A Pietramontecorvino la comunità energetica l’avevano immaginata (e avviata) già nel 2003, e non andando a cercare il singolo coinvolgimento di imprese e famiglie ma ponendo direttamente il Comune come il soggetto promotore, produttore e distributore di energia sul territorio.
Dal 2008 in poi, ha per esempio incassato una media di 4-500mila euro all’anno, vale a dire il 3% di quanto prodotto da 24 torri eoliche impiantate sul territorio (nelle località Monte Stillo, il Seggio, Collina San Paolo e Altopiano Terragnola) da quella che all’epoca si chiamava Mf Power, impresa di Milano che poi ha passato di mano la gestione fino ad arrivare all’interlocutore privato denominato Voreas che oggi genera ricavi intorno ai 15 milioni all’anno.
Carousel Banner 1
Carousel Banner 1
Carousel Banner 2
Carousel Banner 2
Risale a circa 20 anni fa, infatti, una convenzione siglata tra l’Amministrazione all’epoca guidata dal Sindaco Antonio Di Donato e l’impresa, con il valore aggiunto rappresentata da un accordo unico nel suo genere: dopo nove anni di esercizio, quattro di quelle pale dovevano passare nella proprietà del Comune che quindi avrebbe gestito direttamente un totale di 8 megawatt di potenza.
L’uso del condizionale non è casuale, perché l’agognato trasferimento non è mai avvenuto, sin dal 2017 quando era previsto, e per di più da un anno l’ente non riceve nemmeno più i versamenti economici concordati. A incrociare le date, l’interruzione del flusso coincide con il periodo immediatamente successivo a quando il Comune si è rivolto al Tar Puglia per far valere le proprie ragioni.
“Oggi mancano all’appello del bilancio 7-800mila euro – ha subito chiarito l’attuale Sindaco Raimondo Giallella – e se si considera che questi introiti rappresentano un terzo del totale di esercizio, è evidente che siamo già in difficoltà. L’ultimo documento finanziario approvato è in equilibrio, ma abbiamo dovuto operare delle manovre per 240mila euro, così da tenere i conti in ordine, situazione che però l’anno prossimo sarà quasi certamente impossibile, con il rischio concreto di andare in dissesto, ipotesi assolutamente da scongiurare”.
Non è altrettanto casuale che Giallella abbia reso pubblica la vicenda facendosi affiancare dai suoi due predecessori, lo stesso Di Donato (in carica dal 1990 al 2003) che oggi è assessore della sua Giunta, e Rino Lamarucciola che ha guidato l’ente poi fino al 2013 e oggi rappresenta il capo della minoranza.
Al di là delle questioni di liquidità finanziaria, il vero problema secondo tutti e tre (e quindi dell’intero Consiglio comunale che si è espresso in maniera unanime) è quello di entrare in possesso di quei quattro impianti, ritenuti la vera svolta economica del territorio che va oltre i confini cittadini.
“La questione energetica ormai è di discussione mondiale – ha aggiunto Giallella – e tutte le amministrazioni, a ogni livello, stanno cercando soluzioni per mitigare gli aumenti dei costi e trovare risorse alternative, e a noi viene negata la possibilità di costruire veramente un progetto di sviluppo. Con quelle quattro torri potremmo assicurare il fabbisogno di circa 18mila persone, vale a dire una popolazione ben superiore a Pietramontecorvino (che ha 2.600 abitanti, ndr) e che può abbracciare un territorio che va da Volturino fino a Casalnuovo Monterotaro. Non a caso, tutti i 29 sindaci dell’Area Interna sono solidali e coesi nel sostenere la nostra battaglia che è decisiva per il futuro della zona, perché produrre energia sul posto e trasportarla nelle immediate vicinanze significa di fatto liberare una grande quantità di denaro che potrebbe essere destinato a incentivi imprenditoriali per i giovani, costruendo modelli di sviluppo veramente interessanti e attrattivi per noi che siamo soggetti a spopolamento e isolamento”.
Insomma, la partita che si sta giocando è cruciale, e il risultato è appeso alla decisione del Tar Puglia che da un anno e mezzo non si è ancora pronunciato, lasciando il Comune in un limbo economico che ora sta diventando sempre più difficile da sostenere e alimentare.
“Non decidere significa far morire un Comune di stenti – ha aggiunto Lamarucciola – e in questo caso addirittura il Tar non ha ancora fatto capire bene se si ritenga competente in materia. E’ evidente che non possiamo ulteriormente aspettare, perché allora dovremo prendere strade alternative per far valere i nostri diritti, quelli dell’intero territorio che in questo momento ci vengono negati. Anche se siamo in minoranza, questi sono grandi temi su cui non ci possono essere divisioni”.
In realtà nella convenzione del 2003 è espressamente riportato che le controversie debbano essere risolte con un arbitrato, “ma noi non ci possiamo permettere i costi previsti in procedimenti del genere, anche perché abbiamo bisogno di risposte veloci per poi capire cosa fare”.
E finora le risposte della controparte sono state definite “evasive”, anche se una traccia di motivazione potrebbe risiedere nell’allungamento da 8 a 15 anni della validità dei cosiddetti “certificati verdi”.
Anche Di Donato, che aveva avuto l’intuizione, ha parlato della concreta possibilità di innescare dei processi virtuosi a livello locale, grazie alla generazione di quei flussi finanziari stimati in 300mila euro annui per ogni torre a disposizione del Comune, “affermando così una diretta sintonia tra chi subisce e chi beneficia degli impatti ambientali”.
Naturalmente c’è anche un risvolto di carattere politico e di sensibilità pubblica, due obiettivi che non vengono trascurati in questa vicenda, con un appello chiaro e visibile rivolto a Provincia e Regione, chiamati a sostenere in qualche maniera una contesa che si annuncia decisiva non solo dal punto di vista economico, ma soprattutto sociale.
Zone Transition
Zone Transition
“I Monti Dauni da soli producono il 28% della energia verde della Puglia, ma anche il Governo deve dare una mano – ha concluso Giallella – perché quando ci sono situazioni del genere, vanno favorite con una legislazione chiara ed efficace, altrimenti parliamo di energia da recuperare a beneficio della gente, ma poi i veri vantaggi restano nelle mani dei grandi gruppi industriali”.