Probabilmente nemmeno dopo il commissariamento del consiglio comunale per infiltrazioni mafiose nel 2019 a Manfredonia si era davvero compreso quanto fosse penetrante
la pressione della quarta mafia e del clan locale Romito-Ricucci-Lombardi-La Torre.
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Lo si sta capendo meglio grazie alla mastodontica operazione Omnia Nostra, che coinvolge ben 48 indagati, 32 dei quali arrestati. Sono in carcere Luciano Caracciolo, Lorenzo Caterino, Leonardo Ciuffreda, Giuseppe Della Malva, Leonardo e Michele D’Ercole, Sebastiano Gibilisco, Hechmi Hdiouech, Giuseppe Pio Impagnatiello, Antonio La Selva, Pietro La Torre, Pasquale Lebiu, Matteo e Michele Lombardi, Francesco Notarangelo, Alexander Thomas Pacillo, Andrea e Antonio Quitadamo, Marco Raduano, Pietro Rignanese, Mario Scarabino, Giuseppe Sciarra, Moreno Sciarra, Francesco Scirpoli, Gaetano Vessio e Antonio Zino. Ai domiciliari, invece, Luigi Bottalico, Alessandro Coccia, Danilo Della Malva, Emanuele Finaldi, Umberto Antonio Mucciante e Massimo Perdonò.
I capi di imputazione, elencati nella fluviale ordinanza del gip Marco Galesi, sono numerosi. Eccone alcuni.
Borgia, Bottalico, Caterino, Ciuffreda, i due Della Malva, i due macchiaioli D’Ercole, gli assassinati boss Mario Luciano Romito, Francesco Pio Gentile e Pasquale Ricucci, Gibilisco, Hdiouech, Impagnatiello, La Selva, il nuovo boss sipontino La Torre, Lebiu (che fu arrestato ad aprile per aver torturato un disabile), Lista, i due Lombardi, Mucciante, Notarangelo, i due mattinatesi Quitadamo alias Baffino, il boss viestano Raduano, Renzulli, Rignanese, Scarabino, Scirpoli, Surano e Zino sono ritenuti parte dell’associazione mafiosa che spadroneggia tra Manfredonia, la frazione Macchia del comune di Monte Sant'Angelo, Mattinata e Vieste, “dotata di una struttura gerarchica con vincoli di assoggettamento e ruoli ben delineati, caratterizzata dalla forza di intimidazione derivante dal vincolo associativo e dalle conseguenti condizioni di assoggettamento e di omertà avente la finalità di controllare il territorio dal punto di vista economico e anche dal punto di vista militare mediante un sistematico ricorso alla violenza ed alla intimidazione”.
Nulla doveva passare al di fuori della Marittica di Lombardi jr. Persino l’impianto di carburanti dava fastidio. Costruttori, protezioni e minacce
A loro sono riconducibili “una serie indefinita e programmata di omicidi, tentati omicidi, attentati alla vita altrui, estorsioni, detenzione e possesso dì armi, anche da guerra, di detenzione e cessione di sostanza stupefacente, furti, rapine, riciclaggio oltre ad attività fraudolente nel settore agricolo ai danni dell'INPS e di organismi comunitari”.
Un clan con l’obiettivo chiaro di gestire o comunque controllare “in via monopolistica rilevanti attività economiche nel territorio di competenza, finanziate in tutto o in parte con i proventi dell'attività associativa e dei reati”. In questa organizzazione gli attuali capi, dice il gip, sono Matteo Lombardi detto ‘u carpinese (ergastolo per omicidio) e il trentenne Pietro La Torre. Quest’ultimo ha “funzioni di raccordo tra i vertici e le diverse articolazioni territoriali del sodalizio e di coordinamento delle attività svolte dal sodalizio”. Borgia, Gibilisco, Bottalico, Caterino, La Selva, Lebiu, Michele Lombardi, Mucciante e Renzulli sono ritenuti “partecipi, stabilmente a disposizione” del clan, “nell'ambito del percorso di infiltrazione mafiosa nel settore economico-imprenditoriale”. Mentre il dominus di Macchia, l’imprenditore Leonardo D’Ercole, e suo nipote Michele vengono definiti dagli inquirenti “addetti all'esercizio della pratica intimidatoria e del controllo violento del territorio della frazione Macchia di Monte - storica roccaforte del sodalizio mafioso - nonché alla elusione delle attività investigative nei confronti dei vertici del sodalizio, al supporto logistico e all'assistenza in favore di questi ultimi”.
Quanto a Impagnatiello, Rignanese, “zio” Scarabino, Zino e Lista sono “addetti all'esercizio della pratica intimidatoria e del controllo violento del territorio di Manfredonia oltre che al supporto di ogni contingente esigenza del clan e dei suoi vertici nei diversi ambiti di operatività (infiltrazione economico-imprenditoriale, rapine ai portavalori, gestione dei rapporti con gli spacciatori di droga assoggettati dal sodalizio mafioso, riciclaggio dei proventi delittuosi”.
Il braccio operativo del clan a Mattinata è rappresentato invece da Ciuffreda, Notarangelo detto Natale, Scirpoli (che era il braccio destro di Mario Luciano Romito nella “farfalla bianca del Gargano”), i due Baffino, oltre ovviamente allo scomparso Gentile, cugino di Romito. Anche loro si sono occupati di infiltrazione nel tessuto economico, rapine ai portavalori, attività fraudolente in danno dell'INPS e dell'Unione Europea, custodia e detenzione delle armi.
A Vieste l’organizzazione ha potuto contare sul capo Raduano e sui Della Malva, Hdiouech e Surano (ovvero il gruppo contrapposto al clan Perna, ex Notarangelo, alleati dei Montanari, i Libergolis). Matteo Lombardi e Pietro La Torre sono accusati, in qualità di mandanti, in concorso con terzi esecutori materiali (tra cui Massimo Perdonò, esponente della Società Foggiana, batteria Moretti-Pellegrino-Lanza), di aver organizzato a febbraio 2018 un agguato contro Giovanni Caterino (condannato con l’ergastolo come basista della strage di San Marco in Lamis del 9 agosto 2017 contro il boss Mario Luciano Romito). Lo scopo era chiaro: vendicare Romito.
Commercialisti
Due commercialisti del Golfo sono accusati di riciclaggio in concorso. Michele Lombardi col commercialista Vittorio Gentile e Alessandro Coccia è accusato di aver attribuito fittiziamente a Coccia la titolarità dell'impresa di commercio all'ingrosso di pesce Marittica (colpita anni da da interdittiva antimafia), situata sul lungomare Nazario Sauro e della relativa concessione demaniale “al fine di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniali, ovvero di agevolare la commissione di delitti, con l’aggravante mafiosa.
Invece Matteo Lombardi e Antonio Zino avrebbero impiegato nell'attività economica di ristorazione Divine Whims di via Scaloria (altra interdittiva dell’ex prefetto Grassi) “denaro proveniente dalla commissione del delitto di associazione dì tipo mafioso, in modo da ostacolare concretamente l'identificazione della sua provenienza delittuosa”. Anche in questo caso c’è l’aggravante di aver voluto agevolare l'attività dell'associazione mafiosa. C’è poi il capo d’imputazione che coinvolge il commissario di Fratelli d’Italia e neo consigliere comunale Adriano Carbone, ex amministratore unico della partecipata ASE spa (in quota Antonio Conoscitore, socio di Francesco Romito). Carbone, con Zino, Raffaele Salvatore Fascione, Giuseppe Impagnatiello e Michele Bisceglia, sono accusati di aver attribuito fittiziamente alla Fascione Giovanni e C. snc il denaro impiegato per le opere di adeguamento dei locali riconducibile alla Divine Whims srls, in realtà sostenute per 35.000 euro da Antonio Zino al fine di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniali, ovvero di agevolare la commissione dei delitti, e per favorire l'attività dell'associazione mafiosa.
Pesca
Zino e La Selva avrebbero “costretto mediante minacce, anche di morte, Michele Antonio Virgilio a ripristinare un prezzo di vendita dei polistiroli ai magazzini all'ingrosso di pesce, più alto rispetto a quello che era stato praticato dallo stesso rivenditore per rendere maggiormente concorrenziale la sua impresa rispetto a Primo Pesca srl, impresa riconducibile all'associazione mafiosa, per mantenere una posizione di dominio nello specifico settore della commercializzazione del polistirolo nel comparto ittico di Manfredonia, già acquisita con la forza di intimidazione del vincolo associativo”.
Zino avrebbe inoltre costretto Virgilio, concorrente nella commercializzazi.one del polistirolo, a corrispondere una tangente pari a 2mila euro al mese, in cambio della cessione da parte di Zino a Virgilio dell’attività economica di fornitura in via monopolistica del polistirolo al mercato ittico all’ingrosso sipontino, acquisita e controllata con metodo mafioso dalla Primo Pesca, gestita di fatto da Zino.
Persino la pesca delle seppie era oggetto di minacce di ritorsioni, come nel caso scoperto dagli inquirenti per Pietro La Torre. E’ noto almeno dal 2020 come Michele Lombardi fosse il vero dominus di Marittica. Nell’ordinanza di Galesi si afferma che Marco Donato Colletta, proprietario del 34% di Markittica srl, fu minacciato e costretto dapprima a porre una firma per cedere in affitto il ramo d’azienda a favore della società Marittica, controllata e gestita di fatto da Lombardi jr, e poi a fuoriuscire definitivamente dalla gestione del complesso aziendale. Un modo chiarissimo, da parte del clan, di controllare il comparto ittico. Ad alcuni pescatori sarebbero state prospettate ritorsioni da Michele Lombardi, Bottalico, Caterino e Lebiu, affinchè avessero un rapporto esclusivo di compravendita di frutti di mare con Marittica. Della ferocia del clan – messa in atto da Lombardi jr e Caterino - ha pagato le spese un altro uomo, colpito con una spranga di ferro e picchiato. Violenza atta a impossessarsi di circa un quintale di frutti di mare, che l’uomo aveva poco prima ricevuto da due pescatori in consegna. Inoltre, Lombardi e Caterino avrebbero costretto quella stessa persona ad interrompere il rapporto commerciale ultra quindicennale di compravendita dei frutti di mare con i due pescatori a vantaggio esclusivo di Marittica. La stessa imposizione di un rapporto esclusivo con Marittica è avvenuta per un commerciante al dettaglio di frutti di mare gestore di un chiosco ubicato su viale Aldo Moro.
Il controllo del settore era a tal punto forte che sarebbe stato imposto a un pescatore di frutti di mare di sostituire la collaborazione che stava intrattenendo con un pescatore non originario di Manfredonia con quella di Roberto Nenna, pescatore subacqueo imposto da Michele Lombardi.
Edilizia e altri settori
Ma i tentacoli della mafia sipontina non si sono radicati solo nella marineria. Le indagini hanno portato alla luce estorsioni e minacce anche in altri ambiti. A detta dell’accusa, Michele Lombardi sarebbe il motivo per cui Oreste Fusilli, proprietario dell'impianto di carburanti Europetroli, adiacente a Marittica, da alcuni anni ha detto addio a Manfredonia trasferendosi negli Stati Uniti. Lombardi – “i mafiosi qui accanto” - lo avrebbe costretto a rinunciare alla riapertura dell’impianto, prevista a seguito delle operazioni di collaudo già programmate, e alla concessione demaniale sul relativo terreno, pur di assicurarsi lo sfruttamento dello spazio sui cui insiste l'impianto di carburanti in favore della solita Marittica.
Non manca il comparto edile. Vittima del clan sarebbe stato, per l’accusa, anche uno dei migliori imprenditori sipontini del settore, Pietro Tomaiuolo, taglieggiato da Pietro La Torre affinchè gli elargisse periodicamente imprecisate somme di denaro. L’idea che si sono fatti gli investigatori è che l’imprenditore, dopo esser stato preso di mira, abbia smesso di subire danni una volta finito sotto la (imposta) protezione del cantiere da parte del clan. Un fatto che sarebbe la conferma dell’ “assoggettamento estorsivo nel settore delle attività edilizie nel territorio di Manfredonia”. L’uomo avrebbe cercato di spuntare un “prezzo” migliore visto che dei tre soci avrebbe pagato solo lui.
La stessa protezione che sarebbe stata chiesta dal titolare di due gelaterie della città, Bianca Lancia e Verigud.
Zone Transition
Zone Transition
Nelle intercettazioni legate a La Torre compare anche un riferimento ad Energas spa, l’impresa campana che negli scorsi anni ha tentato di installare un mega impianto costiero di gpl. A La Torre è stato chiesto se il clan praticasse estorsioni nei confronti della spa (“Ma all’Energas state voi?”) e la risposta è stata “sì”. Per gli inquirenti l’insediamento dell’impianto rappresentava una “commessa milionaria che ovviamente ha suscitato l’attenzione dell’associazione mafiosa, particolarmente appetibile per l’impresa di movimento terra dei D'Ercole di Macchia”. E ancora, La Torre e il foggiano Massimo Perdonò avrebbero minacciato di morte – anche con una pistola - Nicola Ricciardi affinchè fossero restituiti veicoli e attrezzature rubate alle imprese dei fratelli Tabanelli, considerati dall’accusa sotto la protezione del clan.