Il prosciolto, l’archiviata, la non indagata: cosa cambia

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Varie ipotesi di episodi di corruzione e tangenti – tutti da dimostrare in giudizio – ma dove sono i collegamenti tra eletti o funzionari di Palazzo di città e batterie della Società Foggiana?

E’ questo l’interrogativo che a Foggia torna a circolare dopo il proscioglimento del dipendente comunale Giuseppe De Stefano, deciso dalla Gup del processo antimafia Decimabis. Si tratta di colui che era stato accusato dagli inquirenti barese di aver fornito agli appartenenti alla Società “informazioni utili per le attività estorsive nel settore dei servizi funebri”. Così afferma la relazione ministeriale che ha determinato il commissariamento del consiglio comunale per infiltrazioni mafiose.

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Il caso De Stefano, scoppiato col blitz Decimabis a novembre 2020, fu proprio uno degli elementi che spinsero a insediare la commissione d’accesso e portarono a quel verdetto, secondo capoluogo di provincia italiano a subìre tale decisione. “Il proscioglimento è un fatto notevole: è rarissimo che un Gup assolva senza che sia stato chiesto l’abbreviato, indica che l’accusa era platealmente infondata e che era insostenibile in dibattimento”, commenta un avvocato foggiano a l’Attacco. “E’ venuto meno, in pratica, l’elemento che ha causato l’arrivo della commissione di accesso”.

Quel 16 novembre 2020 furono immediate le dichiarazioni del senatore M5S Nicola Morra, presidente della commissione parlamentare antimafia, e del sociologo e scrittore Leonardo Palmisano. “E’ giunto il momento che vi sia una commissione d’accesso al Comune di Foggia. L’operazione ha portato all’arresto di un funzionario del Comune stesso che forniva informazione sui bandi pubblici e gli appalti ai clan, e probabilmente l’ipotesi investigativa vede il funzionario essere un vero e proprio affiliato”, disse Morra. “L’operazione Decimabis ha inferto un colpo durissimo alle 8 sorelle, gli 8 clan principali della mafia foggiana. Tra gli arrestati, colletti bianchi dell'apparato amministrativo cittadino. I presupposti per un intervento governativo che verifichi se ci sono gli estremi per scioglimento per mafia del Comune, a questo punto, ci sono tutti”, fece eco Palmisano. Morra parlò addirittura di “informazione sui bandi pubblici e gli appalti ai clan”, quando invece si trattava, al massimo, di notizie sui decessi. Palmisano di “8 clan” e di “colletti bianchi”, in riferimento all’impiegato.

E’ caduto l’unico punto di collegamento tra il Comune e la mafia che abbia avuto quantomeno ingresso in un procedimento giudiziario?

C’è da aggiungere che l’ex consigliera comunale Liliana Iadarola – colei che parlava del sistema di videosorveglianza col compagno pregiudicato - non è nemmeno stata indagata e che la posizione dell’ex assessora Erminia Roberto – anch’ella nella relazione per i soldi dati al pregiudicato Francavilla in Comune – è stata archiviata (dunque la dazione non costituiva reato).

Senza dimenticare che tra i 10 ex amministratori per cui è stata domandata l’incandidabilità non figura, incongruamente, Danilo Maffei, citato nella relazione per tre distinte questioni.

Al di là della narrazione antimafia, quanto si indebolisce oggi la ricostruzione che è stata alla base del commissariamento per infiltrazioni?

Resta della propria idea Palmisano. “Penso che la magistratura stia facendo chiarezza di una condizione ingarbugliata e fortemente compromessa”, afferma a l’Attacco il fondatore di Legalitria. “Talmente compromessa da aver portato legittimamente allo scioglimento e al commissariamento. I fatti stanno dimostrando che la realtà foggiana era molto peggio di qualunque fantasia dei cronisti. Per fortuna lo Stato c’è e riesce a fare pulizia. Chi alzava i toni era chi governava la città. E li alzava per buttare in caciara le responsabilità politiche del declino cittadino”.

Di parere nettamente diverso è l’avvocato Michele Curtotti, legale dell’ex sindaco Franco Landella. Per noi il proscioglimento di De Stefano non è che l'ennesima conferma di quanto abbiamo sostenuto sin dall'inizio”, dichiara a l’Attacco il noto penalista. “Nel Comune di Foggia ci sono state problematiche ma da qui ad un commissariamento per infiltrazioni mafiose ce ne corre. Nella relazione si fa riferimento a indagini che non hanno portato ad alcun provvedimento nei confronti delle persone indagate. Per questa ragione riteniamo che il provvedimento sulle presunte infiltrazioni sia stato ingiusto. La relazione accenna, ad esempio, all'indagine sull'ex assessora Erminia Roberto per la quale c'è stata la archiviazione, che però non abbiamo ancora potuto leggere. Idem per altri come il cugino delle sorelle Di Donna, il quale è stato chiamato in causa ma fu addirittura risarcito dallo Stato per ingiusta detenzione, un vero e proprio errore. Ebbene”, continua Curtotti, “il commissariamento per mafia ci sembra una costruzione nata da una serie di indizi che potevano indurre a sospetti ma che non hanno portato a nulla. Una cosa sono i fatti contestati ad alcuni dipendenti comunali, alla moglie dell'ex sindaco e allo stesso Landella per le dichiarazioni di Iaccarino, ben altra cosa è ritenere che ci fosse il pericolo di condizionamento mafioso. Io parlo per il mio assistito Franco Landella, nei cui confronti nulla è stato mai contestato né ipotizzato rispetto a collegamenti e rapporti con la criminalità organizzata, da quello che sappiamo e da quanto emerge dalla relazione. Nella relazione di fatti-reati non c'è nulla. Lo scioglimento”, conclude l’avvocato Curtotti, “si fonda su una costruzione che passa da una logica di precedenti di polizia e indagini. Anche nella stessa indagine che colpì altri dipendenti comunali – intendo quella relativa ad Apicella, Longo, etc. - non c'è mai stato alcun riferimento alla criminalità organizzata. Una cosa sono le ipotesi corruttive, peraltro ancora al vaglio degli inquirenti, e un'altra cosa il rischio di infiltrazione mafiosa. Un pericolo che per noi non sussiste”.

Netta l’opinione dell’avvocato Dimitri Lioi, presidente dell’associazione antimafia Giovanni Panunzio.

“Attenzione: le attività che riguardano gli scioglimenti per infiltrazioni mafiose sono cosa ben distinta e differente dalle vicende penalistiche”, commenta a l’Attacco Lioi. “Il proscioglimento da ritenere che la responsabilità penale e i fatti contestati non erano consistenti. Va ricordato pure, però, che con tutti gli omissis presenti nella relazione non sappiamo tutto. Di certo quel che si può affermare senza smentita è che se uno non è stato indagato o la sua posizione è stata archiviata dal punto di vista della misura preventiva dello scioglimento per mafia l'impianto accusatorio non viene meno. Trovo erroneo e superficiale sul piano giuridico e anche su quello tecnico-fattuale fare questo parallelismo, perché si tratta di due settori nettamente distinti tra loro. Non si può affermare che, conseguentemente, il commissariamento per mafia è stato sbagliato. Né possiamo dire che ci siano state dimenticanze rispetto alle richieste di incandidabilità, sarebbero illazioni. Per coloro che sono stati coinvolti ci sono i modi per difendersi davanti al TAR e al Consiglio di Stato, così come davanti alla giustizia ordinaria per le domande di incandidabilità. Quanto a De Stedano, di fronte a questo proscioglimento come avvocato dico che siamo tutti contenti perché significa che c'è un innocente in più e un reato in meno. Poggiano su un altro binario la misura dello scioglimento, che è una misura di prevenzione antimafia”, continua Lioi. “Peraltro, aggiungo che se c’è davvero stata dazione di denaro da parte di un amministratore pubblico in Comune ad un soggetto ben determinato io lo trovo grave anche se non è penalmente rilevante”, è il riferimento al caso Roberto. “Tralasciando gli omissis, se gli episodi riferiti nella relazione fossero dimostrati come veri, al di là della loro eventuale rilevanza penale, troverei da comune cittadino quelle cose gravi e da censurare. Ancora più grave in una città dove c'è chi ha pagato con la propria vita e il proprio sangue”.

Lioi ribatte anche all'avvocato Michele Vaira, che su queste colonne nei giorni scorsi era intervenuto rispetto alla decisione del Gup del processo Decimabis di escludere l’associazione Panunzio dalle parti civili. Una decisione scaturita da una richiesta di Vaira, il quale però ha sottolineato di non aver fatto specifico riferimento alla Panunzio.

“La sua spiegazione si è tradotta in un’accusa non tanto velata”, osserva Lioi.

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“Da avvocato penalista a che titolo dà patenti di associazioni parolaie rispetto a patenti di associazioni che fanno i fatti? Il tenore delle sue affermazioni è chiarissimo. Io ho trovato quelle dichiarazioni di una pochezza argomentativa imbarazzante, tese a dividere le associazioni tra buone e cattive. Il nostro percorso parla da sé. Dovremmo percorrere una strada volta alla risalita di questa città, non è possibile farlo in questa maniera. Vogliamo spendere questi mesi così? Un avvocato che dà il benvenuto a Libera e non all'associazione Panunzio”, conclude amaramente Lioi.

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