Dice che la sua casa è come lei. Un gran casino. Molto colorata, molto vestita. Per la sua casa e per il suo negozio, sceglie l’emozione. Il colore, il tessuto, la forma che accende i sensi. Di certo casa e negozio, proprio come lei, sono in evoluzione. Roberta Simone, erede dell’attività di famiglia oggi parla a l’Attacco della sua vita e della sua famiglia, del rapporto con un padre che le ha insegnato che il commercio è etico e che il negozio non si fa mai trovare chiuso. Una sciocchezza? Provate a chiudere a chi arriva da fuori. Andare a lavorare fino a quando si hanno le forze è un grande insegnamento che rende unico e speciale l’apporto di una generazione che resiste e che ha ancora occhi per sognare. E anche se i tempi cambiano e le case si svestono e diventano sempre più minimal, se sei cresciuto in una famiglia con certi valori, a una tenda, un cuscino e un copri tavola non rinunci. Scelte sempre più commerciali e veloci tendono a spersonalizzare e allargare la forbice del gusto, mentre la moda continua a proporre modelli sempre più irraggiungibili per costi e praticità. A tutto questo lei risponde con i suoi schizzi. Altro che render. Meglio un acquerello, che sarà anche più sporco, ma più caldo e romantico. Proprio come lei, una giovane donna dagli occhi dolci che crede nei sogni, nel bello e nelle persone. E oggi si emoziona a ricordare suo padre, che spunta all’improvviso dal cassetto dei ricordi. Il loro segreto erano quei cioccolatini, che mamma Maria non voleva si mangiassero e padre e figlia nascondevano in un cassetto
Cosa vuol dire oggi avere un negozio a Foggia, in quella particolare posizione?
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Oggi avere un negozio è avere ancora occhi per sognare. Perché solo il sogno ti fa andare avanti, specialmente negli ultimi tre anni. Per me quel negozio è prima di tutto famiglia, radici, storia, sangue. E quindi è quella la grande forza, perché se dovessi ragionare da imprenditrice per il valore del locale, che è un locale antico e bello e la posizione in cui è collocato, forse dargli una nuova identità. Un locale di food and beverage lì sarebbe l’ideale. E’ un locale del 1800, quindi una palazzina antica. Però per me resistere significa portare avanti le tradizioni di famiglia. Lì c’è mio padre. Ci sono i ricordi. E poi a me piace. E’ la mia vita. Mi identifico in quello che faccio. E’ un messaggio per una Foggia che vuole farcela.
Destinata a un’altra strada, a un’altra carriera.
Sì, io lo odiavo da ragazza. Per me era come il fratello che non ho perché sono figlia unica.
Un fratello cattivo?
Un fratello cattivo, esatto, che mi portava via mio padre, il mio grande amore. Lui stava tantissimo lì, quasi mi trascurava per questo negozio. E io lo odiavo quindi. Per me era l’antagonista. Il rivale. E poi invece quando ci sono entrata e me ne sono innamorata, ho capito che cosa significa portarlo avanti. E quindi ho recuperato il rapporto con mio padre. Per venticinque anni siamo stati tutti i giorni insieme. Quello è stato il successo più grande.
Come inizia questa storia?
Mio padre Leonardo apre il negozio nel ’60, ma già mio nonno aveva una sua attività, legata per lo più al pellame. E quella è la tradizione che ha portato avanti l’altro fratello, Matteo. Era pelletteria, selleria da agricoltura, per le carrozze. Non c’era ancora la borsa, la vendita al dettaglio, al pubblico. Papà è stato un anno con il papà e con lo zio e poi ha deciso di intraprendere questa strada, in cui secondo me anche mamma ha molto contato. Perché lei è una donna di gusto. A casa mia si pasteggiava con AD, Casa Viva, Lei ha sempre avuto questa passione anche quando l’interior diciamo non era di moda come adesso. L’impronta femminile del negozio l’ha data mamma. Papà curava la parte più tecnica, il rapporto con i tappezzieri, gli artigiani. Invece mamma più quello con le signore, con il pubblico.
E’ sempre stata un’attività solo di famiglia?
Sì, abbiamo sempre gestito noi. Papà ha avuto un commesso quando io non c’ero. Erano altri tempi, c’era più lavoro. Poi a Natale si ammalano entrambi, sia mamma che il commesso e mio papà si trova a causa di questa influenza con il negozio scoperto.
Che anno era?
Natale del ’92. Lui mi disse, guarda, anche se so che lo odi, per favore vieni perché ho bisogno di una mano. E io il primo giorno sono arrivata e ho detto, mah, confrontiamoci con questo mostro. E invece in pochi giorni mi ha conquistato il lavoro, ho visto che ero portata e che le clienti anche se non avevo l’esperienza di mio padre mi preferivano al commesso.
Cosa ha fatto la differenza? E’ genetica?
Io ho sempre saputo disegnare. Sono sempre stata portata per colorare, disegnare, per la manualità e la creatività, ecco perché non è stato difficile. Solo che prima di allora non lo avevo considerato proprio per una questione di repulsione, perché era il mio antagonista. Poi ho trovato il senso della famiglia. Ho capito che cosa significa avere un negozio. Ho capito perché i miei parlassero tanto di negozio anche a casa. Questo era un negozio presente sempre nei discorsi e io non standoci mi sentivo esclusa. Quando ne parlavamo in tre invece è diventato un collante. Poi mamma è stata generosissima. A un certo punto ha detto: forse sono di troppo, vai. E così lei ha fatto il passo indietro e siamo rimasti io e papà.
Come è stato quel periodo?
Ci siamo riscoperti prima di tutto da un punto di vista umano, padre figlia. L’ho conosciuto di più in quegli anni. Ho scoperto mio padre come persona, come maestro di vita.
Zone Transition
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Quali sono stati i suoi insegnamenti?
Lavorare in modo etico. Mi ha sempre detto che il commercio ha anche una sua etica. Che il ricarico del guadagno nel commercio ha una sua etica. Non può essere spropositato, esagerato. Diceva che c’era un limite oltre il quale non andare mai, per quanto tu potessi comprare bene, fare l’affare. E’ un insegnamento che per me è un riferimento netto. Spesso utilizzo anche il negozio e i materiali per eventi benefici. Con delle tovagliette abbiamo ricavato duemila euro da spendere in medicinali per l’Ucraina. La condivisione del denaro, quando è possibile usare il negozio anche per fare del bene agli altri credo sia una bella eredità. Io poi mi sono formata, ho fatto un corso di design d’interni e vari corsi mirati in giro per l’Italia. Quindi ragiono come designer prima che come commerciante. E su questo papà mi invitata sempre a ricordare anche che la nostra attività è quella del commercio, accanto a quella del disegno e della creatività, al lato estetico insomma. Ma poi credo che anche il lato estetico faccia la differenza. Il cliente si fida. Capisce che non gli venderei mai una cosa che non sta bene pur di venderla e questo a lungo andare ti ripaga. Siamo aperti da 63 anni. Di meteore che hanno aperto e chiuso, ce ne sono state tante. Il successo dipende da come gestisci il negozio, ma anche dalla persona che sei.
(pubblicato il 3 febbraio 2023)