Il supermarket familiare in centro e le ordinazioni che arrivano con il carrello dei pasti nei reparti...Cresce il business del runner

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Un ambiente di lussuriosi. Lo definisce così la nostra fonte. “Qualcuno si fa i festini, qualcuno la cocaina, qualcuno di alcol, qualcuno tutto insieme”. Ci chiama per dirci che nella nostra prima inchiesta abbiamo commesso un errore. Abbiamo chiamato runner il nostro pusher. Quello insospettabile. Quello normale. Così sicuro di sé, da non temere di raccontare dettagli del suo giro di clienti e consegne. Lo abbiamo chiamato runner per la sua consuetudine a effettuare consegne a domicilio, quasi come un runner del food. Non sapevamo ancora che chiamandolo così avremmo dato un dettaglio importante sull’identità della nostra fonte. Dettaglio importante ma sbagliato. Che avremmo inavvertitamente sovrapposto due dei pusher più attivi a San Giovanni. Il nostro, quello delle donne, chiamiamolo così, l’insospettabile dalla vita normale, e un altro, il runner, quello vero. Quello che corre. Che si occupa di un’altra fetta di mercato.

Un dipendente di casa Sollievo ci racconta che all’interno dell’ospedale il giro di cocaina è grosso. “E’ nei reparti che si smercia. Su 1500 dipendenti, più d’un centinaio, la usano. Giovani e nuovi assunti. In cucina lavorano almeno tre o quattro persone che in passato sono state arrestate per spaccio e poi assunte tramite la società che gestisce il servizio mensa e cucina dell’ospedale. E così si passa la mattina a prendere le ordinazioni, che poi arrivano con il carrello del pranzo o della cena. Non solo a medici e infermieri, ma anche ai degenti, se la richiedono”. 

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Il pusher dei medici è il runner. E’ lui il vero titolare dell’attività, che direttamente alla fonte, si rifornisce e rifornisce i clienti migliori. I suoi clienti sono avvocati, medici e albergatori, che si sono rovinati per pagare questa abitudine. Alcuni si sono venduti anche le strutture, perché in questo periodo non hanno incassato e avevano ancora più bisogno di tirarsi su e quindi consumavano anche in misura maggiore di sempre. Il runner non ha macchina né telefono. E neanche una professione ufficiale. Forse qualche chiosco di statuine sante. La prende, la droga, dalla montagna e per questo va sempre di corsa, a piedi. Si tiene in allenamento per le sue gare e si inerpica fra sentieri difficili da percorrere se non si è avvezzi. O utili a disseminare un controllo, anche se difficilmente questo potrebbe accadere. Non accade perché sembra che il runner si muova tranquillo nelle sue faccende quotidiane. Fino alle 20. Dopo, per il servizio notturno, utilizza pusher di medio livello, intermedi nella gerarchia piramidale del sistema, o direttamente i baristi e i qualche dipendente – consumatore di questi quattro o cinque bar compiacenti, in cui si trova pronta alla consegna, pronta al consumo in bagno, o viene reperita in una decina di minuti. Nelle notti in cui è necessario un rifornimento più cospicuo, che potrebbe saltare all’occhio, buste di banconote – intorno ai tremila euro – vengono lasciate nella cassetta della posta a chi deve assicurare un diversivo. Un’auto da incendiare, un furto in una campagna, qualche incidente. “Basta chiedersi come mai queste persone, di cui si sanno nomi e cognomi, che dovrebbero avere un lavoro normale, oggi a differenza dei loro colleghi che vivono in normali appartamenti, sono riusciti a comprarsi o a costruirsi ville enormi, per loro e per il loro figli”.

In ospedale il runner rifornisce il reparto di Chirurgia, in particolare. Ma loro, no, non sono viziosi, né drogati. Per loro è una necessità, per operare, per sopportare le 12,15 ore al giorno di lavoro e restare concentrati e attivi. E il runner per loro, che la chiedono, sceglie la più pura. Quella più costosa. Perché sì, è anche un fatto di soldi. Ma poi, uno che lavora in ospedale, che prende 1700, 1800 al mese da solo, o con la moglie che anche lei guadagna bene, se la casa ce l’ha e la macchina pure, la disponibilità economica resta. Anche loro ordinano al mattino o al pomeriggio e il runner si attiva per prenderla e consegnarla. Cammina di qua, corre di là, la mette in tasta e prende i soldi. Pulito. Senza telefono. Senza macchina. Tutto a vista. Ma senza traccia. Il runner e un suo socio, che ogni tanto fa i carichi anche a Milano con la sua potente auto, hanno messo su una bella attività. Hanno anche aperto insieme un negozio. E anche alla compagna di uno dei due hanno aperto un bar. Uno di quelli… Del resto qua, la concorrenza è tanta. C’è anche il supermarket familiare della droga. In realtà è una casa, con tanto di telecamera sulla porta, anche abbastanza in centro, dove il via vai a tutte le ore del giorno e della notte è pari a quello che si fa per comprare pasta, pane e latte. Sotto gli occhi di vicini, bambini e istituzioni. Tutti lo sanno.

Tutti sanno tutto. Ma nessuno parla. Anzi.  Più d’uno però contatta il giornale a seguito dell’inchiesta sulla normalità della droga. Tante le reazioni forti dei cittadini di San Giovanni Rotondo, indignati soprattutto perché è stata accostata la figura del Santo a quella della droga. Eppure, come abbiamo già spiegato impossibile fotografare la comunità senza tener conto di una realtà molto importante come quella del Convento, che ha cambiato non solo economicamente ma anche geneticamente la città. Lo dice il primo cittadino. Michele Crisetti. Eppure qualcosa il Santo, con la droga, suo malgrado c’entra. “Perché San Giovanni Rotondo è stata per molto tempo il punto di snodo di borsoni di cocaina, che partivano dalla Sicilia e dalla Calabria, caricati sugli autobus dei fedeli e in uno dei parcheggi noti alle cronache, proprio qui, a San Giovanni, scaricati e ricaricati su altri autobus di pellegrini diretti a Milano. E sempre attraverso autobus e pellegrinaggi, per molti anni sono arrivate qui le famiglie della ‘ndrina calabrese, che in uno degli alberghi di San Giovanni Rotondo, venivano a svolgere i loro summit. Duemila euro per riservare l’hotel e assicurarsi riservatezza”, racconta chi riesce ad andare indietro con gli anni con la memoria. Ora i tempi sono cambiati e gli anni passati, ma ancora quelle famiglie calabresi non hanno perso di vista la piazza di San Giovanni. “I loro interessi non sono più rivolti alla droga ma alle proprietà immobiliari. Liquidità immessa in società e normali commercianti che in tempo di Covid, dopo la crisi del settore, hanno improvvisamente maturato una tre milioni di euro e acquistato proprietà all’asta. C’è chi da una piccola pensione, oggi ha una sala slot e un hotel di rilievo”. Le storie corrono sulle bocche di tanti, che pur se con una mano davanti alle labbra, bisbigliano.

Zone Transition

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Fatti e ricordi. Racconti e testimonianze. Che contribuiscono a costruire un quadro che tiene insieme gli interessi di una città, che prova a raccontare come cambiano le comunità. Chiuse, come uno scrigno tengono dentro segreti e vizi. I mal di pancia esplodono quando chi viene da fuori, con occhi diversi, interpreta e racconta. Le reazioni sono forti. Di indignazione, di insulto. Solo a volte diventano spunti di riflessione.

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