Cinque agenti indagati per sparatoria. Capo della banda sarebbe esponente clan Moretti-Pellegrino-Lanza

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Sono giorni concitati tra indagini, piste da seguire e riscontri da verificare dopo la sparatoria avvenuta in provincia di Avellino tra gli uomini delle forze dell’ordine e un gruppo che molto probabilmente aveva nel suo mirino l’assalto a un portavalori. Cinque agenti di Polizia – è l’ultima novità – sono stati iscritti nel registro degli indagati per la morte di Giovanni Rinaldi, il 31enne di Molfetta (e residente a Cerignola) rimasto ucciso nel conflitto a fuoco con le forze dell'ordine lo scorso 13 ottobre a Cesinali, in provincia di Avellino. Si tratta di un atto dovuto, fa sapere la Procura irpina, per chiarire la dinamica dello scontro nel quale ha perso la vita l'uomo al termine di un lungo inseguimento iniziato in Puglia. Gli altri quattro componenti sono stati arrestati dai poliziotti. Per la Questura – emerge – i poliziotti avrebbero sparato per legittima difesa.

Uno dei quattro fermati, ritenuto il capo della banda, è un elemento di spicco della criminalità pugliese, ricercato dal novembre 2020 e considerato appartenente al clan Moretti-Pellegrino-Lanza. Si tratta di Savino Ariostini, 53 anni, ed è stato l’ultimo a essere bloccato dalle forze dell'ordine. L’uomo è stato individuato ad Avellino, a bordo di un bus. Ariostini, detto ‘Nino 55’, era ricercato da due anni, quando era riuscito a sfuggire a un blitz dell’operazione ‘Decimazione bis’, che portò all’arresto di una 40ina di soggetti considerati gregari e capi della mafia foggiana.

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Quando Ariostini è stato trovato dalla polizia agli inquirenti sono balzati agli occhi due dettagli: una tuta dell’Audace Cerignola e la pulizia degli indumenti. Nonostante la pioggia battente caduta nel giorno dello scontro a fuoco, il boss foggiano aveva indumenti intonsi, circostanza che ha fatto pensare a un possibile secondo covo presso cui avrebbe potuto aspettare qualche ora prima di tentare la fuga.

Il primo, presidiato dalle forze dell’ordine, si trovava nel centro di Cesinali: qui i poliziotti hanno rinvenuto escavatori, tir, furgoni e tutti mezzi generalmente utilizzati per compiere il classico assalto al blindato. Gli inquirenti non escludono nemmeno la possibilità che vi sia un sostegno logistico della malavita irpina.

La vicenda è accaduta il 13 ottobre: il commando di cinque persone, tra i 30 e i 40 anni, è partito da Cerignola. La Procura di Chieti da tempo li teneva d’occhio e ha allertato i colleghi irpini e di Foggia, fornendo il numero di targa di due automobili e di un furgone, tutti rubati qualche giorno prima in Abruzzo.

Gli agenti di Polizia hanno intercettato le auto segnalate e da lì è partito l'inseguimento. Due delle cinque vetture si sono staccate dal gruppo e si sono fermate a Cesinali. I poliziotti hanno fermato i tre bitontini che erano su una Jeep nera, mentre un’altra di colore bianco – secondo quanto finora ricostruito – ha invertito la marcia e ha cercato di investire un agente. Dalla Jeep sarebbero partiti dei colpi di pistola e la Polizia avrebbe risposto al fuoco.

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L'auto, abbandonata, è stata ritrovata poco dopo sui binari ferroviari nei pressi di un passaggio a livello. Riverso sul sediolino posteriore, ormai senza vita, il 31enne di Molfetta, residente a Cerignola, Giovanni Rinaldi, ancora col volto coperto da un passamontagna. Il quinto, Ariostini, era riuscito a scappare, ma la sua fuga è terminata il giorno dopo.

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