Anziani, non solo case degli orrori. Gli sforzi dei gestori per arginare il rischio

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Rsa, case di riposo, residenze per anziani, case accoglienza, comunità alloggio: sono tanti i nomi e gli acronimi che identificano le strutture dedicate alla presa in carico delle persone in età senile non più, in parte o totalmente, autosufficienti. Diverse diciture per diverse regolamentazioni. Si distinguono fra loro anche per le caratteristiche delle persone a cui prestano assistenza e, di conseguenza, per i servizi erogati. Possono essere strutture accreditate o no, pubbliche o private, in ogni caso una struttura che presta assistenza socio sanitaria agli anziani richiede specifiche autorizzazioni e periodici controlli da parte degli enti pubblici che erogano i permessi.

Sono innumerevoli i casi di cronaca che riferiscono di addetti ai lavori e operatori finiti nei guai con la legge per aver maltrattato gli anziani. Ultimo caso in ordine di tempo in Capitanata quello della Stella Maris di Siponto su cui la magistratura farà chiarezza.

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Abusi e maltrattamenti nelle strutture rientrano a pieno titolo nel cosiddetto rischio clinico, inteso come “possibilità di provocare un danno, a seguito di una prestazione sanitaria o assistenziale”. La mancanza di prevenzione, la mancanza di rilevazione di comportamenti a rischio e di formazione mirata alla conoscenza del fenomeno e delle sue manifestazioni rischiano di occultare gli abusi, inglobandoli nelle normali pratiche quotidiane, perché le persone che si occupano degli anziani affetti da problemi cronici e disabilità possono non rendersi conto che i loro comportamenti, talvolta, rischiano di produrre abuso. Le motivazioni potrebbero essere ricercate in situazioni di lavoro stressanti o di burn out che rivelano alcuni problemi generali che fanno emergere tali bad practice.

L’abuso è peraltro difficile da rilevare, perché i segni possono essere sottili, non sempre evidenti, perché spesso le vittime sono poco propense o incapaci a discutere dell’abuso, perché subentra la vergogna, la paura di rappresaglie o il desiderio di proteggere chi di loro abusa ancor più se chi abusa è chi si prende quotidianamente cura di loro. L’abuso può essere intenzionale o meno e riguarda non solo l’aspetto fisico ma anche quello psicologico ed emotivo, sessuale, finanziario, farmaceutico, nonché la negligenza. Anche la negazione dei diritti civili, la discriminazione e i pregiudizi sono considerati forme di abuso sugli anziani. Come in altri Paesi del mondo, anche in Italia, la violenza contro gli anziani si presenta come una realtà sfuggente e in larga misura occulta, sempre più diffuso e in continua espansione. I dati sulla diffusione del problema in istituzioni quali ospedali, case di riposo e altre strutture di lungodegenza sono scarsi, anche per l’assenza di una specifica legislazione a tutela dell’anziano.

Esistono però anche delle realtà virtuose, nelle quali la presa in carico dell’anziano presuppone una serie di precauzioni volte proprio ad assicurare un trattamento dignitoso degli ospiti e un livello di umanizzazione delle cure alto.

Se da un lato fissare codici di comportamento e regolamenti interni non garantisce che questi poi verranno adottati senza eccezioni dagli operatori, dall’altro manca un serio controllo da parte delle istituzioni preposte. Senza contare che le rette versate dagli utenti non sono sufficienti a coprire le spese che riguardano il mantenimento di una residenza per anziani. Questo hanno fatto notare a l’Attacco alcuni imprenditori del settore che, nonostante le difficoltà, provano ad erogare servizi di qualità, spesso riuscendoci.

E’ il caso della Asp Masselli Mascia di San Severo, guidata dal commissario straordinario Raffaele Irmici, che di recente ha operato una scelta in controtendenza, internalizzando servizi e personale, anche per assicurare maggiore stabilità (e quindi benessere) ai lavoratori e di conseguenza qualità delle prestazioni.

“Pur non essendo previsto dai regolamenti regionali per le case di riposo, abbiamo deciso di dotarci di tre infermieri, la cui formazione e professionalità è di livello universitario. Si tratta di operatori paramedici che dovrebbero avere competenze e sensibilità dal punto di vista deontologico più marcate, nell’esercizio del loro lavoro – ha spiegato il manager a l’Attacco -. In più, un infermiere avrebbe l’occhio clinico per cogliere anche piccoli segni esteriori, rivelatori di un maltrattamento. Abbiamo inoltre istituito la figura del coordinatore geriatrico, un responsabile addetto alla gestione del personale che si dedica solo alla assistenza dei nostri ospiti. Anche questo non è previsto dalle norme ma abbiamo ritenuto essenziale dotarci, a fronte di una spesa sostenibile, di un soggetto che sia presente e attento alle attività degli operatori. Non a caso peraltro abbiamo optato per un contratto a tempo pieno, in modo da dare al coordinatore anche il tempo necessario ad espletare la sua importante funzione”.

E’ sulla qualità del personale che punta anche Giuseppe Chiumento, responsabile delle case di riposo di Monteleone di Puglia e Roseto Valfortore per il Consorzio di Libere Imprese, nonché già responsabile per la Rsa Il Girasole di Bovino.

“Le nostre strutture sono un fiore all'occhiello del territorio, così come quella di Bovino, di cui mi sono occupato per qualche mese in passato: rispettano tutti i requisiti, c’è il medico, l’assistente sociale, l’educatore, 6 infermieri, 12 Oss e cucina interna”.

Ma a parte i requisiti strutturali ci sono degli accorgimenti ulteriori che i gestori possono adottare. “Si fanno attività educative che rientrano nei vari Pai per gli utenti. Nelle case famiglia poi devono essere poste in essere tutte quelle attività affinché il paziente non avverta il distacco dalla propria famiglia che spesso per motivi di indisponibilità non può accudire i propri cari. Noi ci sostituiamo completamente alle famiglie, l'idea è quindi quella di far vivere gli anziani in un contesto amorevole e accogliente e quindi si preferiscono strutture che abbiano giardini, spazi ampi, palestre. Non mancano anche codice deontologico ed etico e regolamento interno, qualsiasi struttura se ne dota. Su questi si basano anche contestazioni e addebiti a carico del personale. Per quanto riguarda i rapporti con le famiglie, sono previste apposite figure, quella dell'assistente sociale è fondamentale ad esempio. Quando manca, manca un pezzo importante dell'assistenza ma ha un costo. Le nostre strutture sono tutte dotate di tablet per le videochiamate, ogni giorno gli utenti possono contattare i propri familiari; le residenze, compatibilmente con le regole del post Covid, sono sempre aperte, le famiglie possono entrare quando vogliono proprio perché tutto è trasparente”.

Il presupposto di ogni struttura virtuosa è una pianta organica qualificata e motivata, lo conferma anche Antonio Perruggini, presidente di Welfare a Levante, associazione di categoria che raggruppa numerosi gestori di strutture pugliesi.

“Non bisogna assumere persone improvvisate – ha aggiunto Perruggini a l’Attacco -, d’altro canto vanno garantiti contratti, incentivi, turni non massacranti. E poi serve personale che faccia questo lavoro con passione, fondamentale quando si cura una persona, perché gestire la relazione umana è la cosa più difficile. Non sarebbe male che le regole stabilite dalla Regione per la disciplina di questo tipo di strutture fossero più semplificate rispetto ai criteri oggi un po’ schizofrenici, a fronte dei quali ci sono delle tariffe non adeguate. Alcuni, per far quadrare i bilanci, contengono i costi del personale e di conseguenza ne risente la qualità del servizio”.

Altro elemento essenziale è il rapporto con la famiglia “che va presa in carico prima ancora del paziente – conferma Perruggini -, e educarla nella gestione dei casi, in particolare dei pazienti inguaribili con un'opportuna formazione, dai protocolli alimentari a tutti gli adempimenti burocratici”.

Nonostante gli sforzi di tanti gestori per tenere tutto in equilibrio, si continuano a demonizzare certi settori, soprattutto privati, percepiti come approfittatori sulla pelle dei vecchietti.

Zone Transition

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“Le strutture meritano un applauso universale – ribatte il presidente - proprio per quello che hanno dimostrato con il Covid, ricordo che in Puglia non abbiamo avuto neppure una mascherina ma abbiamo protetto migliaia di persone, merito di un approccio universale. Poi, come in tutti i settori ci può essere qualcuno che non rispetta le regole e va duramente sanzionato secondo la legge ma questo è un ambito che funziona bene, nonostante non ci sia il supporto politico adeguato, con immensi sacrifici ottiene ottimi risultati. Rinnovo l'invito al governatore Michele Emiliano e all'assessore Rocco Palese, che mi dispiace dirlo, finora è rimasto inascoltato, di istituire un dipartimento dedicato alle Rsa e ai centri diurni. E’ l'unica soluzione, in caso contrario l'accreditamento in Puglia non troverà mai luce perché non si possono gestire centinaia di strutture solo con due impiegati amministrativi”.

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