del Grande Torino, in vista della lunga trasferta oltreoceano i dirigenti della Federcalcio rinunciarono al viaggio in aereo optando per la motonave “Sises”, più lenta ma più sicura. Il viaggio durò quasi tre settimane, con improbabili allenamenti sul ponte dell’imbarcazione e tutti i palloni che ben presto finirono in mare.
La Nazionale scese dunque in campo per il debutto con la Svezia, il 25 giugno, malferma sulle gambe. Tra i pochi a fare eccezione fu proprio Carapellese, che invece era a dir poco euforico: poche ore prima della partita la moglie Costanza gli aveva annunciato per telefono la nascita del primogenito Massimo e il capitano azzurro, gasatissimo, portò in vantaggio l’Italia dopo soli 7’. Ma quella era la Svezia di Nacka Skoglund ed Hasse Jeppsson: fu proprio quest’ultimo a siglare il pareggio al 25’ poi Andersson ribaltò la situazione prima dell’intervallo; uno svarione del portiere Sentimenti regalò il terzo gol ancora a Jeppsson ma il “Carappa” non si diede per vinto: al 78’ servì l’assist per la rete di Ermes Muccinelli e al 90’ sfiorò il clamoroso pareggio con la traversa che gli negò il 3-3.
Ai Campionati del Mondo del 1950, i primi dopo lo stop forzato per la guerra, parteciparono appena 13 Nazionali e l’Italia fu inserita in un girone da tre squadre che promuoveva solo la prima alla poule finale: il 2-2 tra Svezia e Paraguay sancì dunque la matematica eliminazione degli Azzurri, che si congedarono con l’inutile vittoria per 2-0 sui sudamericani.
Manco a dirlo, aprì le marcature Carapellese al 12’ e chiuse i conti Egisto Pandolfini al 63’ ancora una volta su suggerimento dell’indomito capitano. Che finì nel mirino del Bangu, ricco club di Rio de Janeiro che gli propose un contratto sontuoso: un biennale da 12 milioni a stagione. “Al Torino guadagnavo 700mila lire l’anno – ricordò in un’intervista datata 1978 – ed implorai sia il mio presidente Ferruccio Novo che il presidente della Federazione Ottorino Barassi affinché mi lasciassero andare, con quell’offerta mi sarei sistemato per tutta la vita. Ma non ci fu verso e dovetti fare ritorno in Italia”.
Zone Transition
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Carapellese giocò in Nazionale sino al 1956 totalizzando 16 presenze e 10 reti ed indossando per sette volte la fascia di capitano. Il crepuscolo della sua vicenda umana però fu triste e doloroso: perse prematuramente la secondogenita Daniela, morta a soli 30 anni nel 1984, e visse gli ultimi anni in difficoltà economiche aiutandosi con un sussidio concessogli grazie alla legge Bacchelli. Ormai anziano e minato dall’Alzheimer, Carapellese si spense all’età di 73 anni il 20 ottobre 1995 a Rapallo.
Siro Palladino