Capitanata, 1 famiglia su 3 vive in condizioni di povertà relativa. Emigrazione di giovani e desertificazione del territorio

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L’Istat il 6 settembre 2022 ha pubblicato il rapporto sulla povertà relativa in Italia ed è emerso che la Puglia risulta la Regione più povera del Paese e la provincia di Foggia ha l’indice di povertà relativa più alto in Italia. L’indice di povertà determina il numero di individui che vivono in famiglia con un reddito disponibile pari a:
- Euro 619 per nucleo familiare composto da una sola persona;
- Euro 1.048 per nucleo familiare composto da due persone;
- Euro 1.394 per nucleo familiare composto da tre persone;
- Euro 1.709 per nucleo familiare composto da quattro persone;
- Euro 1.992 per nucleo familiare composto da cinque persone;
- Euro 2.265 per nucleo familiare composto da sei persone;
- Euro 2.517 per nucleo familiare composto da sette persone.

La percentuale di famiglie che vivono in povertà relativa nella provincia di Foggia sono pari nel 2021 al 33,3% (81.516 nuclei) per un numero totale di individui pari a 200.531 su un totale di popolazione di 598.500 pari al 36,2%. Più di una famiglia su tre vive in povertà relativa. E’ del tutto evidente che nel calcolo della povertà relativa non vengono considerati, poiché non stimabili, il lavoro nero e l’economia sommersa.

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In un solo anno la povertà in Capitanata si è incrementata di circa dieci punti percentuali e a breve continuerà ad aumentare per effetto dell’incremento dei prezzi delle materie quali gas, petrolio, genere alimentari etc dovute alla guerra tra Russia e Ucraina.

L’impoverimento delle famiglie è dato oltre che ad un insufficiente sviluppo economico e sociale del territorio anche dalle tante fragilità relazionali che si sono venute a creare negli ultimi decenni. Vi è stato un isolamento delle famiglie senza o con pochi legami relazionali. All’impoverimento economico dovuto all’assenza e all’insufficiente reddito disponibile a soddisfare quelli che oggi vengono considerati bisogni primari (mangiare, bere, vestirsi) legati alla stessa esistenza dell’uomo si aggiungono anche povertà di relazioni significative: povertà di capitale sociale, solitudine ed esclusione.

Tre economisti premi Nobel, Esther Duflo, Abhisit Benerjer e M. Kremar, hanno dimostrato attraverso ricerche fatte in diversi parti del mondo come alla povertà economica si aggiunge spesso l’esclusione e, quest’ultima si può combattere con le pratiche concrete fatte di piccoli passi, che la povertà non è solo questione di redditi disponibili quanto anche al capitale in capo alle persone (educazione ed istruzione, formazione e relazioni) e alle comunità locali. In altre parole, alla povertà economica si aggiungono altre povertà quali quella educativa, culturale e del diritto alla buona salute. I ragazzi che abbandonano la scuola dell’obbligo sono in Capitanata uno su quattro, nella società attuale basata sulla conoscenza è una ipoteca che compromette un futuro di crescita e di sviluppo economico e sociale.

Per le scienze sociali la madre di tutte le domande è: perché ci sono paesi, città, territori che vivono in condizioni di ricchezza e altri che restano poveri? Per quali ragioni nel mondo convivono prosperità e indigenza? Alcuni si soffermano sul clima e sulla geografia. Molte ricerche e studi rigorosi smentiscono queste interpretazioni. Non c’è nessuna maledizione né climatica né geografica. Altri chiamano in causa la cultura. Le origini di prosperità e povertà risiedono nelle istituzioni politiche ed economiche che i paesi, le città e i territori si danno, dalla loro qualità costituita da competenze, eccellenze e valori basati sul bene comune. I territori che vivono in povertà quasi sempre sono dominati da élite che preferiscono difende i propri privilegi ed estrarre risorse dalla società piuttosto che avviare un percorso di benessere per tutti.

Daron Acemogu economista tra i più brillanti al mondo nel libro “perché le nazioni falliscono” ha dimostrato con ricerche e studi fatti in tutto il mondo che prosperità e ricchezza di territori dipendono dalla qualità delle istituzioni politiche ed economiche e dalla qualità culturale. Non vi è alcun dubbio che la Capitanata è afflitta da tempo da istituzioni pubbliche ed economiche inadeguate nella migliore delle ipotesi e, incompetenti e corrotte nella peggiore delle ipotesi che privilegiano i propri interessi e quelli del proprio gruppo a danno della società, arraffando e derubando ricchezza e reddito a discapito della popolazione.

Sono decenni che non vediamo più alla guida di istituzioni pubbliche e private donne e uomini di comprovata capacità e di grande autorevolezza e, i risultati sono tutti nei livelli di povertà assoluta e relativa, nelle gigantesche disuguaglianze, nella povertà scolastica ed educativa e in un sistema produttivo marginale e sottomarginale per nulla innovativo e competitivo fatto di piccole e piccolissime aziende che spesso sopravvivono grazie alla spesa pubblica e non al mercato.

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Inermi assistiamo ogni giorno ad emigrazione di giovani e ad una progressiva ed inarrestabile desertificazione del territorio. Chi pensa che il nostro sottosviluppo sia una maledizione della storia dovuta alla geografia o al clima non sa nulla di storia economica e di economia, la nostra condizione è la conseguenza dei nostri comportamenti e delle decisioni prese o non prese in modo collettivo. Una buona governance pubblica, una comunità attiva e partecipativa, interazioni sociali di fiducia, etica diffusa e rete di solidarietà sociale, un apparato formativo di qualità sono i fattori necessari e sufficienti per poter uscire dalla condizione di sottosviluppo in cui siamo precipitati. Ciò che ci manca come l’aria.

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