Dati sui beni confiscati alle mafie assegnati a patrimonio pubblico Rimandati 6 Comuni sugli 8 totali

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Il Codice antimafia prevede l’obbligo di pubblicazione per i Comuni, sui propri siti internet istituzionali, dell’elenco dei beni confiscati trasferiti al loro patrimonio indisponibile, con precise modalità e contenuti. Nell’occasione dei venticinque anni da quando è entrata in vigore la legge che prevede il riutilizzo pubblico e sociale dei beni confiscati alle mafie, Libera ha reso noto un report sui Comuni che non pubblicano l’elenco dei beni confiscati. Si chiama “RimanDATI” ed è stato promosso in collaborazione con il Gruppo Abele e il Dipartimento di Culture, Politica e Società dell’Università di Torino.

La base di partenza del monitoraggio coincide con il totale dei Comuni italiani al cui patrimonio indisponibile sono stati destinati i beni immobili confiscati alle mafie per finalità istituzionali o per scopi sociali.
I criteri per definire il rispetto o meno delle disposizioni sono stati 11. Tra questi, l’indicazione dell’ubicazione; la destinazione del bene tra istituzionale e sociale; l’indicazione del suo utilizzo specifico; la ragione sociale del gestore; la durata dell’affidamento al concessionario.

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È dalle modalità di pubblicazione dell’elenco, dunque, che dipende la qualità dei dati messi a disposizione.
Solo il 14% dei Comuni italiani (56 in totale) presenta formato aperto che consente totale fruibilità. Il 24% del totale presenta un PDF immagine (frutto cioè di semplici scansioni). Inoltre, il 35% dei Comuni non specifica tra destinazione istituzionale o sociale, il 17% non specifica l’ubicazione. Infine il 46% non rende note le informazioni sulla metratura o sugli ettari del bene confiscato.

Il primo dato ricavato dal lavoro di monitoraggio, comunque, è quello più immediato e risponde alla semplice domanda: quanti Comuni italiani destinatari di beni immobili confiscati pubblicano l’elenco sul loro sito internet, così come previsto dalla legge?
Al termine della rilevazione su 1076 Comuni, svolta tra maggio 2020 e ottobre 2020, è risultato che sull’intero territorio nazionale sono il 62% (670) quelli inadempienti all’obbligo di cui sopra. Più della metà sono al Sud e nelle isole (392) e 56 di questi nella terra del compianto Stefano Fumarulo: la Puglia.
E in Capitanata? I Comuni monitorati sono stati 8 e ben 6 risultano inadempienti. L’indagine ha riguardato, infatti, i Comuni di Cerignola, San Severo, Foggia, Lesina, Lucera, Manfredonia, Orta Nova e Peschici. Solo i primi due hanno soddisfatto i requisiti previsti, anche se va detto che Cerignola rispetta tutti i parametri mentre San Severo ottempera a poco meno della metà di quelli presi in considerazione.

Più precisamente, i dati del Comune di Cerignola soddisfano il 94,8% dei criteri, mentre quelli del Comune di San Severo si fermano ad un più modesto 42,6%. Comunque superiore rispetto alla media nazionale, che si ferma ad un eloquente 18,53%. Non va tanto meglio nemmeno riducendo la base di riferimento ai soli Comuni che pubblicano l’elenco, escludendo dunque tutti quelli fermi a 0: il ranking medio nazionale non supera 49,11%.
Dando uno sguardo ai dati che riguardano alcuni capoluoghi di regione, così da avere un quadro comparativo, si osserva l’ottima performance di Milano (90,43%), Genova e Roma (80,87%), Napoli (76,52%). Oltre la sufficienza anche Reggio Calabria (65,22%) e Palermo (61,72%). Bologna (42,61%) e Firenze (46,96%) sono gli unici che non riescono a superare la media nazionale di 49,11%.
Tornando nella provincia foggiana, invece, non c’è nessuna differenza tra i restanti 6 Comuni presi in considerazione nel report: non è stato riscontrato il rispetto di nemmeno uno dei parametri presi in considerazione. Ciò è dovuto al fatto che i loro siti istituzionali sono privi della benché minima informazione sui beni confiscati ricevuti nel proprio patrimonio.

Probabilmente sono diverse le ragioni tra Comune e Comune, per quanto faccia certamente riflettere che alcuni di questi erano governati da funzionari statali e non da uomini di politica. L’esempio positivo di Cerignola è stato riscontrato quando il centro ofantino era governato dalla Commissione straordinaria composta da Vincenzo Cardellicchio, Adriana Sabato e Michele Albertini. Situazione inversa a Manfredonia dove i commissari Vittorio Piscitelli, Francesca Anna Maria Crea e Alfonso Agostino Soloperto non hanno provveduto all’inserimento dei dati.

Zone Transition

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A Foggia, il ‘demerito’ è tutto ascrivibile a Franco Landella, accompagnato idealmente da Domenico Lasorsa a Orta Nova e Francesco Tavaglione a Peschici.
Negli altri Comuni, invece, erano in atto staffette tra un’Amministrazione e l’altra. Come nel caso di Lesina, dove il Sindaco Roberto Cristino è stato seguito – nel periodo del monitoraggio – dalla commissaria Nicolina Miscia. A Lucera, erano gli ultimi mesi di Antonio Tutolo che è stato seguito dal commissario Ernesto Liguori e infine da Giuseppe Pitta. L’unico primo cittadino della politica che si salva è Francesco Miglio, che è Sindaco di San Severo dal giugno 2019.
“Conosciamo bene la complessità della materia e le difficoltà che gli Enti Locali sono costretti ad affrontare quotidianamente, sia in termini di carichi di lavoro che di risorse umane e di competenze a disposizione – commenta Davide Pati, vicepresidente nazionale di Libera -. Ma siamo convinti che, insieme, si possano e si debbano trovare le soluzioni utili a garantire la trasparenza”.

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