Rinviata a giudizio per aver chiamato “ricchione” uno studente, eppure è ancora dirigente della scuola

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E’ notizia recente la denuncia della madre di un alunno frequentante un istituto scolastico di Pavia che sarebbe stato bullizzato da tre maestre. La scoperta leggendo una chat lasciata aperta su un computer della scuola: “Pirla”. “Bambino di m...”. Tutte offese rivolte a suo figlio di otto anni. Secondo le accuse, le maestre avrebbero bullizzato il ragazzino, infliggendogli anche punizioni e costringendolo, in un'occasione, a restare fuori della classe.

L'Ufficio scolastico della Lombardia ha disposto approfondimenti sul caso. Lo conferma il ministero dell'istruzione e sottolinea che l'intervento dell'Ufficio scolastico si aggiunge a quello del Provveditorato locale. Questo è ciò che accade nel Pavese dove, in risposta a contegni deontologicamente scorretti e penalmente rilevanti, le istituzioni si affiancano alle persone offese sostenendo la posizione delle piccole vittime e dando testimonianza attiva di distanza rispetto a simili manifestazioni di abuso di potere.

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Episodi simili sono frequento nelle cronache nazionali: così a Reggio Calabria, ancora una volta in una scuola elementare, un’altra maestra, che fu sospesa dal proprio ruolo, è stata denunciata per avere in più occasioni maltrattato, percosso e minacciato alcuni alunni. Anche nella provincia di Monza, copione simile: un paio di anni fa, due maestre di una scuola dell’infanzia sono state sospese perché accusate di avere umiliato dei bambini dell’asilo.

“Accade, invece, nel nostro territorio e precisamente in un istituto di Troia che la dirigente scolastica finisca sotto processo dinanzi al Collegio del Tribunale di Foggia, imputata per il delitto di abuso d’ufficio ex art. 323 c.p. del codice penale per aver dato, nel lontano 2018 del ‘ricchione’ ad uno studente, all’epoca dei fatti frequentante la terza media e che nessuna delle istituzioni sieda accanto alla Procura rappresentando, attraverso anche la costituzione di parte civile, di prendere le distanze da un simile contegno. Accade, al contrario, che quella dirigente scolastica continui invece ad occupare la medesima posizione nel silenzio (assordante) dell’Ufficio Scolastico regionale (al quale fu presentata la segnalazione) e del Ministero della Pubblica istruzione”, a ricordarlo a l’Attacco è l’avvocata Daniela Gentile che rappresenta in giudizio il ragazzo e la famiglia.

I fatti sono già stati raccontati su queste colonne: imputata è Maria Michela Ciampi, dirigente scolastica dell’istituto Virgilio/Salandra di Troia, rinviata a giudizio nei mesi scorsi con l’accusa di abuso d’ufficio, per essere entrata in una classe terza delle medie e aver apostrofato un alunno chiamandolo, come detto, “ricchione”. Il fatto di per sé sarebbe già estremamente grave se non fosse che a peggiorare la situazione ci si sono messi anche alcuni compagni che, quasi incoraggiati dall’adulta, hanno preso a vessare il ragazzo.

“Più volte si è segnalata la gravità di un tale comportamento proprio perché tenuto da chi occupa il vertice della organizzazione scolastica e che dovrebbe essere il fulcro delle azioni positive ed educative nella scuola sia per i docenti che per l’intera comunità scolastica: comprensibile il disorientamento della famiglia del ragazzo in primis, ma di tutta la comunità in generale nell’apprendere che alcune battaglie vengono lasciate interamente sulle spalle delle vittime”, ha aggiunto la legale.

All'epoca, la dirigente “si giustificò con il mio assistito dicendo che non ricordava di aver detto una cosa del genere e comunque se c'erano state queste espressioni erano state usate per scherzare – evidenziò in passato Daniela Gentile su queste colonne -. Su questo vorrei far presente che ci sono altri modi, altre sedi e altri tipi di rapporti in cui agire in quel modo. Quello che dovrebbe intercorrere tra uno studente e un dirigente scolastico non può essere un rapporto gioviale o amichevole. A maggior ragione in una classe. La scuola dovrebbe essere il luogo in cui piuttosto si combatte il bullismo, le istituzioni dovrebbero porsi dall'altro lato della barricata ed evitare il più possibile di agevolare questo tipo di atteggiamento. Qui invece paradossalmente si è andati proprio in direzione opposta, dando il la ai ragazzi per gli sfottò. La scuola è la sede naturalmente deputata a dare, forse prima ancora che nozioni e informazioni, le regole, in cui insegnare il codice valoriale ed educativo e ciò che è accaduto non è quindi perdonabile”.

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Oggi lo studente non frequenta più la scuola ma i suoi genitori, non avendo avuto riscontri da parte dell’interessata e della scuola hanno adito le vie legali, denunciando l’insegnante, per tutelare il proprio figlio. Genitori e ragazzo si sono costituiti parte civile nel processo che si sta celebrando presso il Tribunale di Foggia per ottenere eventualmente il diritto al risarcimento dei danni subiti.

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