“Ora che la vicenda è di dominio pubblico posso parlarne apertamente, ma ho ancora paura e tremo al pensiero che qualcuno possa avvicinarmi o che io possa rivedere Ludovico Maffei”. A parlare a l’Attacco è la 43enne Roberta Iannice, che negli scorsi 2 anni più volte su queste colonne raccontò più volte le proprie vicissitudini con la coop Astra di Maffei. Rivelò a l’Attacco anche i dettagli, oggi noti, di quanto denunciato rispetto alle presunte pressioni del suo datore di lavoro per favorire elettoralmente il figlio Danilo, ex consigliere comunale di centrodestra.
Lo fece facendosi promettere di attendere l’esito delle indagini prima di pubblicare quelle rivelazioni ed è quanto l’Attacco ha fatto. Quando giorni fa si è saputo dell’ordinanza della gip Bencivenga (grazie alla quale Maffei senior è stato interdetto dai pubblici uffici e gli è stata temporaneamente vietata l’attività di impresa) e la Questura ha confermato le due indagini sulle comunali 2019 e sulle regionali 2020, Roberta Iannice ha deciso di raccontare pubblicamente cosa è avvenuto.
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Le indagini scattarono grazie a quanto dichiarato agli inquirenti da Iannice e altre colleghe, oggetto di un esposto della consigliera regionale M5S Rosa Barone. Danilo Maffei alle regionali sarebbe stato disposto “a pagare il singolo voto con la cifra di 30 euro in contanti”, mentre suo padre Ludovico, 67enne ex presidente della coop di bidellaggio Astra, indagato, avrebbe minacciato di licenziamento le proprie dipendenti se non avessero votato e fatto votare per Danilo alle comunali. Per questa e altre analoghe vicende legate alle regionali, ci sono 21 persone, tra cui lo stesso Danilo Maffei, indagate per corruzione elettorale. Secondo l'indagine della Digos, diversi elettori avrebbero fotografato la scheda elettorale nell'urna per dare prova della preferenza espressa.
“Io e altre colleghe abbiamo sempre mantenuto ottimi rapporti col presidente della vecchia cooperativa Michele Lapollo, dal quale ci facevamo consigliare quando ci succedeva qualcosa”, spiega Iannice a l’Attacco. “Quando, vessate da Ludovico Maffei, gli chiedemmo consiglio ci spinse a denunciare e ci fece incontrare Rosa Barone. Io ho vissuto questi due anni nella paura, con continui attacchi d'ansia. Ero già molto invisa a Ludovico Maffei, perché varie volte su l’Attacco avevo lamentato la mia esclusione dal lavoro, rendendomi portavoce di tante persone. Lui, peraltro, mi diceva “proprio tu parli, che ti assenti continuamente per malattia”. Lo diceva come se fosse stata una mia colpa avere tante patologie fisiche, come quelle di cui ho sofferto negli ultimi 5 anni. A gennaio 2021 io e altri dipendenti di Astra fummo chiamati dalla Digos in Questura a rendere sommarie informazioni, da quel momento non sapemmo più nulla delle indagini. Ho vissuto davvero nell'angoscia, temendo di ritrovarmelo di fronte da un momento all'altro e di sentire di nuovo il suo vocione inveire contro di me”, continua Iannice. “Uscendo di casa tuttora sono preoccupata se vedo delle moto avvicinarsi, ho paura di ritorsioni. Temo di essere fermata da qualcuno, che qualcuno mi gridi “che cosa hai fatto?”. Vivo così da due anni, tremando quando mi si avvicina qualcuno che non conosco. Io avevo molto timore di Ludovico Maffei, che non aveva modi gentili con noi”. Iannice spiega di non aver avuto invece a che fare con Danilo: “Lo conobbi solo nel periodo elettorale delle comunali, quando venne al seggio dove ero presidente. Mi chiamò prima perché mi voleva conoscere”.
“Ludovico Maffei non può che protestare immediatamente la sua estraneità ai fatti come contestatigli, ferma la necessità di esaminare compiutamente gli atti processuali”, hanno commentato i legali dell’ex presidente della coop Astra. Parole che non fanno recedere Iannice: “Io e diverse colleghe ci saremmo inventate tutte la stessa storia? All’incontro con Barone andammo in 4 ma furono poi molte di più le persone, dipendenti di Maffei, ascoltate dalla Digos, non solo bidelle ma anche alcuni autisti di scuolabus, che era pure un appalto di Maffei. Inoltre, agli inquirenti consegnammo alcune prove come le foto delle liste di persone chieste come prova del voto per Danilo”.
Ma ecco i dettagli di quel racconto agli inquirenti. Il 12 gennaio 2021 Iannice si recò presso gli uffici della Digos della Questura di Foggia per essere ascoltata come persona informata sui fatti oggetto del procedimento penale aperto dalla Procura. Durante la campagna elettorale dedicata alle elezioni di maggio 2019, Ludovico Maffei contattò telefonicamente la donna, chiedendole di aiutarlo e precisamente di racimolare consensi e voti elettorali in favore del figlio Danilo, candidato come consigliere comunale. Poi Ludovico Maffei la ricontattò telefonicamente perché voleva incontrarla di persona per consegnarle del materiale promozionale relativo alla candidatura di Danilo. Durante quella telefonata Ludovico Maffei disse di aver saputo della convocazione di Iannice come presidente di seggio. Iannice in quel periodo era in malattia a causa delle diverse patologie fisiche di cui soffre, che periodicamente la costringono a stare a riposo. Ciononostante Ludovico Maffei le disse telefonicamente che, oltre la consegna del materiale propagandistico, Iannice doveva rientrare dalla malattia per rispettare la convocazione di presidente di seggio alle comunali.
L’incontro tra i due avvenne davanti alla scuola Ferrante Aporti. Maffei le disse che avrebbe dovuto rispettare la convocazione del presidente di seggio e che il suo compito era controllare che non vi fossero anomalie o brogli che avrebbero potuto compromettere il buon esito della candidatura di Danilo. Iannice, nonostante le sue condizioni di salute non fossero proprio ottimali, decise di acconsentire “per dimostrare una sorta di disponibilità nei confronti del mio datore di lavoro”. “Ero una persona sola e avevo bisogno di lavorare per sostenere economicamente me e mia figlia”, spiegò agli inquirenti. Maffei le chiese di preparare la lista di parenti e conoscenti - comprensiva di nome, cognome e numero di tessera elettorale, comprovata con foto - al fine di verificare che coloro che garantivano sostegno a Danilo in effetti rispettavano l'impegno. Maffei senior disse di inviare la lista tramite WhatsApp al numero della nuora, moglie del fratello di Danilo e il cui marito lavora in banca.
“Mi dovete portare almeno 15 voti, per ognuna di voi, altrimenti saltate tutte quante”, le disse Ludovico Maffei. “Intendeva dire che noi dipendenti della coop Astra non avremo più lavorato”, sottolineò Iannice alla Digos. Ludovico Maffei proseguì dicendole ancora con tono fermo e deciso, in dialetto foggiano, l’emblematica frase: “Chi mi aiuta io aiuto, chi non mi aiuta se ne va a casa”. Parole che apparvero alla donna “come una vera e propria minaccia”, quindi prevedendo che se non avesse rispettato quelle richieste avrebbe smesso di lavorare. A causa delle sue precarie condizioni economiche Iannice accettò di consegnare quella lista e la inviò al cellulare della nuora di Maffei, un numero che da quanto sapeva “veniva utilizzato dallo stesso Ludovico Maffei”.
A maggio 2019 Iannice si presentò per svolgere l'incarico di presidente di seggio presso la scuola Murialdo di via Ordona Lavello e nominò quale segretario del seggio il suo ex fidanzato. Alla chiusura delle operazioni di voto e al termine dello scrutinio, mentre stavano redigendo i verbali all'interno del seggio, la donna fu avvicinata dal rappresentante di lista relativo al candidato Danilo Maffei, che le disse con tono minaccioso, in dialetto foggiano, di aggiungere lo zero al 4 per far figurare 40 voti di preferenza invece che 4 ottenuti. Iannice si rifiutò di farlo, “perché era palesemente un reato per il quale rischiavo di essere arrestata”. Ma quell’uomo uscì in corridoio a parlare con Ludovico Maffei e fu quest’ultimo a richiamare Iannice fuori e dirle, in dialetto, con tono minaccioso: “Devi vedere che devi fare, io ti sistemo a vita. Devi aggiungere lo zero dopo il 4”. Iannice gli rispose: “Presidente, non lo posso fare. Non posso andare in carcere”. A quel punto Maffei disse con tono risentito “Abbiamo capito, abbiamo capito” e andò via.
Zone Transition
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“Da quel giorno non mi parlò più”, è stato il racconto di Iannice. La donna, agitata e preoccupata, informò la sua collega/rappresentante sindacale, che era anch’ella rappresentante di lista per Maffei e che le rispose che il presidente aveva sbagliato a comportarsi in quel modo rassicurando Iannice che si era comportata in maniera corretta. Nei giorni successivi Iannice tornò regolarmente al lavoro e quando fu riconvocata come presidente di seggio per il ballottaggio per la carica di sindaco chiamò la nuora di Maffei, che svolgeva le funzioni di coordinatrice del personale dipendente. Ma quest’ultima le disse che Ludovico Maffei aveva detto che non poteva assolutamente assentarsi per svolgere quell'incarico, chiedendole come mai Ludovico Maffei fosse particolarmente arrabbiato nei suoi confronti. Dunque Iannice poi non si presentò a svolgere l'incarico di presidente di seggio. Lavorò come collaboratrice scolastica fino al termine di maggio 2019, poi tornò in servizio da gennaio 2020 fino al termine di febbraio 2020.