Il marito racconta: “Mia moglie è morta per peritonite grave”. Rinviati a giudizio due medici dell’ospedale “Masselli-Mascia”

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Maria Lombardi giunse all’ospedale di San Severo con una grave peritonite, per cui occorreva un’operazione d’urgenza, ma l’inizio dell’intervento ebbe luogo solo 10 ore dopo (al Riuniti di Foggia) e non riuscì a salvare la vita alla signora, poco più che 60enne. Il marito della donna, Agostino D’Antoni, sporse denuncia per omicidio colposo contro i medici della Chirurgia di San Severo. Sono stati, così, rinviati a giudizio, su richiesta della gip Roberta Di Maria, i dottori Tommaso Petitti e Matteo Zuccarino (rispettivamente primario e medico di turno coinvolti nella vicenda).

Il pubblico ministero aveva chiesto per ben due volte l’archiviazione del caso ma la duplice opposizione della difesa di D’Antoni ha trovato accoglimento nella gip che, in un primo momento, ha disposto ulteriori indagini preliminari con consulenze tecniche suppletive e, alla fine, poco più di due settimane fa, ha ordinato l’imputazione coatta di Petitti e Zuccarino con disposizione al pm di formulare il capo d’accusa. 

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Secondo le valutazioni della giudice delle indagini preliminari i due imputati avrebbero avuto la responsabilità medica di non aver agito affinché fossero eseguite tempestivamente l’operazione chirurgica e tutte le cure contestuali necessarie.

Tra i nodi contestati la decisione di trasferire la paziente alla struttura ospedaliera dotata di reparto Covid (in questo caso il Riuniti di Foggia). Una decisione che ritardò di 8 ore l’intervento e che - secondo la ricostruzione giuridica finora sviluppata - osservò solo parzialmente le prescrizioni dettate dall’allora protocollo sanitario disposto dalla Regione Puglia: la scelta optata non antepose, infatti, l’interesse della paziente ad un necessario intervento tempestivo che avrebbe, invece, dovuto essere operato in loco (e cioè al “Masselli Mascia” di San Severo). Possibilità, quest’ultima, che le stesse disposizioni regionali contemplavano nel caso di necessità ed urgenza indifferibile.

Proprio come, la sera stessa in cui la paziente giunse all’ospedale sanseverese, ricordò al dottor Zuccarino il dottor Costantino Tiziano Vocino della direzione sanitaria del nosocomio.

Nonostante ciò il primario Petitti, diverse ore dopo, ricontattò Vocino mettendolo al corrente della decision presa, e cioè quella di trasferire Maria Lombardi all’ospedale di Foggia (trasferimento che avvenne previo accordo telefonico tra Petitti e il dottor Petruzzelli della Chirurgia generale universitaria degli OO. RR.).

E’ stato invece scagionato da ogni accusa il dottor Giuseppe Antonio Caracciolo, medico curante di Maria Lombardi, il quale prescrisse nelle ore precedenti una cura di Buscopan e Voltaren da assumere al bisogno. Secondo la gip “l’operato del sanitario – consistito nel prescrivere a distanza una terapia farmacologica – non è connotato da profili di penale responsabilità tenuto conto che lo stesso non era tenuto ad eseguire una visita domiciliare in mancanza della condizione di ‘non trasferibilità dell’ammalato’ e che si determinava alla indicazione dei due farmaci sulla scorta delle informazioni ricevute dal familiare del paziente”.

E’ stato lo stesso marito della vittima a raccontare tutta la vicenda alla stampa. D’Antoni ora dichiara: “Sono soddisfatto al momento del provvedimento del gip ma voglio chiarire che ci sarà ancora da combattere nelle aule giudiziarie, nel futuro dibattimento, per ottenere giustizia per la morte della mia povera moglie e che gli imputati Petitti e Zuccarino sono da considerarsi ad oggi innocenti sino all’emissione di un’eventuale sentenza di condanna passata in giudicato”.

Secondo la dettagliata ricostruzione di Angelo D’Antoni, il 2 aprile del 2020 (quando il Covid infuriava, ndr) sua moglie, trasportata dal 118, arrivò alle ore 23.02 all’ospedale di San Severo con forti dolori addominali (resistenti ai farmaci prescrittigli in precedenza dal medico curante); fu visitata dal medico del Pronto soccorso solo alle ore 23.42. Alle ore 23.45 il Pronto soccorso richiese un’ecografia all’addome completo, del cui referto non vi è più traccia nella documentazione sanitaria in atti. Alle successive ore 23.48 fu inoltre richiesta una tac dell’addome completo, il cui referto venne stampato alle ore 1.27 del 3 aprile. Dalla cartella clinica infermieristica si evince che la signora entrò nel reparto Chirurgia dell’ospedale di San Severo alle ore 1.30 e vi rimase sino alle successive ore 5.23 quando venne caricata su un’ambulanza del 118 per essere trasportata, causa sospetto Covid, all’Ospedale di Foggia (dove arriverà alle ore 6.16 del mattino e verrà ricoverata con codice triage “rosso –molto critico”). Un sospetto Covid, evidenzia D’Antoni, rimasto tale perché il tampone eseguito risultò poi negativo.

La signora, dunque, restò nel reparto di Chirurgia del “Masselli Mascia”, diretto Petitti, per quasi 4 ore, in cui non fu sottoposta né ad intervento chirurgico né a somministrazione di cure antibiotiche, nonostante la paziente fosse affetta da “peritonite stercoracea da perforazione intestinale”, dunque il suo quadro clinico fosse critico e necessitasse di un intervento chirurgico urgente, come finora è stato accertato dagli atti giudiziari. Inoltre la cura antibiotica, così come affermato dai consulenti tecnici della Procura interpellati dal gip, “non era alternativa all’intervento chirurgico né conseguente ma entrambi dovevano tempestivamente effettuarsi [...] per il conseguimento di migliori risultati”. 

D’Antoni sottolinea un altro passaggio della relazione del 17 ottobre 2021 a firma dei consulenti tecnici della Procura e cioè quello in cui si afferma: “E’ doveroso segnalare che alle ore 3.21 del 3 aprile 2020 le condizioni cliniche della signora Lombardi Maria erano certamente critiche, poiché i rilievi clinici e le risultanze degli esami ematochimico strumentali deponevano per un incipiente shock settico con Mods (Multiple organ dysfunction syndrome). Ciò nonostante, pur ricevendo dalla direzione medica (nella persona del dottor Vocino) l’indicazione alla gestione in loco delle urgenze chirurgiche indifferibili, a prescindere dalla sussistenza di un sospetto diagnostico per Covid 19, la paziente non fu sollecitamente condotta in sala operatoria […]. Nel disporre il trasferimento della paziente […] non poteva non considerarsi che esso, seppur concordato, avrebbe comportato un ulteriore differimento dell’intervento per via della necessità di sottoporre a meticoloso inquadramento l’assistita”.

Zone Transition

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Il legale di D’Antoni, che per politica professionale preferisce non essere menzionato, aggiunge: “Al mio assistito è stato fatto un danno ancor più grave essendo vedovo e senza figli, quindi, attualmente, praticamente rimasto solo”.

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