Dopo il dolore si cerca ora la verità su quanto accaduto prima dello schianto

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Chi era alla guida dell’elicottero A 109 marche di identificazione I-Piki di Alidaunia? Luigi Ippolito o Andrea Nardelli? Il pilota più esperto, più anziano e di sicuro il Comandante, oppure il pilota più giovane, solitamente destinato ai voli dell’elisoccorso, dell’emergenza? A stabilirlo sarà l’autopsia che nei prossimi giorni verrà eseguita sui due corpi. Perché su quell’elicottero non c’era alcuna scatola nera. E questo è il primo degli interrogativi. Bocche cucite sia in Procura che in Alidaunia. Eppure in una tragedia come questa che ha toccato tutti, è facile aspettarsi che qualcosa trapeli.

Uno dei corpi, una delle tre vittime, secondo diverse fonti vicine agli ambienti delle stesse vittime, sarebbe stata ritrovata sbalzata più lontana, rispetto sia al mezzo che al luogo dell’impatto. La prima idea è che la vittima si sia resa conto di quanto stesse accadendo e abbia scelto di lanciarsi fuori dal mezzo. E’ stato allora uno dei due piloti o il medico del 118? Con buona probabilità potrebbe trattarsi di Andrea Nardelli, che solitamente era il pilota destinato alle missioni dell’elisoccorso oppure dello stesso medico Maurizio De Girolamo. Entrambi, avranno spesso volato, nelle proprie funzioni, in condizioni metereologiche avverse e conoscevano molto bene il mezzo.

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Il medico, da passeggero e conoscitore del mezzo, se fosse stato lui a lanciarsi pochi minuti prima dell’impatto, potrebbe aver avuto il sentore di ciò che stava accadendo e aver scelto di saltare giù dall’elicottero. Se fosse stato Nardelli, e se fosse stato lui il pilota, è presumibile che abbia tentato un atterraggio più morbido sulla parte boschiva della zona e che quando si è reso conto di non poterlo fare, abbia tentato di lanciarsi e atterrare, almeno lui, sugli alberi. Sarà solo l’autopsia a definire tutto ciò, insieme ai risultati delle indagini della Procura e dell’Ansv, autorità investigativa per la sicurezza dell’aviazione civile dello Stato italiano.

Quello che sembra di intuire dalle prime frammentarie ricostruzioni messe in piedi, è che a bordo dell’elicottero, in quel piccolissimo spazio che una tenda separa fra la cabina di pilotaggio e la zona passeggeri, ci sono stati pochi lunghissimi minuti di consapevolezza. Chi ha avuto la sfortuna di imbattersi in un incidente lo sa. Pochi minuti equivalgono a un’eternità quando sei in un’auto che ha perso il controllo oppure in volo in mezzo a un tifone o a una perturbazione. Quelle persone avranno avuto quindi il tempo della lucidità. Quella lucidità di comprendere che cosa stava accadendo al punto che uno di loro, il medico, il pilota o il co pilota potrebbero essersi lanciati in un ultimo estremo disperato tentativo di salvezza.

E’ presumibile immaginare, da quanto fonti interne riferiscono, che in condizioni metereologiche avverse, a prescindere da chi piloti fisicamente, il comandante è chi assume il comando del volo, quello a cui spettano le decisioni. Luigi Ippolito in questo caso. Pilota esperto. Di elicotteri. Di aerei. Pilota di fiducia dell’imprenditore bolognese Pizzarotti. Esperto anche di situazioni critiche. L’altro Nardelli, era giovane, ma abituato a voli in condizioni estreme. E’ lì, infatti, che ha senso mettersi in volo in condizioni metereologiche avverse, perché venti minuti possono determinare la vita o la morte del paziente. E quindi anche il rischio, in quel caso diventa una variabile differente da considerare.

Con questi due profili e anche con queste due abilità di volo, come pensare all’errore umano? Due piloti esperti, entrambi, su una tratta che per i piloti di Alidaunia è una tratta conosciuta a memoria, visto il via vai quotidiano e frequente. Più presumibile, secondo fonti interne, l’idea del guasto tecnico all’elicottero, che avrebbe potuto aver perso quota e insieme alla visibilità assolutamente limitata per il maltempo, e schiantarsi.

“Non sarebbe nemmeno la prima volta – dice qualcuno – se pensiamo alla tragedia dell’Abruzzo quando una slavina ha travolto un hotel e una delle persone infortunate è morta in fase di soccorso, perché l’elicottero che era andato a recuperarlo si è schiantato”. Oggi, se si è lanciato il medico, il pilota o il co-pilota potrebbe fare la differenza rispetto ai diversi profili di responsabilità. Ma non lo sappiamo, perché, per legge, come è previsto, su questi mezzi la scatola nera non è obbligatoria. Allora, oltre a chiederci se sia opportuno che in condizioni meteo avverse e prevedibili ci si metta in volo anche senza l’esigenza di salvare vite, ma solo di trasporto, ci chiediamo e chiediamo a chi di dovere, se sia opportuno che su un mezzo che fa servizio pubblico e che vola, non sia obbligatoria una scatola nera.

Quella scatola che in realtà è gialla, ma che chiamano tutti nera, perché la sua ragion d’essere presuppone una tragedia, oggi avrebbe risposto alle nostre domande e ci avrebbe aiutati a mettere in atto procedure più sicure. Cosa avremmo trovato in quella scatola? In una, tutti i comandi dati in cabina. Nell’altra, tutto ciò che nell’ultima mezz’ora di volo è stato detto in quella cabina. Ogni mezz’ora il nastro di quest’ultima, ricomincia la registrazione e poi si cancella per ragioni di privacy.

L’Enac e l’Enav dovrebbero rivedere queste disposizioni. Se il mezzo è privato e ad uso privato, resta una scelta discrezionale. Ma l’uso è pubblico, se hai responsabilità di vite umane, è un’altra storia. Il dolore più grande, quello peggiore da sopportare, è proprio immaginare che le sette vittime abbiano avuto il tempo di immaginare e capire cosa gli stesse accadendo cosa stesse accadendo a chi era seduto accanto a loro.

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Nessuno, forse vorrebbe sentire le loro ultime preghiere o parole. Ma anche senza scatola nera, restano i dispositivi mobili. Cellulari, che avranno registrato video, foto e forse anche messaggi. E che senza dubbio, con un’indagine in corso, saranno recuperati.

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